
Risvolto
Colore ambiguo e capriccioso, il verde: da un lato simbolo di speranza,
fortuna, natura e libertà, dall’altro tinta associata al veleno, al
denaro e addirittura al diavolo. Giudizi altamente contrastanti, che si
sono avvicendati nel corso dei secoli e che sono lo specchio di un
cambiamento dell’orizzonte culturale della società che li ha prodotti.
Ed è proprio questa evoluzione della nostra società al centro del nuovo
saggio illustrato del grande storico francese Michel Pastoureau.
Terza tappa di un progetto di alto profilo, al pari dei due precedenti Blu e Nero, Verde è un’opera di ampio respiro, che spazia dall’arte, alla scienza, al costume e che, di tassello in tassello, restituisce un altro affascinante e avvincente capitolo della storia dell’Occidente, dall’antichità ai giorni nostri.
Terza tappa di un progetto di alto profilo, al pari dei due precedenti Blu e Nero, Verde è un’opera di ampio respiro, che spazia dall’arte, alla scienza, al costume e che, di tassello in tassello, restituisce un altro affascinante e avvincente capitolo della storia dell’Occidente, dall’antichità ai giorni nostri.
Metti un giallo tra Platone e La La Land
Michel Pastoureau ripercorre la storia del colore dai destini più altalenanti: amatissimo dagli antichi romani, nel Medioevo perse appeal per ritrovarlo con i Lumi. E oggi? Colonizza la politica
di Mariarosa Mancuso Robinson 16 11 2019
I pittori che sdegnano questo o quel colore fanno l’effetto di un artigiano che rifiuta certi attrezzi inutili o pericolosi. Vasilij Kandisnkij, per esempio, era drastico nei suoi giudizi. Il verde gli pareva « una vacca grassa, capace solo di ruminare, che fissa il mondo con occhi ottusi e indifferenti ». Il giallo invece «mette lo spettatore in apprensione, lo eccita, lo stimola; è un colore violento e intenso, paragonabile a quello di una tromba acuta suonata sempre più forte».
Un colore placido e borghese da una parte. Un colore molesto dall’altra, con buona pace dei numerosi " Girasoli" dipinti a fine ottocento da Vincent van Gogh. Il giallo, notiamo, è assente dal sonetto di Arthur Rimbaud, 1872, mentre la U viene associata al verde e la O al blu. Vladimir Nabokov racconta che già da piccolo vedeva l’alfabeto a colori. A sette anni gli regalarono i cubetti con le lettere stampate, tremenda delusione: nessuna era del colore giusto. Da grande, nell’autobiografia
Parla, ricordo, racconta la gamma dei suoi gialli: «la cremosa d, l’oro splendente della y, e la u, il cui valore posso solo esprimere come ottone con riflessi oliva».
Al verde, lo storico dei colori Michel Pastoureau ( insegna Storia del simbolismo all’Ecole Pratique di Parigi) aveva già dedicato un magnifico libro con illustrazioni. Uscito da Ponte alle Grazie, come la sua storia del blu, la sua storia del rosso, la sua storia del nero.
Giallo — Storia di un colore è l’ultimo della serie, annunciato in copertina da una settecentesca "Natura morta con pera e insetti". La mosca serve come prova suprema di realismo: se chi ammira il dipinto ha la tentazione di scacciarla, l’inganno pittorico è riuscito. Nel Primo uomo,
il regista Damien Chazelle piazza una mosca dentro il modellino di navicella spaziale dove Ryan Gosling-Neil Armstrong si addestra per il viaggio sulla luna. Sentiamo il ronzio, sospendiamo l’incredulità.
Dobbiamo a Damien Chazelle — complice la sua costumista Mary Zophres — anche lo smagliante abito giallo che Emma Stone indossa in La La Land per ballare il tip tap. Un giallo gioioso, in contrasto con le alterne vicende del colore ricostruite, con ricca iconografia, da Michel Pastoureau. Nell’antichità, il giallo era il colore del sole, dell’oro, della prosperità. Era usato nei riti religiosi, celebrava le mitologiche "età dell’oro", faceva bella mostra di sé sui vestiti delle donne romane. Nel medioevo l’immagine cambia: diventa il colore dello zolfo e della bile, dell’invidia e del tradimento, della gelosia e della menzogna. Giuda viene ritratto con il sacchetto con i trenta denari, e sempre un tocco di giallo sporco ( le sostanze coloranti erano varie e Pastoureau le conosce tutte). Raro aspetto positivo, i biondi capelli di Isotta.
Il Settecento — secolo dell’illuminazione non solo filosofica — ricomincia ad apprezzare il giallo, assieme a certi colori pastello che oggi scatenerebbero la censura, per esempio la
cuisse de nymphe émue. Con l’ 800 il giallo torna dalla parte sbagliata dello spettro — lo spettro sociale, non quello studiato a suo tempo da Isaac Newton, che sostituì la classificazione aristotelica. Oggi, certificano i sondaggi, sta in fondo alle preferenze: circa la metà degli europei e degli occidentali sceglie il blu, il giallo rosicchia un cinque per cento.
Era gialla la stella imposta dai nazisti con la scritta "Jude". Erano vestiti di giallo i buffoni e le prostitute, spesso erano gialli anche i manicomi. La Yellow Press era la stampa scandalistica. Aveva un passaporto giallo Jean Valjean nei Miserabili di Victor Hugo: ai datori di lavoro non faceva buona impressione. Giallo è il colore dell’Asia, nei cinque cerchi olimpici ( e del resto l’Africa è nera, nell’idea di Pierre de Coubertin che non conosceva correttezza politica). Un cumulo di nefandezze, con qualche segno positivo nello sport, come la Maglia Gialla al Giro di Francia. I delitti dei Gialli Mondadori — che in Francia erano noir — contribuiscono alla brutta fama del colore. Forse sarà il pop a salvarci: la Gioia, nel film di Pete Docter Inside Out, ha un abito giallino, quasi fluorescente ( con capelli blu elettrico, per ribadire la sferzata di energia).
Nell’ultimo capitolo, Michel Pastoureau studia il giallo dei gilet francesi — un segnale di pericolo e di allarme, dalla Francia profonda. E dei Cinque Stelle italiani, soluzione di ripiego: in politica i colori erano già tutti presi, anche l’arancione. In un altro libro più frammentario e personale ( I colori dei nostri ricordi, come il più recente Un colore tira l’altro) ricorda il gilet « giallo brillante, caldo, quasi zuccheroso » del surrealista — e amico di suo padre — André Breton, ammirato a cinque anni e mai dimenticato. C’era anche un perfido « beige Mitterand » : come un completo estivo che non stava particolarmente bene al presidente. Lo ritroviamo nei tristi androni dei palazzi.
Tornando al passato, Pastoureau racconta il giallo di Fragonard e il giallo di Vermeer. Distingue tra la tavolozza di colori cattolica e una tavolozza protestante. Ricorda che il nemico numero uno di ogni riformatore sono i colori. Platone non voleva cacciare dal suo stato ideale solo i poeti. Diffidava anche dei tintori e dei pittori, portatori di falsità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Così la vita si tinse di giallo
Così la vita si tinse di giallo
Storia dei colori. Il nuovo saggio di Michel Pastoureau è dedicato a una tinta ambivalente, simbolo di ricchezza e prosperità, e allo stesso tempo evocativa di allerta e tradimento
Marco Carminati Domenicale 12 4 2020
Possono
i colori cadere in disgrazia? Possono essere considerati per secoli
simboli di luce, ricchezza, potere e immortalità e poi, a un certo
punto, mutare radicalmente significato e diventare emblemi di falsità,
malattia, follia e tradimento? La risposta è sì. E l’esempio di un
clamoroso caso di mutazione simbolica si trova nel bel libro che Michel
Pastoureau ha riservato al giallo, ultimo di una serie di intriganti
monografie che lo studioso francese ha specificatamente dedicato a
storia, scienza e curiosità dei principali colori della tavolozza: il
blu, il nero, il verde e il rosso.
Del colore giallo Goethe ebbe a scrivere così: «Possiede una qualità dolcemente stimolante, di serenità e di gaiezza. Si mostra però estremamente sensibile, producendo un’immagine sgradevole quando è sporco... È sufficiente un leggero e impercettibile movimento per farne il colore dell’infamia, della ripulsa e del disagio».
Le ragioni che hanno portato il colore giallo a essere così ambivalente e a trasformarsi da splendido araldo di serenità e gaiezza a cupo manifesto di negatività sono ampiamente spiegate nel libro di Pastoureau, nel quale conviene ora avventurarsi.
