domenica 26 ottobre 2014
Dura solo un attimo, la gloria: l'autobiografia di Dino Zoff
Risvolto
«Ho giocato a calcio per quarant'anni, di cui undici di fila, senza
riposarmi mai, nemmeno per una domenica, nemmeno con la febbre e con gli
acciacchi. Quarant'anni trascorsi con la faccia affondata nell'erba, o
nel fango, o sulle righe di gesso dell'area di rigore, con gente pronta a
staccarti la testa pur di arrivare un secondo prima di te su una palla.
Qualche volta ho perso, più spesso ho vinto, ma questo non è così
importante. Mi hanno chiamato mito, monumento, leggenda. Le mie mani
sono finite in un francobollo commemorativo firmato da Guttuso. Ho
giocato a scopone con Sandro Pertini, scherzato con Karol Wojtyla,
viaggiato con Gheddafi, mi sono confidato con Gianni Agnelli. Ho
conosciuto ladri, poeti, eroi, capi di stato, bancarottieri, alcolisti. E
oggi, dopo tutto questo, posso dire che aveva ragione nonna Adelaide,
friulana dura come il mogano ma dolcissima: "È passato Napoleone che
aveva gli speroni d'oro agli stivali, figurati se non passa anche il
resto". Tutto cominciò proprio con lei, a pensarci bene. In un
pomeriggio qualunque di sessant'anni fa, a Mariano. Collezionavo foto
sbiadite di portieri, strappate dai pochi giornali che arrivavano in
paese, e sognavo di diventarlo anch'io. Ma ero mingherlino, crescevo
poco, e per questo mi faceva mangiare uova ogni giorno. Poi quel
pomeriggio si mise a giocare con me: tirava le prugne in aria e io
dovevo prenderle al volo. Era un gioco per modo di dire: nelle case dei
contadini, il cibo non si spreca, mai. Quindi, se volevo continuare a
giocare con lei, dovevo prenderle tutte. Iniziò così. E arrivò tutto il
resto. Il pallone vero, l'Udinese, il Mantova, il Napoli, la Juventus. I
momenti belli e i momenti brutti. I campioni visti da vicino, gente
geniale, dal talento divino, Sivori, Pelé, Altafini. E poi ancora la
panchina da allenatore, la Nazionale in ogni sua forma. Le coppe, i
fischi, i record. Ma, soprattutto, sono arrivati gli uomini veri, quelli
dritti e silenziosi come mio padre. Gaetano ed Enzo, Scirea e Bearzot,
amici, fratelli, esempi. Persone devote alla cultura del lavoro, della
serietà, consapevoli anche loro che tutto passa, tranne la soddisfazione
e la serenità di chi ha fatto il proprio dovere, fino in fondo. È a
quegli uomini e all'intelligenza dei loro silenzi che penso ancora oggi,
settant'anni e cento mestieri dopo. Succede ogni giorno,
all'improvviso, quando al circolo, al golf, o al parco con i miei
nipoti, mi capita di sentire il profumo dell'erba. Allora non riesco a
domare un brivido, una nostalgia bellissima, istintiva. E mi dico che
sì, aveva ragione mia nonna, la gloria dura un attimo solo. Ma certi
attimi, se li sai coltivare, possono durare una vita intera.»
Antonio D’Orrico La Lettura
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