venerdì 16 maggio 2014

Il PD è ancora un campo di battaglia ma questa battaglia è ormai decisa: la falange renziana si appresta a vincere su tutta la linea. Anzitutto dentro le teste

L'imbelle ed inutile "sinistra" interna accetterà tutto, limitandosi alla vaga speranza che l'usurpatore cada presto o prima o poi. Non accadrà. E quando accadrà questo partito sarà l'opposto di ciò che è stato in passato.
Chi solleva illusioni frontiste è semplicemente un criminale [SGA].
 
Nuove privatizzazioni? No grazie
In questa situazione servirebbe l’opposto, cioè un rafforzamento dell’intervento pubblico di grandi dimensionidi Laura Pennacchi l’Unità 16.5.14

LA NOTIZIA CHE IL MINISTRO DELL’ECONOMIA PADOAN SI APPRESTEREBBE A UNA intensificazione del programma di privatizzazione - che porterebbe la quota azionaria detenuta dal pubblico in Eni ed Enel ben al di sotto del 30% - lascia sconcertati. Per molte ragioni, la più pressante delle quali è il contesto in cui tale intensificazione privatizzatrice cadrebbe. Un contesto che per il 2014 vede i maggiori paesi dell’eurozona condannati a una crescita del Pil inferiore all’1%, la qual cosa si traduce da un lato in livelli esponenziali di disoccupazione, dall’altro in una perdita enorme di capacità produttiva e di produzione industriale (che per l’Italia raggiunge il -25% rispetto al 2008).
A loro volta la stagnazione dell’eurozona e l’esplosione della disoccupazione rendono manifeste due emergenze: a) la debolezza della domanda privata di lavoro; b) il crollo degli investimenti (in Italia caduti dal 2007 della cifra astronomica del 28,7%). In questa situazione sembrerebbe essere richiesto l’opposto di un ulteriore programma di privatizzazioni. Cioè un rafforzamento dell’intervento pubblico di grandi dimensioni, sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo, un «big push» trainato dal pubblico per lavoro e investimenti, in grado di porre fine alle implicazioni dannose delle politiche di austerità e di invertire la relazione tradizionale: non spingere la crescita per avere lavoro e investimenti, ma creare lavoro e investimenti per generare una crescita qualitativamente rinnovata. D’altro canto insegnamenti storici e contributi recenti - tra cui «The Entrepreneurial State» di Mariana Mazzucato, in corso di traduzione da Laterza - tornano a ribadire ciò che dovremmo sapere da tempo. Lo Stato, le sue politiche industriali e tecnologiche, i suoi programmi di ricerca hanno sempre operato alla base dei vari cicli di innovazione che hanno migliorato la qualità delle nostre vite. Non si è trattato solo di «aiuto» o di «assecondamento» dell’iniziativa privata, si è trattato di vero e proprio traino, indirizzo, promozione, spinta realizzati dall’operatore pubblico, direttamente e indirettamente. Si pensi al ruolo giocato dal Cern per la fisica o dai programmi spaziali per Internet o dal National Institute of Health negli Usa per la farmaceutica.
Oggi urgono l’esigenza di contrastare la debolezza della domanda privata di lavoro e la fragilità dell’attitudine privata all’investimento, così come il bisogno di ideare e costruire un nuovo modello di sviluppo - visto che il vecchio, quello neoliberista, è deflagrato con la crisi globale - che sia articolato sulla domanda interna e sui consumi collettivi: conversione ecologica dell’economia, energie rinnovabili, risparmio energetico, tecnologie dell’informazione, riqualificazione delle città e dei beni culturali, sistema del welfare state. Chi può farsi carico di questa esigenza e di questo bisogno se non l’operatore pubblico, ridefinito a scala europea, ma che anche a scala nazionale e non rinunzi alla sua funzione di interprete del bene comune e pertanto si avvalga di tutti i suoi strumenti, comprese le imprese variamente pubbliche, di cui è quindi sbagliato disfarsi privatizzandole? Politiche pubbliche eterodosse possono affrontare insieme sia le carenze di domanda sia gli squilibri di offerta.
Bisogna anche tener conto del significato che assume la terza ondata di privatizzazioni che sotto la spinta delle visione deflazionistica dell’austerità si sta lanciando in Europa. Cosi come la finanziarizzazione dei decenni passati ha costituito la ricerca e la conquista di nuove occasioni di profittabilità - affidate alla droga delle «bolle» finanziarie e immobiliari e dunque all’esplosione dell’indebitamento privato (assai più che di quello pubblico) - da parte di un capitalismo che dal compromesso keynesiano e dai «trenta gloriosi» prevalsi alla fine della seconda guerra mondiale aveva visto ridimensionate le proprie aspettative di profitto, oggi il capitalismo è nuovamente alla caccia di inesplorate occasioni di profittabilità e le cerca nelle aree in cui fin qui è prevalsa la protezione della responsabilità collettiva e in quelle “demercatizzate” e “demercificate”, sottratte al dominio del mercato e della mercificazione e quindi a prevalenza di servizi pubblici. Ma queste sono proprio le aree dei beni pubblici, della ricerca di base, dei beni sociali, dei beni comuni, del welfare state, in cui maggiormente si avverte il bisogno della spinta dell’operatore pubblico.
Si obietta che le imprese pubbliche sono esposte strutturalmente all’inefficienza e alla “cattura” da parte di interessi politico-lobbistici. Ma cosa pensare dell’inefficienza - e dell’irrazionalità - che il mercato e le imprese private spesso manifestano e del loro frequente asservimento a interessi opachi? Senza dire che un’analisi anche solo superficiale dei risultati raggiunti nelle ondate precedenti di privatizzazioni vede drammaticamente peggiorati tutti gli indicatori, per occupazione, valore aggiunto, produttività, indebitamento, investimenti (si pensi in Italia al mancato decollo della banda larga connesso alla privatizzazione di Telecom). Il panorama dell’assetto produttivo e industriale italiano è oggi talmente deteriorato che Pierluigi Ciocca - curatore con Roberto Artoni di una straordinaria ricerca sulla storia dell’intervento pubblico italiano - discute apertamente della desiderabilità della ricostituzione dell’Iri. Il che non significa negare che ci sia necessità di una grande iniziativa di recupero di efficienza e qualità nell’azione pubblica. Molti anni fa Pasquale Saraceno ha dimostrato la possibilità che amministratori delle imprese pubbliche e amministratori delle imprese private seguissero esattamente gli stessi criteri di efficienza. Gli “enti di gestione” dovevano rispondere delle finalità di interesse pubblico a loro attribuite contenendo i costi entro le risorse specificamente allocate ed esercitando un rigoroso controllo sugli amministratori, adeguatamente selezionati, delle aziende controllate. Questo avrebbe consentito allo Stato di operare sia come “stratega” nell’individuazione dei settori e degli obiettivi, sia come azionista che ha a cuore l’operatività efficiente delle sue imprese. A questa indimenticata e ineguagliata lezione bisogna ritornare.

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