Daniele Maria Pegorari: Umberto Eco e l’onesta finzione. Il romanzo come critica della post-realtà , Stilo editrice
Risvolto
Vi si accampa un ragionamento per il quale la produzione letteraria del filosofo e scrittore alessandrino, dagli anni Ottanta del Nome della rosa e del Pendolo di Foucault, fino agli anni Dieci del Cimitero di Praga e di Numero zero, persino sotto la maschera dissimulatrice della letteratura di genere, ha messo a tema il conflitto fra l’etica autoritaria della verità e la resistenza della realtà, sempre più soccombente nella società della comunicazione

Claudio Paolucci: Umberto Eco: Tra Ordine e Avventura, Feltrinelli
Risvolto
Non serve spendere parole per presentare Umberto Eco, a pochi mesi dalla
sua scomparsa. La sua figura pubblica è stata celebrata in molti modi.
Ora, perfettamente nel solco della missione della collana “Eredi”,
arriva in libreria il primo tentativo di raccontarne l’eredità, umana e
intellettuale.
Claudio Paolucci del professor Eco è stato l’ultimo
vero allievo e ha seguito da vicino i suoi ultimi anni di attività. Ma
prima di tutto questo, è stato un ragazzo che si presenta al ricevimento
docenti per spiegare a Umberto Eco che il suo ultimo libro, Kant e
l’ornitorinco, è completamente sbagliato.
“Quel professore, che era
incidentalmente l’intellettuale italiano più famoso del mondo, passò ore
e ore a discutere con un ragazzo di ventiquattro anni con un look che
lo disturbava moltissimo. E ricordo benissimo ancora oggi quell’uomo
famosissimo che in commissione di laurea difendeva, da relatore, una
tesi tutta contro di lui.”
In questo breve saggio Paolucci visita con
passo leggero i luoghi della sua conoscenza e amicizia con il professor
Eco, luoghi che sono non solo fisici, ma anche teorici: l’amore per i
dubbi e la negoziazione, la fiducia nella possibilità di interpretare e
gettare ponti tra idee e persone diverse, l’ironia e il motto di spirito
come correttivo all’accademia, ma anche la limpida vocazione alla
serietà della didattica e della ricerca.
Il conflitto eterno tra linguaggio e realtà
Scaffale. «Umberto Eco e l’onesta finzione» di Daniele Maria Pegorari, per Stilo editrice. Lo sforzo dello scrittore e semiologo contro la mistificazione storica, politica, economica e religiosa
Lea Durante Manifesto 24.10.2017, 0:04
Se il suo riconosciuto capolavoro Il nome della rosa ha tenuto incollati al libro milioni di lettori in tutto il mondo, non è stato sempre così per i successivi sei, difficili romanzi di Umberto Eco, l’ultimo dei quali, Numero Zero, uscito a pochi mesi dalla morte dell’autore. Neanche la critica ha aiutato queste opere a circolare, e le ha accolte con una sostanziale diffidenza di fondo, sottolineandone il carattere dotto ma impopolare. Eppure, come ci spiega il contemporaneista barese Daniele Maria Pegorari, nel suo Umberto Eco e l’onesta finzione (Stilo editrice, pp. 141, euro 16), il rovello di questa produzione narrativa, seminascosto fra le pieghe di una scrittura di genere, resta coerente: il conflitto fra l’etica autoritaria della verità e la resistenza della realtà, soccombente nella società della comunicazione.
Il saggio, articolato in sei capitoli, mostra come la struttura dei romanzi di Umberto Eco sia giocata sempre sul registro di una paradossale contrapposizione/ sovrapposizione fra una realtà multiforme e in movimento e una verità che tenta di sopraffarla, vanificarla, sostituirla, anche a costo di una mistificazione radicale e della costruzione di un paradigma totalmente inventato.