Lo studioso osserva innanzitutto che il giallo (come gli altri colori) diventò una categoria cromatica a sé stante dopo che i nostri antenati lo associarono saldamente a realtà naturali quali l’oro, il grano, il miele, l’olio, la cera, le ginestre, i limoni, eccetera. Da qui prese forma la simbologia positiva del colore, che divenne emblema di ricchezza, calore e prosperità.
Gli uomini del Paleolitico (30mila anni prima di Cristo) furono i primi a farne uso come pigmento: lo ricavarono dalle terre argillose ricche di ocre e lo usarono per dipingere gli animali sulle pareti delle grotte (come, ad esempio, a Chauvet in Francia). Poi, con il sopraggiungere dell’età dei metalli, arrivò l’oro, che venne associato al colore del sole e fu offerto agli dei, tesaurizzato nei templi e deposto nelle sepolture. Oro e giallo diventarono per molto tempo la stessa cosa per egizi, greci e romani. L’oro si impiegò a piene mani nelle tombe dei faraoni, le tinte giallo-oro caratterizzarono la pittura vascolare greca e la pittura parietale romana. In latino l’aggettivo aureus non indicava esattamente l’oro, ma il giallo caratteristico dell’oro. Questo colore venne anche associato al culto del sole e della divinità classica: Apollo, il dio della luce che dissipa le tenebre, veniva sempre rappresentato, in dipinti e mosaici, con fluenti capelli biondi.
Però è proprio il veneratissimo giallo-oro a offrire le prime avvisaglie di un ribaltamento semantico. L’oro - meditarono gli antichi - generava avidità, cupidigia, furti, violenza, guerra e tradimenti, e la mitologia classica mise in campo molti esempi per dimostrare il concetto, dal mito dell’età dell’oro, ai pomi del giardino delle Esperidi, alle peripezie legate al vello d’oro, alle vicende di re Mida, fino alle storie (extra mediterranee) dell’oro del Reno nella saga dei Nibelunghi.
Nonostante questi innesti di negatività, il giallo continuò comunque a prosperare. Usando lo zafferano come colorante, si tinsero abiti di grande eleganza destinati ad abbigliare le nobildonne dell’Urbe, e non è un caso che quando i romani rappresentavano la Dea Flora (signora dei fiori e della primavera) la abbigliavano con mantelli di colore giallo. Di più. Da Cicerone apprendiamo che il giallo era la tinta tipica ed esclusiva degli abiti femminili: volendo egli denigrare come effeminato il suo acerrimo nemico Publio Clodio Pulcro, scrisse che costui si aggirava abbigliato in vesti di colore giallo.
Se i greci disponevano della parola xanthòs per indicare in modo onnicomprensivo il giallo vivo e luminoso, e assai raramente attingevano a parole come ochros (giallo ocra), chloros (giallo verdastro), chrysos (giallo oro), melinos (giallo) e krokinos (giallo zafferano), i romani - al contrario - non possedevano nel lessico una parola generica che indicasse il giallo. Usavano cruceus per indicare il giallo zafferano tendente all’arancione, luteus per il giallo dei vegetali (tipo le ginestre), melleus il giallo del miele, vitellus il giallo dell’uovo, flavus per indicare tutto ciò che matura al sole e chi ha i capelli biondi, ed aureus per indicare, appunto, il giallo dell’oro. Interessante apprendere che l’opposto di aureus era ludidus, parola che indicava un giallo sporco e impuro da usare per qualificare la bile, la pelle malata, le piante appassite e le stoffe di scarso valore. Ma per indicare un giallo “brutto” si usava anche un’altra parola: galbus. Ebbene sarà proprio questo termine marginale e negativo ad avere grande fortuna: diventerà il giallo degli italiani, il geld dei tedeschi, il galben dei rumeni, e via di questo passo.
A far cadere in disgrazia il giallo contribuirono vari fattori, a cominciare dalla Bibbia, che praticamente non considerò mai questa parola. I Padri della Chiesa, dal canto loro, si concentrarono soprattutto sull’oro per capire se fosse “luce” o “materia”, o disquisire se fosse lecito o meno usarlo nel culto e nella vita della Chiesa. Sappiamo che i Padri diedero il via libera al giallo e il Medioevo cristiano s’ammantò di oreficerie, dipinti, mosaici e stoffe nei quali si fece largo uso dell’oro. Eppure, proprio durante il Medioevo, il giallo cominciò ad assumere un significato sempre più equivoco. Il giallo non entrò in alcun modo a far parte dei colori usati nei paramenti liturgici cristiani (che sono rossi, bianchi, neri e verdi), mentre l’apostolo traditore, Giuda, compare nei dipinti sempre vestito di giallo: il colore diventa il simbolo del più alto tradimento. Certo, il giallo lo vediamo negli stemmi e nei blasoni dei cavalieri medievali, ma solo perché era considerato un surrogato dell’oro. E comunque assunse sempre più significati negativi: non solo i traditori, ma anche i ciarlatani, i folli e i collerici vennero contraddistinti dal colore giallo delle vesti. Per non parlare dei “perfidi” giudei e della loro “stolta” Sinagoga, sempre identificabili con questo colore (da qui deriva, ahinoi, anche la famigerata stella gialla usata dai nazisti per discriminare i figli di Israele).
