Quel poco che rimane
della democrazia moderna in Europa - quel poco che sinora la guerra di
classe dei ricchi non è riuscito a smantellare del tutto – viene messo
in discussione oggi prevalentemente tramite le spinte secessioniste
delle aree più ricche, nelle quali l’egemonia proprietaria è più
radicata.
Sono spinte che
sollecitano indignazione morale e solidarietà transpolitica tramite la
denuncia del centralismo "coloniale" dello Stato e facendo appello alla
protezione dei diritti dei popoli oppressi. Come esiste un
"dirittumanismo" che detourna i diritti dell'uomo, perciò, esiste un
"dirittopopulismo" che distorce non di meno il principio di
indipendenza.
Nella cornice della UE, la creazione di entità
regionali a geometria variabile, flessibili e transitorie, è infatti la
via più facile per aggirare l’ostacolo costituito dalle pur sconfitte
democrazie nazionali.
Per quanto riguarda l’Italia, è questo il rischio principale.
Complimenti
perciò ai furbissimi compagni che, refrattari all’analisi della
situazione concreta e cioè al calcolo dei rapporti di forza e non avendo
mai compreso la sostanza della lotta di classe, equivocano
clamorosamente il concetto di autodeterminazione dei popoli sottomessi. E
immaginano perciò di aver appena fatto la rivoluzione socialista in
Catalogna.
Costoro sono in realtà seguaci di Woodrow Wilson, più
che di Lenin. E anche se non lo ammetterebbero mai, sarebbero in buona
compagnia con quell'Agamben che ha oggi il paradossale merito di aver
mostrato in quale assurdo abominio vadano a finire l'odio anarchico per
lo Stato e la concezione foucaultiana del potere [SGA].

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