sabato 29 giugno 2013
La faccia come il deretano
Con tutto quello che pagano gli americani ai propri luogotenenti, il Corriere ha sbagliato argomento [SGA].
Mezzo miliardo al mese Così Cina, Russia e Iran pagano la guerra di Assad
Una marea di petrolio per tenere in vita il regime
di Davide Frattini Corriere 29.6.13
GERUSALEMME
— I camioncini carichi di materassi e pentole attraversano la
frontiera. I siriani fuggono dalla guerra anche solo per qualche
settimana, si ammassano nelle stanze dei parenti che vivono dall’altra
parte in Libano. I tir carichi di container seguono il percorso inverso,
dal porto di Beirut risalgono verso i valichi, scendono nella valle
della Bekaa, passano la dogana e arrivano a Damasco.
Negli oltre due
anni di guerra i rifornimenti non hanno mai smesso di raggiungere la
capitale. Le merci — racconta un uomo d’affari locale — vengono
scaricate dalle navi con i documenti di consegna che portano i nomi di
commercianti libanesi, come se il materiale dovesse fermarsi lì. Invece
continua il suo viaggio e va a sostenere il regime sotto assedio. Che
paga ancora i suoi conti, perché gli alleati internazionali di Bashar
Assad gli permettono di sopravvivere all’embargo economico imposto dagli
Stati Uniti e dall’Unione europea.
Kadri Jamil, viceministro siriano
dell’Economia, calcola per il quotidiano Financial Times che ogni mese
l’Iran, la Russia e la Cina approvvigionano il Paese con petrolio per
500 milioni di dollari (quasi 385 milioni di euro), concedono crediti e
agevolano le transazioni finanziarie. L’economia è diventata così
dipendente dalle tre nazioni alleate che la Siria utilizza come valute
negli scambi il riyal iraniano, i rubli russi e il renminbi cinese.
«Abbiamo rimediato all’errore commesso prima della crisi e siamo usciti
dal circolo dell’euro e del dollaro. La sterlina siriana è diventata
troppo debole, abbiamo già un piano per rafforzarla nelle prossime
settimane», spiega il viceministro.
Ammette che la situazione è
«molto difficile e complicata», anche perché i ribelli controllano le
province dove si trovano i giacimenti di petrolio. Accusa «i nemici di
condurre una guerra finanziaria oltre che militare». Jamil ha studiato a
Mosca ed è coinvolto nelle discussioni con il Cremlino: «I mercantili
con la bandiera russa scaricano prodotti nei nostri porti. Vorrei vedere
chi ha il coraggio di attaccarle», proclama al quotidiano britannico.
Le zone sulla costa sono rimaste sotto il dominio del regime.
Il clan
degli Assad ha resistito anche grazie al sostegno di imprenditori
locali, non solo alauiti come la famiglia al potere. Khaled Mahjoub è un
sunnita che tra gli anni Ottanta e Novanta lavorava con le piccole
fabbriche della provincia italiana. Adesso investe in costruzioni
eco-sostenibili e si è dato la missione di riavvicinare la Siria
all’Occidente. «Il sistema funziona ancora e va salvato», commenta.
Bashar
Assad, succeduto al padre Hafez nel 2000, ha favorito la nascita di una
nuova classe, uomini d’affari arricchiti dalle privatizzazioni. Come il
cugino (da parte di madre) Rami Makhlouf, che dopo i primi mesi della
rivolta ha dovuto lasciare le numerose partecipazioni (una delle più
importanti nella telefonia mobile) perché era diventato il bersaglio
principale degli slogan creati dai manifestanti e il regime ancora
cercava di calmare le proteste.
Makhlouf aveva promesso di devolvere i
suoi profitti in beneficenza: non vivrebbe più a Damasco, forse si è
rifugiato a Dubai. Dove risiederebbero anche la madre e la sorella di
Bashar e da dove la moglie Asma si faceva spedire sotto falso nome
divani e lampadari di lusso. Fino a febbraio 2012, quando il conflitto
che ha fatto centomila morti andava avanti già da un anno.
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