domenica 26 gennaio 2014

Jacques Le Goff e Giuseppe Galasso su Carlo Magno

L’ultimo imperatore
Le Goff: “Non è vero che Carlo Magno fu padre dell’Europa”Un grandissimo personaggio che però guardava più al passato che al futuroIl 28 gennaio di 1200 anni fa moriva il “Re dei Franchi” Il grande storico del Medioevo smonta i miti sulla sua figura
di Fabio Gambaro Repubblica 27.1.14

PARIGI Milleduecento anni fa, il 28 gennaio 814, moriva ad Aquisgrana Carlo Magno, il re dei Franchi che la notte di Natale dell’anno 800, a Roma, nella Basilica di San Pietro, fu incoronato da Papa Leone III imperatore del Sacro romano impero. Colui che sconfisse i Sassoni e gli Avari, e che nel 774 divenne re anche dei Longobardi, fu uno dei massimi protagonisti dell’Alto medioevo, nella cui azione si è spesso voluto vedere uno dei padri dell’Europa. Come scrisse lo storico Lucien Febvre, «l’impero di Carlo Magno ha dato forma per la prima volta a ciò che noi chiamiamo Europa». Un giudizio con cui però non concorda Jacques Le Goff, per il quale il re dei Franchi, «se è vero che unificò sul piano militare e amministrativo una vasta parte del nostro continente», in realtà «non aveva alcuna coscienza dell’Europa». Lo studioso francese ce ne parla nella sua casa parigina ingombra di libri, cercando di distinguere la leggenda che circonda il personaggio dalla concreta realtà dei fatti storici.
«Nel IX secolo, l’idea d’Europa non esisteva. Avrebbe preso corpo solo molto più tardi», spiega Le Goff che, per festeggiare i novant’anni appena compiuti, manda in libreria un nuovo saggio, Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches? (Seuil, pagg. 208, euro 18). «Facendosi incoronare dal Papa, Carlo Magno non guardava all’avvenire, ma al passato. Il suo modello era l’Impero romano. Più che creare una civiltà futura, voleva far rinascere l’antica civiltà romana, rianimandola grazie al cristianesimo. Naturalmente, resta un grandissimo personaggio storico. Ebbe grandi progetti che in parte riuscì a realizzare,contribuendo a fondere i latini e i germani, la tradizione romana con quella barbara. Da questo punto di vista, fu indubbiamente uno dei fondatori della civiltà medievale, sebbene fosse un guerriero violento e sanguinario come prova lo sterminio dei Sassoni. Fu dunque un protagonista dell’Alto medioevo, ma non un padre dell’Europa».
Eppure la nascita del Sacro romano impero viene vista come un primo abbozzo dell’Europa attuale...
«Lo ripeto. Carlo Magno non perseguiva alcuna idea d’Europa. Pensava all’impero romano. L’ideale europeo nascerà molto più tardi. Ad esempio nel XV secolo,Papa Pio II scrive in latino il trattato De Europa, nelle cui pagine l’Europa s’impone come un’idea presente e un avvenire auspicabile».
Per lei, quali sono gli aspetti significativi dell’azione di Carlo Magno?
«Personalmente, considero capitale una questione che di solito è lasciata in secondo piano dagli storici. Prima di diventare imperatore, in occasione del Concilio di Nicea, egli difese e praticamente impose al cristianesimo l’uso delle immagini, contrapponendosi agli iconoclasti che in quel periodo dominavano l’impero bizantino. Spingendo il cristianesimo ad autorizzare la creazione e la diffusione delle immagini, compresa quelle di dio, Carlo Magno ha dato alla cristianità, vale a dire all’epoca all’Europa, un mezzo d’espressione di grandissimo valore. La storia dell’arte europea gli deve molto».
Sul piano della cultura, si parla di rinascimento carolingio. È corretto?
«Tutto il Medioevo europeo è scandito da una serie di rinascimenti, che nascono sempre nella memoria dell’impero romano. Tra questi vi è anche il rinascimento carolingio, che ha fatto appello a tutte le forze culturali presenti nel Sacro romano impero. Carlo Magno ha riunito attorno a sé molti grandi intellettuali dell’epoca dalle più diverse provenienze: irlandesi, franchi, germani, spagnoli, ecc. In questo ambito, pur senza averne la coscienza né la volontà, si è mosso in una prospettiva europea. Proprio la volontà di dare impulso alla cultura fa di lui una delle figure centrali dell’epoca medievale. Attorno a questo dato storico indiscutibile sono però poi nate molte leggende».
Ad esempio?
«Gli si è attribuito un ruolo importante nella promozione delle scuole e lo si è quasi trasformato in una specie di Jules Ferry del IX secolo. In realtà, la sua azione ha interessato solo un gruppo sociale minoritario, dato che si è limitata a favorire la creazione di scuole per i figli dei nobili. Voleva dare impulso a un’aristocrazia competente destinata all’amministrazione dell’impero. Proprio questo impegno sul piano amministrativo è un aspetto molto importante della sua opera. A questo proposito, si parla spesso degli inviati nelle diverse zone dell’impero, i missi dominici, che però sono solo un dettaglio all’interno di un’azione amministrativa molto più vasta, che si è manifestata tra l’altro con la promulgazione di testi importantissimi come i capitolari».
Si sottolinea spesso l’impegno di Carlo Magno per la diffusione dell’insegnamento delle arti liberali del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica). Anche questa è una leggenda?
«Direi di sì, perché il sistema delle arti liberali, che poi favorirà la nascita delle università alla fine del XII secolo, in realtà esisteva molto prima del suo regno. Il trivio e il quadrivio erano presenti nelle scuole monastiche fin dai tempi di San Benedetto, nel VI secolo. Certo, Carlo Magno ha contribuito alla diffusione di tali insegnamenti, ma nulla di più. Non ne è certo l’iniziatore. È invece importante segnalare l’eredità lasciata nell’ambito della scrittura, grazie alla minuscola carolina utilizzata dagli eruditi in tutti gli stati del Sacro romano impero.
Anche in questo caso, l’invenzione non si deve a lui, ma l’adozione e la diffusione di tale scrittura di cancelleria è un elemento significativo della sua politica intellettuale e della volontà di unificazione».
La sua azione è stata importante per il consolidamento della cristianità?
«Ancora una volta siamo sul terreno del mito, perché la forza e l’influenza del cristianesimo erano già assicurate prima del suo regno. Se il cristianesimo ha continuato a esistere dopo di lui, non dipende certo dalla sua azione. Forse si può interpretare la vittoria sui Longobardi come un contributo alla difesa della cristianità, a me però sembra piuttosto una ripresa della politica di conquista dell’antichità romana. È vero che all’epoca delle crociate Carlo Magno viene considerato un eroe della cristianità. In realtà, però, non è mai stato un crociato, anche se così viene presentato nella Chanson de Roland.
Mentre per quanto riguarda le relazioni con il mondo orientale, ha semplicemente cercato di affermare la propria autorità attraverso alcuni scambi simbolici con i grandi di quella parte del mondo, vale a dire l’imperatrice Irene a Costantinopoli e il califfo Harun al Rashid».
Intorno a Carlo Magno circolano dunque molte tenaci leggende, forse anche di più rispetto ad altri protagonisti della storia medievale. Come si spiega questo destino postumo?
«Il personaggio, che non era certo banale, è stato quasi subito trasformato in un personaggio eccezionale, soprattutto grazie ai poemi epici che molto hanno contribuito alla nascita del suo mito. Più di recente, l’elaborazione della leggenda di Carlo Magno ha conosciuto un altro momento importante dopo la Seconda guerra mondiale, quando, con il trattato di Roma del 1957, ha iniziato a formarsi la comunità europea. I dirigenti di questa Europa che desiderava l’unificazione – Schuman, Adenauer e De Gasperi – erano democristiani e quindi hanno scelto come patrono della nascente Europa proprio Carlo Magno, che per loro era il simbolo della difesa di un continente cristiano. E in questo modo hanno contribuito a rafforzare il mito».



