domenica 26 ottobre 2014

Un anti-Juenger. I racconti della Prima guerra mondiale Leonhard Frank

Leo­n­hard Frank: L’uomo è buono, Del Vec­chio, pp. 324, euro 15,00

Risvolto

L'origine del male e L’uomo è buono vengono scritti ed elaborati nel primo anno della Grande Guerra. Leonhard Frank non cede alla mitizzazione del progresso, della potenza, dell’organizzazione e della necessità della guerra e decostruisce, nelle sue novelle, i percorsi che hanno portato alla tragedia: la tendenza alla sopraffazione e la propensione all’adattamento, alla conservazione dello stato delle cose per timore della sofferenza, il pessimismo. In L’origine del male Anton Seiler, un poeta messo a dura prova dagli eventi della vita eppure ancora fedele ai propri ideali, sente la necessità enigmatica di tornare nella sua città natale dove incontra per caso il suo sadico maestro di scuola. Un tentativo di riconciliazione si trasforma in delitto, e il poeta viene arrestato. Rischia la pena di morte. Sarà lo svolgimento del processo a farci conoscere la vera origine del crimine e le sue conseguenze. L’uomo è buono è un ciclo di cinque novelle: in ognuna un protagonista ci trasporta nella sua visione della guerra e della sofferenza. La sciagura e il dolore, mascherati da onore e sacrificio, vengono qui svelati in tutta la loro indigesta oggettività. La narrazione scoperchia il vaso di Pandora per affrontare la realtà dei mali uno a uno, in un energico slancio verso la reazione, verso l’ottimismo e la
presa di coscienza della forza del singolo, perché “l’uomo potrà essere e sarà umano quando non sarà più costretto all’inumanità”.


Leonhard Frank, la galleria del dolore di un pacifista 
"L'uomo è buono", tradotte le novelle del 1917. Il padre, la vedova di guerra, la madre, gli sposi, i mutilati: cinque ritratti che aggiungono dolore a dolore, in un crescendo ossessivo contro la follia dell’Europa «che non sa più amare...»

Giuseppe Dolei, Alias il Manifesto 26.10.2014 
Sotto il titolo com­ples­sivo L’uomo è buono (pp. 324, euro 15,00) la bene­me­rita edi­trice Del Vec­chio ha appena pub­bli­cato, nella impec­ca­bile tra­du­zione e cura di Paola Del Zoppo, il rac­conto L’origine del male (Die Ursa­che, 1915) e appunto l’antologia L’uomo è buono (Der Men­sch ist gut. Novel­len, 1917) di Leo­n­hard Frank. Il volume ha il merito di ripro­porre al let­tore odierno la prosa inci­siva e cri­stal­lina di uno scrit­tore mili­tante, coe­rente sino alla fine della sua movi­men­tata vita (Würz­burg 1882-Monaco 1961). Né vale meno il merito di addi­tare, in que­sto cen­te­na­rio della prima guerra mon­diale, l’esempio di un appas­sio­nato paci­fi­sta tede­sco, che nello scop­pio del con­flitto vide luci­da­mente la rovina dell’Europa, a pre­scin­dere dal suo esito. Giac­ché Leo­n­hard Frank non ebbe biso­gno di aspet­tare il clima liber­ti­cida del nazi­smo per espa­triare. Avendo pub­bli­ca­mente schiaf­feg­giato un gior­na­li­sta che inneg­giava all’affondamento del «Lusi­ta­nia» (1915), dichiarò nel con­tempo di essere con­tra­rio alla guerra. Il che gli valse un’accusa di vili­pen­dio della patria che lo indusse a ripa­rare in Sviz­zera.

