martedì 28 ottobre 2014

La vera riforma costituzionale c'è già stata


Image of Il Tempo delle Costituzioni. Dall'Italia all'Europa

Giu­seppe Alle­gri e Giu­seppe Bron­zini: Il tempo delle Costi­tu­zioni. Dall’Italia all’Europa, Mani­fe­sto­li­bri, pp. 191, euro 19

Risvolto
Questo volume indaga la riapertura della «questione costituzionale» in Italia, dinanzi alle radicali trasformazioni del tessuto sociale e produttivo realizzate dal liberalismo all'italiana del «ventennio ber- lusconiano».
Al tempo stesso mette a fuoco la dimensione istituzionale propria- mente europea, sconvolta dal crescente rilievo del «diritto europeo dell’emergenza» che, con il Fiscal Compact e gli altri Trattati interna- zionali varati per cercare di fronteggiare la crisi dell’Eurozona, ha profondamente mutato il tradizionale «quadro comunitario» (che si era cercato di rafforzare con il Trattato di Lisbona entrato in vigore nel dicembre 2009) entro il quale operavano le politiche dell’Unione. Si è determinato così anche un conflitto strisciante tra gli accordi di diritto internazionale sottoscritti dagli Stati sovrani e le istituzioni dell'Unione europea.
L’obiettivo dei saggi che compon gono il volume è quello di affronta- re le crisi istituzionali ed economiche rivendicando spazi politici, sociali e istituzionali dove affermare inedite pratiche democratiche, nuovi diritti e politiche sociali che rispondano a criteri di giustizia ed equità, lottando contro il progressivo concentramento della ricchezza nelle mani di sempre più ristrette élites globali.


La lunga marcia dei costituenti 
Derive continentali. Una via di uscita dalla «decostituzionalizzazione» degli assetti istituzionali è lastricata di insidie. Per questo le esperienze che contrastano un modello di società basato sul libero mercato possono fornire gli elementi in grado di dar vita a innovativi processi giuridici sia a livello nazionale che sovranazionale. Un percorso di lettura a partire dal volume «Il tempo delle costituzioni»

Sandro Mezzadra, il Giornale 28.10.2014 

«Siamo dinanzi», tanto in Ita­lia quanto in Europa, «a un tren­ten­nio di tra­sfor­ma­zioni isti­tu­zio­nali»: si apre con que­sta con­sta­ta­zione il libro curato da Giu­seppe Alle­gri e Giu­seppe Bron­zini, Il tempo delle Costi­tu­zioni. Dall’Italia all’Europa (Mani­fe­sto­li­bri, pp. 191, euro 19). La prima com­mis­sione bica­me­rale per le riforme costi­tu­zio­nali, la cosid­detta «Com­mis­sione Bozzi» che comin­ciò i pro­pri lavori nell’autunno del 1983, e l’approvazione del «Pro­getto Spi­nelli» da parte del Par­la­mento euro­peo nel feb­braio dell’anno suc­ces­sivo segnano l’avvio di una «tran­si­zione» che, tanto in Ita­lia quanto in Europa, appare ben lungi dall’essersi con­clusa. Pur evi­den­te­mente intrec­ciati, i due pro­cessi hanno tempi e carat­teri pecu­liari, da non dimen­ti­care. Con­si­de­rarli insieme, o quan­to­meno met­terli in riso­nanza, aiuta tut­ta­via a illu­mi­nare il campo di ten­sioni e di forze al cui interno si sono pro­dotte tra­sfor­ma­zioni che hanno inve­stito lo stesso con­cetto di costi­tu­zione. È in fondo que­sto il pro­blema al cen­tro del volume, su cui sono chia­mati a con­fron­tarsi, tra gli altri, costi­tu­zio­na­li­sti del cali­bro di Gae­tano Azza­riti, Luigi Fer­ra­joli e Ste­fano Rodotà, giu­ri­sti impe­gnati nelle lotte per i beni comuni (Maria Rosa­ria Marella) e pro­ta­go­ni­sti del dibat­tito cri­tico sulla poli­tica in Europa, come ad esem­pio Étienne Bali­bar, Gia­como Mar­ra­mao e Toni Negri. 

Il salto federale 
Non è un pro­blema astratto, quello del signi­fi­cato che assume oggi la costi­tu­zione. A seconda del modo in cui la si intende, si pon­gono in modo diverso que­stioni poli­ti­che fon­da­men­tali e del tutto con­crete: non solo l’atteggiamento da tenere di fronte al «patto del Naz­za­reno» o allo stesso attacco all’articolo 18 e a quello sta­tuto dei lavo­ra­tori di cui è stato spesso evi­den­ziato il por­tato appunto «costi­tu­zio­nale», ma anche la pos­si­bi­lità di assu­mere il piano nazio­nale come rife­ri­mento pri­vi­le­giato per la riqua­li­fi­ca­zione della demo­cra­zia o la neces­sità di spo­stare sul ter­reno euro­peo il bari­cen­tro dell’azione poli­tica. E ancora: su quest’ultimo ter­reno, quello della Ue, occorre for­zare un «salto fede­rale» (Bron­zini), in sostan­ziale con­ti­nuità con la moderna sto­ria costi­tu­zio­nale del fede­ra­li­smo, oppure con­viene bat­tere strade nuove, come ad esem­pio quella dell’«integrazione attra­verso la solu­zione dei con­flitti» qui pro­po­sta da Ste­fano Giub­boni e Chri­stian Joer­ges?
Le posi­zioni su que­sti temi pre­senti nel libro curato da Alle­gri e Bron­zini sono assai varie­gate. Quel che col­pi­sce, tut­ta­via, è la sostan­ziale con­ver­genza sulla dia­gnosi, docu­men­tata da un uso tra­sver­sale, per così dire, di un ter­mine forse non ele­gan­tis­simo ma certo effi­cace nel cogliere alcuni carat­teri essen­ziali dello sce­na­rio che abbiamo di fronte: deco­sti­tu­zio­na­liz­za­zione. Che cosa si intende con que­sto ter­mine? La costi­tu­zione, come mostra in modo effi­cace Giso Amen­dola nel suo sag­gio, ha avuto sto­ri­ca­mente due fun­zioni essen­ziali: quella di porsi come «limite e vin­colo all’esercizio del potere», attra­verso un sistema di garan­zie e diritti, e quella di fon­dare l’unità poli­tica dello Stato, arti­co­lan­done l’organizzazione e i rap­porti con i sog­getti. Par­lare di «deco­sti­tu­zio­na­liz­za­zione», come si fa ormai ampia­mente nei dibat­titi giu­ri­dici inter­na­zio­nali, signi­fica richia­mare l’attenzione sull’indebolimento di entrambi que­sti lati della costi­tu­zione. E signi­fica in par­ti­co­lare sot­to­li­neare le ten­denze a una mol­ti­pli­ca­zione di livelli e attori di potere che sfug­gono alla rego­la­zione costi­tu­zio­nale pur inter­ve­nendo, spesso in modo estre­ma­mente inci­sivo, su ter­reni tra­di­zio­nal­mente defi­niti di «rile­vanza costi­tu­zio­nale».
L’Unione Euro­pea è spesso assunta come campo pri­vi­le­giato di ana­lisi di que­ste ten­denze, ma è più in gene­rale l’ampia let­te­ra­tura su diritto e glo­ba­liz­za­zione ad averne messo a fuoco alcuni pro­fili deci­sivi. E l’attenzione si è spesso con­cen­trata, ovvia­mente, sul mutato rap­porto tra eco­no­mia e poli­tica nel tempo del «neo­li­be­ra­li­smo». È un tema cen­trale anche in molti capi­toli di Il tempo delle Costi­tu­zioni. Luigi Fer­ra­joli, ad esem­pio, descrive in modo molto pre­ciso il dop­pio pro­cesso di deco­sti­tu­zio­na­liz­za­zione che si è dispie­gato tanto a livello nazio­nale quanto a livello euro­peo, rin­ve­nen­done il signi­fi­cato di fondo in un «muta­mento in senso libe­ri­sta della costi­tu­zione eco­no­mica delle nostre demo­cra­zie»: ovvero nella crisi di quel modello costi­tu­zio­nale, pre­va­lente nell’Europa occi­den­tale della seconda metà del Nove­cento, «basato sull’ovvia sovra-ordinazione della sfera pub­blica alle sfere eco­no­mi­che pri­vate». In un altro bel con­tri­buto al volume, Giub­boni e Joer­ges ricor­rono all’opera di Karl Pola­nyi per ana­liz­zare cri­ti­ca­mente il movi­mento attra­verso cui i mer­cati hanno ten­tato negli ultimi anni di svin­co­larsi da ogni forma di rego­la­zione sociale e poli­tica, nel qua­dro di un ulte­riore appro­fon­di­mento della mer­ci­fi­ca­zione di lavoro, terra e denaro, ovvero di quelle che l’economista austro-ungherese defi­niva «merci fittizie». 

Il mana­ge­ment della crisi
Si tratta di ana­lisi utili e rigo­rose. Di tanto in tanto, tut­ta­via, l’impressione è che l’«economia» e i «mer­cati» ven­gano con­si­de­rati in modo ecces­si­va­mente astratto, senza fare i conti fino in fondo con la mate­ria­lità delle tra­sfor­ma­zioni e dei pro­cessi che costi­tui­scono i carat­teri spe­ci­fici del capi­ta­li­smo con­tem­po­ra­neo. Non si vuole qui pro­porre un’analisi ridu­zio­ni­stica delle costi­tu­zioni, con­si­de­rate mera «sovra­strut­tura» del rap­porto sociale di capi­tale. Dovrebbe tut­ta­via essere evi­dente che la rego­la­zione costi­tu­zio­nale di que­sto rap­porto si trova di fronte pro­blemi diversi a seconda che il capi­ta­li­smo sia orga­niz­zato su base indu­striale e nazio­nale o su base finan­zia­ria e glo­bale. Diverse sono le dina­mi­che da rego­lare, diversi sono soprat­tutto i sog­getti in campo (per accen­nare a un tema essen­ziale, affron­tato in par­ti­co­lare da Amen­dola, Marella, Bonac­chi e Giorgi nei loro con­tri­buti). Si pone qui la que­stione della «costi­tu­zione finan­zia­ria», per ripren­dere i ter­mini uti­liz­zati da Rodotà, ovvero, seguendo l’analisi di Toni Negri, di un capi­ta­li­smo che pro­prio per via dei pro­cessi di finan­zia­riz­za­zione, assume sem­pre più una natura «estrat­tiva», azze­rando ten­den­zial­mente quel ter­reno di media­zione dia­let­tica tra capi­tale e lavoro su cui si erano impian­tate le costi­tu­zioni post­bel­li­che.
Il mana­ge­ment euro­peo della crisi, ovvero quel «diritto euro­peo dell’emergenza» la cui costru­zione è stata avviata a par­tire dal 2010, è una pecu­liare espres­sione (non l’unica pos­si­bile, e non neces­sa­ria­mente la più ade­guata) delle pro­fonde tra­sfor­ma­zioni inter­ve­nute nella natura stessa del capi­ta­li­smo. Tanto Bron­zini quanto Giub­boni e Joer­ges ana­liz­zano in modo molto effi­cace que­sto regime di gestione della crisi, che ha avuto la pro­pria con­sa­cra­zione nel fiscal com­pact e nell’istituzione del Mes (Mec­ca­ni­smo Euro­peo di Sta­bi­lità). E mostrano bene come esso abbia deter­mi­nato una cesura nella stessa con­ti­nuità del pro­cesso di inte­gra­zione euro­pea, spesso inter­pre­tato attra­verso la for­mula «inte­gra­zione attra­verso il diritto» e il con­nesso rife­ri­mento al «metodo comunitario». 

Default demo­cra­tico
La nuova posi­zione (costi­tu­zio­nale, si potrebbe aggiun­gere) della Banca Cen­trale Euro­pea e l’organizzazione di un nuovo com­plesso di norme e poteri a sal­va­guar­dia dell’euro e della disci­plina fiscale, sostan­zial­mente al riparo da ogni «logica di rap­pre­sen­tanza poli­tica e isti­tu­zio­nale» (Bron­zini), hanno por­tato un osser­va­tore attento come Gian­do­me­nico Majone a par­lare del rischio di un pas­sag­gio dal «defi­cit demo­cra­tico» (di cui si parla da molto tempo a pro­po­sito della Ue) a un vero e pro­prio «default demo­cra­tico». Non che man­chino con­flitti e con­trad­di­zioni all’interno di que­sto assetto di potere (ad esem­pio tra la Banca Cen­trale Euro­pea e la Bun­de­sbank): ma tanto i con­flitti quanto le media­zioni si gio­cano all’interno della mede­sima «parte», a con­ferma di quanto si diceva sulla natura del capi­ta­li­smo finan­zia­rio.
Se le cose stanno così come sche­ma­ti­ca­mente le si sono rias­sunte, come costruire un’alternativa in cui possa rico­no­scersi l’altra «parte», ovvero la nostra? La dimen­sione nazio­nale, almeno in Europa, appare del tutto spiaz­zata dai pro­cessi che si sono indi­cati par­lando di deco­sti­tu­zio­na­liz­za­zione e di finan­zia­riz­za­zione del capi­ta­li­smo. Que­sto non signi­fica che debba essere abban­do­nata, ma che la si può riqua­li­fi­care sol­tanto attra­verso un’azione che assuma come obiet­tivo e pre­sup­po­sto la con­qui­sta dello spa­zio euro­peo, strap­pato alle forze che oggi lo domi­nano e a quelle che pre­ten­dono di con­ten­der­glielo agi­tando le parole d’ordine rea­zio­na­rie dei diritti dei popoli e delle nazioni. Diversi con­tri­buti rac­colti nel volume comin­ciano a indi­care gli ele­menti fon­da­men­tali di un pro­gramma poli­tico all’altezza di que­sto com­pito, sul ter­reno di un nuovo wel­fare, di nuovi diritti, di una nuova poli­tica del lavoro e della coo­pe­ra­zione. Si tratta, evi­den­te­mente di un com­pito che non può che essere defi­nito costi­tuente. Ma vale anche qui, a mio giu­di­zio, l’indicazione di Amen­dola, l’invito ad «assu­mere una postura cri­tica non nostal­gica, o sem­pli­ce­mente difen­siva»: una poli­tica costi­tuente in Europa non deve neces­sa­ria­mente essere imma­gi­nata sul modello clas­sico dell’assemblea costi­tuente (per cui oggi man­cano del resto tutte le con­di­zioni poli­ti­che); deve piut­to­sto farsi carico dell’eterogeneità costi­tu­tiva tanto dello spa­zio euro­peo quanto dei regimi di rego­la­zione che lo inve­stono. Deve inven­tare il pro­prio spa­zio a par­tire dalle lotte dei suoi sog­getti: qui l’esempio della Prima Inter­na­zio­nale, «dove da una varietà di ten­denze, gruppi e movi­menti si era giunti a una sin­tesi che ha cam­biato in modo radi­cale i ritmi e le forme della sto­ria uni­ver­sale» (Mar­ra­mao), è dav­vero suggestivo. 

Modelli in divenire
Un ulte­riore paral­lelo sto­rico, per con­clu­dere, è offerto da Gabriella Bonac­chi e Chiara Giorgi, sulla trac­cia di una discus­sione del pen­siero di Lelio Basso. Quest’ultimo, in un arti­colo del 1976, ricor­dava le parole rivolte da Fer­di­nand Las­salle agli ope­rai tede­schi più o meno nella stessa epoca in cui fu fon­data la prima Inter­na­zio­nale: la costi­tu­zione «siete anche voi per­ché siete una forza, e la costi­tu­zione è, in ultima istanza, un rap­porto di forze». Certo, Las­salle si rife­riva alla costi­tu­zione in senso mate­riale, e il suo pro­getto poli­tico – dura­mente cri­ti­cato da Marx – pun­tava a un’integrazione dei lavo­ra­tori nello Stato nazio­nale in for­ma­zione. Ma il rife­ri­mento alle forze e al loro rap­porto rimane fon­da­men­tale. E il rap­porto di forze appare oggi in Europa deci­sa­mente sfa­vo­re­vole per i pro­ni­poti degli ope­rai tede­schi di Las­salle (inter­pre­tando il rife­ri­mento in senso meta­fo­rico e non let­te­rale).
L’azione dei movi­menti sociali sullo stesso ter­reno costi­tu­zio­nale, come ricorda Alle­gri, ha tut­ta­via sedi­men­tato un patri­mo­nio di espe­rienze pra­ti­che e teo­ri­che, che negli ultimi anni è stato arric­chito nelle lotte per i beni comuni. Que­ste ultime sono giunte a pre­fi­gu­rare, sia pure non certo linear­mente, «modelli di isti­tu­zione del comune» (Marella). Le lotte den­tro e con­tro la crisi, in par­ti­co­lare ma non solo in Europa meri­dio­nale, hanno fatto emer­gere nuove forme di «sin­da­ca­li­smo sociale» in cui la pra­tica dell’appropriazione diretta (ad esem­pio sul tema dell’abitare) si è coniu­gata con la spe­ri­men­ta­zione di ine­dite moda­lità di nego­zia­zione. Non si può certo trarre un «modello» costi­tu­zio­nale dall’insieme di que­ste espe­rienze (a cui altre potreb­bero essere aggiunte): e tut­ta­via esse indi­cano e qua­li­fi­cano mate­rial­mente alcune dire­zioni in cui muo­versi per affron­tare lo sce­na­rio che ci è con­se­gnato dai pro­cessi di deco­sti­tu­zio­na­liz­za­zione e di finan­zia­riz­za­zione del capi­ta­li­smo. All’ordine del giorno, come si può con­clu­si­va­mente affer­mare com­bi­nando le sug­ge­stioni dei due esempi sto­rici ricor­dati, è oggi la costi­tu­zione di una forza capace di ren­dere sta­bile ed effi­cace l’azione poli­tica lungo quelle direzioni.

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