Bisogna altresì sottolineare che ottenere il colore giallo non fu mai tecnicamente molto facile, e bisognerà attendere addirittura l’età barocca per vederlo davvero risaltare all’interno dei quadri. È lo stesso periodo in cui Newton cataloga i colori.
A esaltare definitivamente la bellezza del giallo sono stati i pittori tra Ottocento e Novecento (pensiamo a Van Gogh e a Cézanne), mentre in altri campi questa tinta ha continuato a mantenere forti valenze simboliche. Il giallo può essere ad esempio simbolo di vittoria (la maglia gialla del Tour de France) e di protesta (i gilet gialli parigini); oppure segnale di allerta e ammonimento, come avviene per il cartellino giallo dell’arbitro o, più comunemente, per il colore intermedio del semaforo. Può altresì servire a favorire la visibilità, come nel caso dei taxi o delle cassette della posta, anche se qui il colore giallo ha origini diverse e meno prosaiche: deriva infatti dagli stemmi araldici dei Thurn und Taxis, la casata italo-tedesca che inventò il servizio postale e i trasporti pubblici in Europa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Del colore giallo Goethe ebbe a scrivere così: «Possiede una qualità dolcemente stimolante, di serenità e di gaiezza. Si mostra però estremamente sensibile, producendo un’immagine sgradevole quando è sporco... È sufficiente un leggero e impercettibile movimento per farne il colore dell’infamia, della ripulsa e del disagio».
Le ragioni che hanno portato il colore giallo a essere così ambivalente e a trasformarsi da splendido araldo di serenità e gaiezza a cupo manifesto di negatività sono ampiamente spiegate nel libro di Pastoureau, nel quale conviene ora avventurarsi.
Lo studioso osserva innanzitutto che il giallo (come gli altri colori) diventò una categoria cromatica a sé stante dopo che i nostri antenati lo associarono saldamente a realtà naturali quali l’oro, il grano, il miele, l’olio, la cera, le ginestre, i limoni, eccetera. Da qui prese forma la simbologia positiva del colore, che divenne emblema di ricchezza, calore e prosperità.
Gli uomini del Paleolitico (30mila anni prima di Cristo) furono i primi a farne uso come pigmento: lo ricavarono dalle terre argillose ricche di ocre e lo usarono per dipingere gli animali sulle pareti delle grotte (come, ad esempio, a Chauvet in Francia). Poi, con il sopraggiungere dell’età dei metalli, arrivò l’oro, che venne associato al colore del sole e fu offerto agli dei, tesaurizzato nei templi e deposto nelle sepolture. Oro e giallo diventarono per molto tempo la stessa cosa per egizi, greci e romani. L’oro si impiegò a piene mani nelle tombe dei faraoni, le tinte giallo-oro caratterizzarono la pittura vascolare greca e la pittura parietale romana. In latino l’aggettivo aureus non indicava esattamente l’oro, ma il giallo caratteristico dell’oro. Questo colore venne anche associato al culto del sole e della divinità classica: Apollo, il dio della luce che dissipa le tenebre, veniva sempre rappresentato, in dipinti e mosaici, con fluenti capelli biondi.
Però è proprio il veneratissimo giallo-oro a offrire le prime avvisaglie di un ribaltamento semantico. L’oro - meditarono gli antichi - generava avidità, cupidigia, furti, violenza, guerra e tradimenti, e la mitologia classica mise in campo molti esempi per dimostrare il concetto, dal mito dell’età dell’oro, ai pomi del giardino delle Esperidi, alle peripezie legate al vello d’oro, alle vicende di re Mida, fino alle storie (extra mediterranee) dell’oro del Reno nella saga dei Nibelunghi.
Nonostante questi innesti di negatività, il giallo continuò comunque a prosperare. Usando lo zafferano come colorante, si tinsero abiti di grande eleganza destinati ad abbigliare le nobildonne dell’Urbe, e non è un caso che quando i romani rappresentavano la Dea Flora (signora dei fiori e della primavera) la abbigliavano con mantelli di colore giallo. Di più. Da Cicerone apprendiamo che il giallo era la tinta tipica ed esclusiva degli abiti femminili: volendo egli denigrare come effeminato il suo acerrimo nemico Publio Clodio Pulcro, scrisse che costui si aggirava abbigliato in vesti di colore giallo.
Se i greci disponevano della parola xanthòs per indicare in modo onnicomprensivo il giallo vivo e luminoso, e assai raramente attingevano a parole come ochros (giallo ocra), chloros (giallo verdastro), chrysos (giallo oro), melinos (giallo) e krokinos (giallo zafferano), i romani - al contrario - non possedevano nel lessico una parola generica che indicasse il giallo. Usavano cruceus per indicare il giallo zafferano tendente all’arancione, luteus per il giallo dei vegetali (tipo le ginestre), melleus il giallo del miele, vitellus il giallo dell’uovo, flavus per indicare tutto ciò che matura al sole e chi ha i capelli biondi, ed aureus per indicare, appunto, il giallo dell’oro. Interessante apprendere che l’opposto di aureus era ludidus, parola che indicava un giallo sporco e impuro da usare per qualificare la bile, la pelle malata, le piante appassite e le stoffe di scarso valore. Ma per indicare un giallo “brutto” si usava anche un’altra parola: galbus. Ebbene sarà proprio questo termine marginale e negativo ad avere grande fortuna: diventerà il giallo degli italiani, il geld dei tedeschi, il galben dei rumeni, e via di questo passo.
A far cadere in disgrazia il giallo contribuirono vari fattori, a cominciare dalla Bibbia, che praticamente non considerò mai questa parola. I Padri della Chiesa, dal canto loro, si concentrarono soprattutto sull’oro per capire se fosse “luce” o “materia”, o disquisire se fosse lecito o meno usarlo nel culto e nella vita della Chiesa. Sappiamo che i Padri diedero il via libera al giallo e il Medioevo cristiano s’ammantò di oreficerie, dipinti, mosaici e stoffe nei quali si fece largo uso dell’oro. Eppure, proprio durante il Medioevo, il giallo cominciò ad assumere un significato sempre più equivoco. Il giallo non entrò in alcun modo a far parte dei colori usati nei paramenti liturgici cristiani (che sono rossi, bianchi, neri e verdi), mentre l’apostolo traditore, Giuda, compare nei dipinti sempre vestito di giallo: il colore diventa il simbolo del più alto tradimento. Certo, il giallo lo vediamo negli stemmi e nei blasoni dei cavalieri medievali, ma solo perché era considerato un surrogato dell’oro. E comunque assunse sempre più significati negativi: non solo i traditori, ma anche i ciarlatani, i folli e i collerici vennero contraddistinti dal colore giallo delle vesti. Per non parlare dei “perfidi” giudei e della loro “stolta” Sinagoga, sempre identificabili con questo colore (da qui deriva, ahinoi, anche la famigerata stella gialla usata dai nazisti per discriminare i figli di Israele).
Bisogna altresì sottolineare che ottenere il colore giallo non fu mai tecnicamente molto facile, e bisognerà attendere addirittura l’età barocca per vederlo davvero risaltare all’interno dei quadri. È lo stesso periodo in cui Newton cataloga i colori.
A esaltare definitivamente la bellezza del giallo sono stati i pittori tra Ottocento e Novecento (pensiamo a Van Gogh e a Cézanne), mentre in altri campi questa tinta ha continuato a mantenere forti valenze simboliche. Il giallo può essere ad esempio simbolo di vittoria (la maglia gialla del Tour de France) e di protesta (i gilet gialli parigini); oppure segnale di allerta e ammonimento, come avviene per il cartellino giallo dell’arbitro o, più comunemente, per il colore intermedio del semaforo. Può altresì servire a favorire la visibilità, come nel caso dei taxi o delle cassette della posta, anche se qui il colore giallo ha origini diverse e meno prosaiche: deriva infatti dagli stemmi araldici dei Thurn und Taxis, la casata italo-tedesca che inventò il servizio postale e i trasporti pubblici in Europa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Nessun commento:
Posta un commento