Ma chi era Leo­n­hard Frank? Quarto figlio di un fale­gname, nasce e cre­sce povero in un povero quar­tiere di Würz­burg. L’istruzione è per­ciò quella di un arti­giano che rie­sce a diplo­marsi e a otte­nere una borsa per stu­diare pit­tura all’Accademia di Belle Arti di Monaco. Dove la sua esi­stenza com­pie un salto di qua­lità, senza però riu­scire a met­tersi in sin­to­nia con le avan­guar­die: Der blaue Rei­ter a Monaco, come poi a Zurigo il dadai­smo. Anche nei con­fronti della nascente psi­coa­na­lisi l’approccio del nostro è segnato da cauto prag­ma­ti­smo. Si appas­siona alle teo­rie psi­co­lo­gi­che di Otto Gross e ne segue gli inse­gna­menti per qual­che anno. Ma la morte della fidan­zata Sophie Benz, vit­tima del liber­ti­nag­gio pre­di­cato e pra­ti­cato da Gross, lo induce a cam­biare città(da Monaco a Ber­lino), men­tre rinun­cia alla pit­tura per la scrit­tura.
Tut­ta­via L’origine del male riprende da Gross la teo­ria secondo la quale un indi­vi­duo sot­to­po­sto a pesanti umi­lia­zioni nell’infanzia può in età matura com­met­tere un delitto senza essere un cri­mi­nale, ma solo per­ché non è riu­scito a supe­rare il trauma della vio­lenza inflitta quando non poteva rea­gire. È il caso del pro­ta­go­ni­sta di que­sto rac­conto, il poeta povero Anton Sei­ler, che da Ber­lino decide di tor­nare al paese natio per rego­lare final­mente i conti con il suo sadico mae­stro Mager. Costui è un rap­pre­sen­tante esem­plare dell’autorità di stampo gugliel­mino, dedito a edu­care gli sco­lari a diven­tare sud­diti per­fetti, del tipo eter­nato da Il sud­dito di Hein­rich Mann. Mager ha già spinto al sui­ci­dio la sorella di Anton Sei­ler, pic­chiata davanti a tutta la classe a gonne alzate. E anche Anton riceve una per­versa puni­zione che lo mar­chia a vita. Durante una gita sco­la­stica nel bosco di Guten­berg tut
ti i par­te­ci­panti entrano in una locanda a risto­rarsi con un bic­chiere di latte. Tutti, tranne Anton Sei­ler, costretto dal mae­stro a restare fuori dal locale, per­ché non ha i dieci pfen­nig per pagarsi il latte. La povertà viene quindi punita con l’emarginazione. Tante altre ingiu­sti­zie pre­po­tenze offese ha subito da allora l’indole sen­si­bile del poeta. Ma quella prima umi­lia­zione assume un valore arche­ti­pico nella sua vita. L’episodio è rima­sto come un maci­gno sospeso sulla sua esi­stenza. Da qui la deci­sione di supe­rare infine il trauma con una visita al vec­chio mae­stro: «Mager avrebbe dovuto rico­no­scere il suo errore e chie­der­gli scusa. Gli avrebbe dato la forza di puri­fi­carsi, per una vita nuova, più valida» (pag. 37). Suc­cede invece che pro­prio durante la visita Sei­ler assi­ste ancora alla scena del mae­stro che mal­tratta sadi­ca­mente un bam­bino: in quello sven­tu­rato, umi­liato e sin­ghioz­zante, Sei­ler rivede ancora una vit­tima dei metodi di Mager. Rima­sto solo con lui, gli rin­fac­cia l’episodio che lo ha mar­chiato a vita, lo afferra per il collo e lo strozza con­tro la parete.
Il pro­cesso che segue si con­clude con la con­danna a morte. La quale inte­ressa a Frank meno del dibat­ti­mento che la pre­cede. Da una parte, la corte, il pub­blico mini­stero e i giu­rati, che si spie­ghe­reb­bero l’omicidio di Mager col furto di cento mar­chi, che Sei­ler aveva casual­mente arraf­fato. Ma non rie­scono a capire l’importanza del trauma infan­tile. Dall’altra il poeta, che esorta appas­sio­na­ta­mente la corte a non fer­marsi alle cause super­fi­ciali di un delitto. Nell’Europa odierna, rosa da un can­cro morale, di chi è la colpa di un cri­mine? A risa­lire alle vere ori­gini del male, «la colpa è dell’intero genere umano. Nell’individuo defla­gra la colpa di tutti» (pag. 99). Gli inno­centi infatti godono per nascita di un grosso pri­vi­le­gio. Nell’immenso imbuto sociale i bene­stanti, i pila­stri della società, occu­pano la parte supe­riore, più ampia e comoda, dove tra­scor­rono l’esistenza senza essere espo­sti alle ten­ta­zioni del biso­gno. In basso invece, dove l’imbuto si restringe, «milioni di per­sone ven­gono costrette a sop­por­tare la povertà, a istu­pi­dirsi nella mise­ria e affon­dare» (pag. 98). È un ragio­na­mento che strappa il plauso del pub­blico, ma che la corte respinge come fan­ta­sti­che­ria.