IL PADRE ITALIANO della semiotica, insomma, aveva visto lontano quando dopo il pencolare fra le ragioni dell’autore e quelle del lettore, nella sua avventurosa ricerca fra gli anni 60 e 70, aveva trovato quella che si sarebbe detta «post-realtà»: la capacità dell’epistemologia contemporanea di generare piani paralleli di interpretazione, tutti autoreferenziali, e di costruire una narrazione altra non più soggetta alla tradizionale antinomia vero/falso, ma libera da tale rapporto oppositivo e da tutte le sue conseguenze.
Il clima culturale del postmoderno fa attrito e fa da sfondo ai personaggi a cui Eco affida la sua battaglia antidogmatica e antimistificatoria. È la strenua ricerca dell’accertabilità di «qualcosa», della narrabilità del reale, della stabilità della pagina a muovere l’invenzione di quelle macchine della frode delle quali Simone Simonini (Il cimitero di Praga) è la più perversa e perfetta. Lo sforzo di Eco si spinge contro la mistificazione storica, politica, economica e religiosa: uno spazio immenso dove la letteratura e l’intellettuale non devono mai stancarsi di compiere la propria missione, sebbene non siano immuni dal rischio di restare invischiati in narrazioni indiziarie e circuìti da una ipertrofia di segni priva della chiave corretta.
È PER QUESTO che Pegorari propone di leggere l’intero itinerario di Eco scrittore come «una sorta di storia sociale del conflitto fra linguaggio e realtà», in cui ritrovare, in filigrana, la condizione odierna del comunicare: non è un caso che Eco abbia sempre guardato con preoccupazione, e con formidabile capacità anticipatrice, alla virtualizzazione della realtà, foriera di un modello rizomatico e non organizzato del sapere. Ne paghiamo le conseguenze oggi, in un momento di caduta clamorosa del credito dei saperi esperti, sostituiti da pseudo verità, da pseudo conoscenze, ottimamente funzionali alla manipolazione che il modello di vita e di produzione neo liberista richiede per prosperare.
È il «paradigma del fazzoletto di Desdemona» a tenere banco, avverte Pegorari: l’indizio giusto, estrapolato dal suo contesto, e collocato in una diversa posizione, può dar vita al corto circuito della mistificazione e, come Otello sa bene, portare a conseguenze letali. Umberto Eco e l’onesta finzione è un libro per chi ha letto i suoi romanzi, per chi vuole approfondire la conoscenza del semiologo, e perfino per chi non ha letto nulla: offre finestre, spunti, chiavi per non fermarsi a Guglielmo da Baskerville, ma per arrivare a Jacopo Belbo e a Baudolino senza la timidezza che li ha trattenuti finora.
La biblioteca è una performance
Scaffale. «Umberto Eco: Tra Ordine e Avventura» di Claudio Paolucci, per Feltrinelli. Quando la chiave di accesso al sapere unico non esiste
Tiziana Migliore Manifesto 24.10.2017, 0:04
Umberto Eco: Tra Ordine e Avventura di Claudio Paolucci (Feltrinelli, pp.240, euro 16) è la prima biografia postuma, un’indagine avvincente del fattore x dell’uomo di cultura più noto della seconda metà del Novecento, il più particolare e universale. Paolucci, l’ex studente sostenuto da Eco alla laurea con una tesi contro il suo Kant e l’ornitorinco (1997), vira dal personaggio Eco all’uomo Eco: un talento assoluto coniugato con una ferrea etica lavorativa. Eco non ha mai smesso di studiare, si isolava prima delle lezioni per riordinare le idee, amava chi instillasse in lui dubbi, lo invitava al bar senza vincoli di rango accademico. Se ha rinnovato il fare filosofia e cultura, è perché ha rovesciato le gerarchie, nelle idee e nei comportamenti.
C’È UN MOTIVO conduttore nel percorso di Eco: ha praticato nel proprio tempo il pensiero del «passaggio» (Michel Serres). I filosofi cercano la verità per via diretta; Eco la bypassa, esplorando altri accessi: la «forza del falso» – le distorte verità – e il «potere del riso» – ciò che «fa ridere della verità» (Il nome della rosa, 1980), le deformate e mascherate verità. Il falso è il contrario della verità, il riso ne è il contraddittorio. Sono il lascito prezioso che Eco elabora dallo strutturalismo: un approccio relazionalista al sapere. Eco ha stabilito relazioni fra domini distanti, con passaggi dall’alto al basso – tramite il riso e il falso – dal basso all’alto – Mike Bongiorno spiegato, criticato e riformato usando Husserl – e alto-basso-basso-alto – l’ornitorinco spiega lo schematismo di Kant, ma la teoria kantiana della percezione e della categorizzazione spiega l’ornitorinco. Caduta, elevazione e feedback: una chiave di accesso al sapere unico non esiste.
Con questo gesto fuori norma, che ha suscitato reazioni violente, Eco forgiava il ruolo dell’intellettuale mediatore: guidare a difendersi dalla manipolazione e a leggere le ideologie sottese alla comunicazione dei media. Apocalittici e integrati (1964), raccolta di saggi sul fumetto, la musica leggera, la radio, la tv, la fantascienza, non è uno spartiacque fra contestatari e sostenitori dei mass media, ma una polemica interna alla cultura alta, che trasmette emozioni già collaudate per subordinare il pubblico: Superman è un «messaggio minimo» con cui la cultura alta controlla le masse. Pulsa il Barthes dei Miti d’oggi: i media creano miti attraverso stereotipi, suggerendo cosa desiderare.
LA SEMIOTICA, che Eco istituisce all’Università negli anni Settanta, nasce come disciplina di militanza, che aiuta a discernere e a opporsi al conformismo; è infatti il «campo» in grado di connettere domini distanti. Dal 1971 Eco scrive sul manifesto con lo pseudonimo di Dedalus, leggendario architetto del labirinto di sentieri in cui muoversi. La biblioteca di Eco sarà a forma di labirinto. Oggi andrebbe portata all’Università, da dove tutto è partito e per risollevarne le sorti. Mediazione e slittamento dei segni (Peirce) hanno sempre avuto una valenza critica, politica in Eco, tanto che «un semiotico è il nome più appropriato per ciò che ha fatto durante la sua vita». L’ambizione era costruire un modello di cultura enciclopedico: conoscenze organizzate in forme di relazione, prendendo la biblioteca come strumento di lavoro e concatenando la propria storia ad altre stockate nell’enciclopedia del già detto.
SI AVVERTE, nella scrittura di Paolucci, il desiderio dell’allievo fidato, che rinfresca gli insegnamenti del maestro per tenerlo in vita e tramandarlo. L’unione delle opere teoriche e dei romanzi è la più grande eredità di Eco, un «ornitorinco» che assembla pezzi di filosofia e non filosofia. Teoria e narrazione si nutrono l’una dell’altra. Ciò che non si può dire nella teoria, si mostra da sé (Wittgenstein) nella narrazione. La lettura di romanzi, cioè di mondi costruiti ma inemendabili e ineluttabili, che hanno come oggetto problemi storici, insegna a vivere moltissime vite, non solo la propria, e quindi a morire. In Eco, però, teoria e narrazione, dire e mostrare restano su binari paralleli.
LA TEORIA SI OCCUPA, con i segni, della realtà; il racconto, ambito della «finzione», non può fare teoria, ma, con il falso e il riso, dona sprazzi di verità per rivedere le congetture sul mondo. Ordine delle idee e ordine delle cose ugualmente si biforcano. Per Paolucci un rilancio importante del pensiero di Eco sta allora in un’enciclopedia tesa all’avventura più che alla classificazione, meno gerarchica e arborescente e più rizomatica, capace di presentare diramazioni, ma anche di incrociarle e districarle. La struttura peer to peer dei social media richiede discipline impegnate nella disambiguazione e nel giudizio, rispetto a imbecilli della rete e non. Ripartiamo da qui. Saremo nuovi Dedalus o non saremo affatto.
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