domenica 26 gennaio 2014
Michele Ciliberto sul concetto di Rinascimento
A Ciliberto qualcuno dovrebbe dire: più Rinascimento, meno politica [SGA].
Eterno Rinascimento
Le Goff lo cancella ma «l’era nuova» si decifra in chiave soprattutto politica L’oggetto del contendere è l’interpretazione della «identità» della cultura e della «coscienza» d’Europa
di Michele Ciliberto l’Unità 26.1.14
IL
PROBLEMA DEL SIGNIFICATO DEL RINASCIMENTO NELLA STORIA EUROPEA RIAPERTO
ORA DA JACQUES LE GOFF CON IL SUO INTERVENTO SUL «MESSAGGERO» È ASSAI
ANTICO: per molti aspetti sono stati proprio gli umanisti a costruire la
ideologia della Rinascenza, cioè di una «età nuova» frontalmente
opposta ai «secoli bui» del Medioevo. Sono poi stati gli illuministi -in
modo particolare d’Alembert nel Discorso preliminare alla Enciclopedia a
sistemare il concetto sul piano filosoficostorico individuando nella
«rinascita» italiana delle arti lettere l’«aurora» del «sole» che si
sarebbe poi compiutamente dispiegato nell’epoca dei lumi.
Come
dimostrano questi autori, il Rinascimento non è mai stato un concetto
storiografico di carattere descrittivo, ma fin dall’inizio ha espresso,
già con il nome, un giudizio di «valore» appunto, il «rinascere» -, ed è
in questi termini che è diventato un archetipo della coscienza e della
autobiografia dei «moderni» dal Quattrocento al XVII secolo, ed oltre.
È
stato però proprio questo elemento fortemente «ideologico» che ha
complicato la discussione sul Rinascimento, perché in essa si sono
intrecciate valutazioni di ordine etico-politico e giudizi di ordine
storiografico, sia negli apologeti dell’«età nuova» che negli studiosi
che, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, hanno insistito sulla
continuità fra Medio e umanesimo, sottolineando la genesi medievale
dello stesso termine che aveva identificato fin dall’inizio e in chiave
polemica l’età nuova : renovatio, rinascentia. Anche nei più autorevoli
rappresentanti di questa tendenza, come ad esempio Konrad Burdach è però
chiaro l’intreccio tra motivi ideologici e giudizi storiografici, come
appare assai evidente dalla polemica che egli svolge, simmetricamente,
sia contro il Rinascimento che l’Illuminismo. Proprio per questo alcuni
storici hanno addirittura proposto di eliminare il termine Rinascimento,
sostituendolo con quello di «età umanistica» un lungo periodo della
storia europea che andrebbe da Petrarca fino a Rousseau appunto dal
Rinascimento all’Illuminismo. Ma è una proposta che, comprensibilmente,
non ha avuto successo.
Di «continuità» o «discontinuità» si discute,
dunque, da molto tempo. Ma per capire la lunga durata e la asprezza di
questa discussione occorre tenere presente l’interpretazione che è stata
data prima dagli Illuministi, poi nell’Ottocento del Rinascimento come
«genesi» del «mondo moderno». Ciò di cui si discute attraverso il
Rinascimento è, precisamente, il carattere, e il significato, di quella
che con termine sommario si è soliti chiamare «modernità». Questa è
stato, in sostanza, il vero oggetto del contendere; ed esso
naturalmente, non riguarda, ovviamente, solo il campo storiografico: qui
in discussione è la interpretazione della «identità» della cultura e
della «coscienza» europea, definita, a seconda dei momenti storici,
secondo parametri differenti. Dalla seconda metà del Novecento, ad
esempio, alla periodizzazione classica del «mondo moderno» incentrata
sul Rinascimento se ne è affiancata, fino a sostituirla, un’altra che fa
capo al paradigma della «rivoluzione scientifica» moderna.
Personalmente, sono persuaso che siano problemi, e discussioni, di cui
sarebbe bene liberarsi se si vuole aprire una nuova stagione negli studi
rinascimentali, ponendo in termini nuovi anche la questione della
«continuità» della storia europea e quello del significato del
Rinascimento, chiarendo però, in via preliminare, un punto. Sul piano
storico sono individuabili, senza dubbio, molte «rinascite», a
cominciare da quella del XII secolo, su cui insistono molto gli storici
francesi; ma il Rinascimento italiano è stato un fenomeno assai più
importante ed significativo, ed ha inciso a fondo nella costituzione
della «coscienza» europea. Quando gli umanisti parlavano di «età nuova» e
gli illuministi di «aurora cinquecentesca» avevano ragione; anche se
nel pieno di una grande battaglia culturale ed etico-politica
enfatizzavano fortemente la rottura con i «secoli bui». In breve: la
«rinascita» è esistita, sul piano storico, anche se ha dato origine a
una secolare «tradizione» storiografica che ne ha selezionato temi e
motivi alla luce di quella che si può chiamare l’«autobiografia» dei
moderni, espressa nel modo più rigoroso e coinvolgente dagli
Illuministi.
Oggi però il problema essenziale è un altro, e risiede
nel guardare al Rinascimento per quello che esso è stato, liberandosi
proprio dal peso di una «tradizione» che ha condizionato a fondo questi
studi e che è ormai non ha più molto da dire. A mio giudizio, è su
queste nuove basirigorosamente storiche che deve essere affrontato il
problema del «significato» del Rinascimento nella storia europea, al
quale fa riferimento Le Goff, analizzando a questa luce anche il
problema della «continuità» europea, e distinguendone forme e livelli.
Qualche
esempio. Si sono consumati fiumi di inchiostro per indagare i rapporti
tra Rinascimento e «scienza moderna» , dando risposte differenti o,
addirittura, opposte a cominciare dal problema del rapporto tra
«ermetismo» e «rivoluzione scientifica» moderna. \Tra Machiavelli o
Bruno e il concetto di «natura» di Spinoza o Cartesio c’è una differenza
radicale e insuperabile, come del resto Cartesio sapeva per primo e
assai bene. Cercare di Individuare «continuità» su questo piano non
serve, se non a creare, o perpetuare, falsi problemi.
Ma dal punto di
vista politico ed etico-politico le cose stanno in modo assai diverso,
come dimostra, ad esempio, il fatto che Spinoza nel Trattato politico
assuma proprio Machiavelli come uno dei suoi principali interlocutori
sulla base di un riconoscimento che sotto la sua penna assume un valore
eccezionale: «risulta che stava dalla parte della libertà». Sul terreno
storico è un problema affascinante sul quale occorrerebbe riflettere
anche dal punto di vista del metodo: l’adesione ad ontologie diverse ed
anche opposte visibile, in questo caso, sul piano della concezione della
natura e della scienza non toglie e non ostacola, la convergenza su
problemi etici e politici fondamentali. La mancata distinzione tra
questi due livelli genera, però, una quantità di discussioni
interessati, certo, sul piano storiografico, e ideologico; ma
inconcludenti sul piano storico. Questo, a mio parere, è oggi il compito
della ricerca sul significato del Rinascimento nel «mondo moderno»:
distinguere piani e livelli e riuscire a individuare nelle differenze,
quando e dove ci siano, motivi ed elementi di affinità o convergenza,
considerando come una «fonte», e solo in quanto tale, la «tradizione»
costruita dai «moderni». I discorsi generali sono importanti e talvolta
divertenti; ma rischiano spesso di essere generici, e perciò inutili sul
piano storico, si intende.
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