Se l’indagine de L’origine del male intrec­cia stret­ta­mente psi­coa­na­lisi e cri­tica sociale, il paci­fi­smo esplode con tutta la sua forza nei cin­que ritratti che com­pon­gono L’uomo è buono: il padre; la vedova di guerra; la madre; gli sposi; i muti­lati di guerra. Ogni capi­tolo aggiunge nuovi orrori al pre­ce­dente, a seconda del ruolo della per­sona col­pita dalla guerra nei suoi affetti più cari. Ne risulta un’opera costruita sul cre­scendo del dolore, una gal­le­ria di per­so­naggi ed epi­sodi che osses­si­va­mente ripor­tano al Leit­mo­tiv della fol­lia che ha sca­te­nato la guerra: «L’Europa intera è folle, per­ché non sa più amare. Non è una fol­lia gioire alla noti­zia: Due­mila cada­veri fran­cesi giac­ciono sul nostro fronte?» (pag.146). Fran­cese o tede­sco, un caduto è un essere umano che «voleva tanto vivere ed è morto. Per che cosa? Per­ché?» (147). Per l’onore, è la rispo­sta delle auto­rità mili­tari. Quando a Robert comu­ni­cano che l’adorato figlio unico è caduto «sul campo dell’onore», si rende conto che il suo immenso dolore viene ripa­gato da una parola vuota di signi­fi­cato, una men­zo­gna infer­nale capace di tra­sci­nare tutto un popolo a sof­fe­renze mostruose. Simil­mente non fun­ziona la con­so­la­zione data alla vedova di guerra: suo marito è morto «sull’altare della patria». Esi­ste una cosa del genere? La donna «con­ti­nuava a vedere l’altare di fronte al quale, da ragazza, aveva preso la Prima Comu­nione, vedeva le can­dele e l’immagine di Cri­sto» (154). Ma l’altare della patria non sta in una chiesa, sib­bene in campo di com­bat­ti­mento. Si dovrebbe dun­que dire che il marito è morto sul filo spi­nato della patria.
Il cul­mine della fol­lia si tocca con mano tra i morti, orren­da­mente sfre­giati, e, forse ancora di più, tra i muti­lati. Il muti­lato è colui che ha avuto la for­tuna di essere ampu­tato prima di morire dis­san­guato. Nella sala ope­ra­to­ria improv­vi­sata, che lo scrit­tore defi­ni­sce «cucina del macel­laio», il capi­tano chi­rurgo non ce la fa a sta­bi­lire le prio­rità, tanti sono i feriti che neces­si­tano di ampu­ta­zioni. L’intensità del suo lavoro è misu­ra­bile a vista d’occhio: «Le mani segate, le brac­cia, i piedi, le gambe gal­leg­giano nel san­gue, tra ovatta e pus, in una tinozza tra­spor­ta­bile che viene svuo­tata ogni sera» (229). Lo sta­tus di muti­lato è dun­que rag­giunto dopo sof­fe­renze inau­dite e porta con­se­guenze per tutto il resto della vita. Che se ne fa della vita un fab­bro a cui hanno ampu­tato il brac­cio destro? E chi ha perso la vista resta ancora più dispe­rato: «Non vedere mai più…! Non vedrò mai più mia moglie. E chi mi guida? E non vedrò mai più una strada…» (238). All’orrore della «cucina del macel­laio» si alter­nano i bilanci nume­rici, spa­ven­tosi nelle loro cifre. Il capi­tano chi­rurgo stima in cin­que milioni il numero degli ampu­tati. Cal­co­lando una lun­ghezza media di qua­ranta cen­ti­me­tri per ogni ampu­ta­zione, si arriva a un totale di 2.500 chi­lo­me­tri di mem­bra umane: si potrebbe costruire un maca­bro bina­rio che da Ber­lino arriva sino a Essen e ritorno.
Quale l’esito di tanta bar­bara fol­lia? Leo­n­hard Frank adom­bra il sor­gere spon­ta­neo di una pro­te­sta che si ingrossa sem­pre più, in uno ster­mi­nato cor­teo, per l’adesione di tutte le vit­time della guerra. L’uomo è buono, ma pro­prio que­sta sua bontà e la quan­tità mostruosa del dolore pro­vo­che­ranno la rivoluzione.

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