Carlo Magno, primo europeo
Nel suo regno creò una dimensione politica romana, germanica e slava

di Giuseppe Galasso Corriere La Lettura 26.1.14

«Da dove nasce il sole fino alle rive del mare a ponente il pianto agita i cuori»: così inizia un famoso compianto per la morte di Carlo Magno, avvenuta esattamente dodici secoli fa, il 28 gennaio 814, all’età di 71 anni. Era il secondo figlio di Pipino detto il Breve, figlio cadetto di Carlo Martello, il vincitore degli Arabi nella storica battaglia di Poitiers nel 732. Pipino fu il maestro di palazzo che, deposto l’ultimo dei «re fannulloni», con i quali si chiuse la dinastia merovingia che aveva reso grandi i Franchi, si era fatto proclamare re, iniziando una dinastia che, con varie derivazioni, tenne il trono fino alla rivoluzione francese del 1789. A Pipino nel 771 erano succeduti i due figli, Carlomanno, il maggiore, e Carlo. Poi Carlomanno si fece monaco, lasciando Carlo unico sovrano dei Franchi. Chiamato dai Papi, nel 774 aveva conquistato il regno longobardo in Italia. Con una lunga guerra (772-804) assoggettò i Sassoni. Varcò i Pirenei, ma, dopo la sconfitta famosa di Roncisvalle nel 778, si limitò al possesso di piazzeforti in Catalogna e Navarra. Allargò la sua influenza fino alla Boemia e sconfisse e immobilizzò sul Danubio gli Àvari, eredi della furia degli Unni. 
A quel punto era il sovrano di gran lunga più potente d’Europa, con un dominio dall’Ebro all’Elba, dall’Oceano all’alto Danubio, dall’Elba al Tevere, di cui si avvertiva la profonda novità storica e geopolitica. Questa percezione venne incontro sia alle mire dei Papi di staccare del tutto la Chiesa romana e l’Occidente dai residui rapporti con quella millenaria prosecuzione dell’impero romano in Oriente, che noi definiamo impero bizantino, sia alle ambizioni della corte di Carlo di distinguere nettamente il rango di un sovrano così potente da quello dei sovrani «barbarici» che avevano provocato la fine dell’impero romano in Occidente. E ciò mise capo alla pagina forse più celebre della vita di Carlo, e cioè la sua proclamazione a imperatore romano a Roma da parte di Papa Leone III la notte di Natale dell’anno 800. La proclamazione suscitò un aspro contenzioso con l’Oriente. Il titolo imperiale era ritenuto monopolio dei sovrani che a Costantinopoli avevano continuato il nome e la tradizione di Roma. Riconoscere due imperatori romani, di cui uno era fuori del solco della romanità, appariva inaccettabile. Carlo era stato, inoltre, proclamato imperatore dal Papa, e anche questo esulava dalla consuetudine che alla Chiesa riconosceva un potere di consacrazione, non di investitura. 
Era vero, ma non aveva senso, in concreto, rispetto alla straordinaria novità della grande costruzione politica di Carlo, e ancora meno rispetto alla missione che la Chiesa romana si era data e che era ormai giunta alla piena maturità della sua consapevolezza. Alla fine Costantinopoli dovette cedere, e l’Oriente e l’Occidente già romani andarono per strade sempre più diverse fra loro. 
Di chi fu l’idea di quella proclamazione imperiale? Le opinioni degli storici restano molte e diverse. Chi pensa a un’iniziativa pontificia per dare alla Chiesa il ruolo di fonte di sovranità e di titoli politici, nonché di tutrice del massimo sovrano occidentale, sciogliendosi così definitivamente da ogni pretesa sovrana di Costantinopoli sull’Occidente e su Roma, ma anche con la preoccupazione di trovare un più soddisfacente assetto politico e giuridico per i nuovi popoli che avevano invaso e occupato lo spazio europeo d’Occidente già romano, lo avevano ampliato fino all’Elba, lo avevano reso di nuovo potente, si erano convertiti alla fine alla fede romana e avevano trovato nella Chiesa e nel vescovo di Roma un fondamentale e fortemente sentito punto di riferimento civile e spirituale. Chi, invece, propende per un’iniziativa della corte di Carlo, pensa a un’idea di promozione e trasfigurazione del dominio del sovrano, posta sotto il paravento augusto del nome di Roma. 
In realtà, di chiunque fosse l’iniziativa, non era la restaurazione imperiale la massima dimensione di quell’avvenimento. Era proprio l’Europa, quale poi si sviluppò nei tempi moderni, la grande novità che con il nuovo impero prese posto sullo scenario di una storia che da europea sarebbe poi diventata mondiale. E a fronte di ciò perdono un po’ di rilievo anche gli altri grandi aspetti dell’azione di Carlo: l’ordinamento feudale, la «rinascita» culturale che radunò alla corte del sovrano i maggiori dotti e scrittori europe i dall’Irlanda all’Italia, il riconoscimento delle nascenti individualità nazionali nella divisione dell’impero tra i suoi eredi. Certo, come tutti i fondatori di imperi, Carlo aveva conquistato quello spazio europeo con una violenza spesso brutale (alcuni sono convinti che la conversione al cristianesimo imposta ai Sassoni con le armi abbia determinato alcune criticità del germanesimo posteriore). 
Che importa la rapida dissoluzione dell’impero dopo la morte del sovrano franco? L’Europa come consorzio politico era nata con Carlo nella sua triplice dimensione romano-germanico-slava. Non tutti vi avevano già il posto che poi vi avrebbero avuto, ma l’impero sarebbe rimasto come un emblema di comune coscienza europea anche quando se ne sarebbe rifiutata la sovranità e si sarebbe affermato che «nel proprio regno ogni re è imperatore». 
Lo stesso successivo trasferimento del titolo imperiale dai Franchi ai sovrani germanici non comportò nessuna riduzione del significato originario del ritorno carolino dell’impero (si sa che sovrani francesi come Francesco I e perfino Luigi XIV si candidarono alla sua corona). Alla fine, l’impero si rivelò un guscio da rompere del tutto, perché ormai consunto e vano, e vi pensò un altro sovrano francese, Napoleone, mille anni dopo Carlo. Ma in quel guscio era nato di tutto: Stati e nazioni moderne, l’idea delle autonomie e identità locali, l’esigenza di un’etica della politica, la libertà religiosa anche come libertà ecclesiastica, e soprattutto la prima coscienza dell’Europa, quella di corpus christianum. E, benché su Carlo e sul suo impero si sia sempre avuta (e si ha ancora) una retorica untuosa, mitizzante e mistificante (il «padre» o il «patriarca d’Europa» ne è la locuzione più diffusa), il nome del sovrano franco, subito riconosciuto come «grande», resta fra i maggiori protagonisti della storia universale (e uno storico francese scrisse che nel suo caso Magno era stato incorporato nel nome, Charlemagne, come neppure per Alessandro Magno: dove si va a ficcare l’orgoglio nazionale!). Il re analfabeta, che firmava i suoi atti servendosi di uno stampino forato, è stato uno dei maggiori creatori di storia non solo per l’Europa. A maggiore dimostrazione che l’intelligenza e la genialità politica sono un altro affare rispetto all’istruzione e alle ideologie.

Nessun commento: