sabato 22 novembre 2014

Le favole di Toti Scialoja da Quodlibet

Tre per un topo

Toti Scialoja: Tre per un topo, Quodilibet

Risvolto
Toti Scialoja (Roma, 1914-1998) è stato pittore, scenografo e poeta. Pubblicò molti libri di filastrocche e poesie illustrate dedicate ai bambini, tra cui ricordiamo: Amato topino caro (1971); La zanzara senza zeta (1974); Una vespa! Che spavento (1975); Ghiro ghiro tonto (1979). Ma Tre per un topo, l’album originale con la copertina rossa, fu realizzato prima di tutti questi libri. Dedicato alle due nipotine Barbara e Alice fu a loro consegnato nel 1969, e da loro amorevolmente conservato fino ad oggi. Lo pubblichiamo qui per la prima volta con la coincidenza del centenario della nascita dell’autore. Tre per un topo è l’origine, il prototipo di tutte le successive raccolte di Toti Scialoja per l’infanzia.


Lucciole in brodo di giuggiole 
EverTeen. «Tre per un topo», l'album di poesie e disegni scherzosi di Toti Scialoja per le nipoti Barbara e Alice, quando erano bambine. Loro lo hanno conservato per quattro decenni e ora lo pubblica Quodilibet 

Arianna Di Genova, il Manifesto 22.11.2014 

Non è vero che il non­sense sia un gioco desti­nato esclu­si­va­mente ai bam­bini. I dadai­sti e i sur­rea­li­sti, così come molti poeti del Nove­cento, hanno fatto a pez­zetti lo ste­reo­tipo vigente e pie­gato il lin­guag­gio a un uso diver­tito e diver­tente: era un modo come un altro per intro­dursi nei buchi improv­vi­sati nel reti­colo della logica, per rea­gire alla noia det­tata dall’ordine. Così, il non­sense ha rap­pre­sen­tato l’elogio del caos rigo­glioso con­tro il con­trollo poli­zie­sco della grammatica. 
Sap­piamo però che quell’infrazione della sfera razio­nale, con l’assonanza, l’onomatopea, la parola rein­ven­tata, sezio­nata, pre­stata a signi­fi­cati strani, è da sem­pre l’accesso proi­bito (e pre­fe­rito) al mondo degli adulti da parte dei più pic­coli. Un accesso pra­ti­cato con grande alle­gria. Ed è qui, in quel sol­lievo antico, che Toti Scia­loja ci ricon­duce. Nel gioco di «tana libera tutti» delle parole, sco­priamo quanto è «lan­guida l’anguilla men­tre sci­vola nel fango, la saliva le scin­tilla come quando balla il tango…». Oppure fac­ciamo la cono­scenza della vanità ani­ma­le­sca quando «a Faenza le faine raf­fi­nate fan moine, dando rose senza spine, con sor­risi e rive­renza, a chi arriva e a chi è in par­tenza». C’è poi una zan­zara di Zan­zi­bar (andava a zonzo, entrò in un bar, zuz­ze­rel­lona le disse un tal, mastica zen­zero se hai mal di mar) e pure un topo senza scopo (cosa vien dopo?). A Parma, invece, vive la tarma che man­gia con calma e, in un altrove non ben defi­nito, incon­triamo un poe­ti­cis­simo «orso di bam­ba­gia che corre scan­sando al rugiada…». E le luc­ciole? Quando pos­sono, loro vanno in brodo di giuggiole. 
Il bestia­rio fan­ta­stico e lin­gui­stico di Toti Scia­loja, inven­tato per le sue nipo­tine Alice e Bar­bara Drudi (che si tra­ve­sti­vano per inter­pre­tare meglio i per­so­naggi fia­be­schi e smor­fiosi che molto ricor­da­vano i capricci di loro stesse bimbe), è un deli­zioso dono anche per quei «grandi» in grado di vedere oltre le appa­renze. Soprat­tutto, per­mette a tutti di viag­giare in geo­gra­fie fuori dall’ordinario dove fiumi monti e mari sbu­cano nei luo­ghi più impre­vi­sti. Le città nomi­nate sono veris­sime, ma abi­tate da stra­lu­nati esseri, come ippo­tami senza popò. 
Tre per un topo, il libro pub­bli­cato da Quod­li­bet (pp.112, euro 18) e rima­sto per quat­tro decenni in un cas­setto, uni­sce insieme dise­gni e versi scher­zosi che Scia­loja dedicò alle due ragaz­zine Drudi (e prima ancora, nel 1961, a James Demby, altro nipote). È gra­zie al cen­te­na­rio dell’artista (1914–1988) che pos­siamo girarci fra le mani que­sto libretto così pre­zioso (un pro­to­tipo delle fila­stroc­che che ver­ranno), offerto ai pic­coli di casa, ma non di meno alla adul­tis­sima moglie Gabriella. All’inizio, fu un album con la coper­tina rossa, un gio­che­rello dome­stico per serate uggiose. Il tempo non lo sman­giuc­chiò: rimase intatto, un gio­iello affet­tivo, scri­gno di ricordi e pas­sioni con­di­vise con un nonno un po’ eccen­trico. Quel nonno pronto a poe­tare su una «talpa in una stanza che balla scalza fino all’alba (Alice dan­zava) e anche sulla «lepre che mesta rime­sta la mine­stra e poi la rove­scia dalla fine­stra». Un gesto di ribel­lione al rituale del cibo che sicu­ra­mente, ancora oggi, con­qui­sterà molti rilut­tanti mini-lettori.

Nessun commento: