giovedì 22 gennaio 2015

Editoria: Gian Arturo Ferrari torna in Mondadori

Il cda di Segrate nomina Mauri presidente, Selva Coddè ad di Libri trade e vicepresidente l’uomo dei successi di “Gomorra” e Dan Brown
Fuori Cavallero rientra Ferrari restaurazione in Mondadori
Confermato Antonio Porro, esperto anche di acquisizioni e fusioni, che saranno le sfide dei prossimi mesi per l’editoria italianaSTEFANIA PARMEGGIANI Repubblica 22 1 2015
RESTAURAZIONE . Il futuro della Mondadori è nel suo passato, almeno per ora. Così ha deciso il gruppo di Segrate definendo ieri l’assetto di vertice di Mondadori Libri, la società che dal primo gennaio gestisce tutti i marchi nei settori trade, arte e scolastica, compreso il “pezzo” più pregiato, Einaudi.
I consiglieri della newco hanno nominato Ernesto Mauri presidente e Gian Arturo Ferrari vicepresidente. Torna quindi in un ruolo chiave l’uomo che dagli anni Novanta guidò la Mondadori da padre padrone, l’uomo di Dan Brown e di Gomorra, dei grandi successi editoriali e commerciali, il manager che lasciò Segrate prima della crisi per andare a dirigere il Centro per il libro e la lettura. L’altro uomo forte è Enrico Selva Coddè, nominato amministratore delegato dell’area trade.
Va a occupare il posto che fino a ieri era ricoperto da Riccardo Cavallero, anche se con una qualifica diversa: direttore generale. Cavallero nei prossimi giorni dovrebbe lasciare Mondadori. Anche se nel comunicato ufficiale dell’azienda nessuna parola viene spesa su di lui, le voci interne confermano la separazione. D’altra parte Selva già ieri sera sul sito del gruppo compariva con il nuovo profilo mentre quello di Cavallero era “not found”. Classe 1961, laureato in ingegneria e in filosofia, ha un lungo passato nel mondo dell’editoria. Dentro Einaudi, dove ha ricoperto i ruoli di direttore generale e amministratore delegato e come direttore delle risorse umane e organizzazione del gruppo Mondadori. Presidente della Fieg e di categoria per i grandi periodici, un passato anche in Rizzoli, ha ora il compito di traghettare, insieme alla nuova squadra, la Mondadori verso il futuro. Accanto a lui, come ad dell’area educational viene confermato Antonio Porro, formatosi nella Mondadori dei primi anni ’90 come responsabile dei progetti di sviluppo, transitato per Telecom Italia e tornato nel gruppo sei anni fa.
«Questo assetto ci consente di avere una struttura più funzionale, in un’ottica di potenziale sviluppo di un business per noi assolutamente strategico, dato che vantiamo una posizione di leadership di mercato, nel trade con una quota del 26% e nella scolastica del 13%», ha sottolineato Mauri, amministratore delegato del gruppo Mondadori. Le parole che usa sono molto simili a quelle che il consiglio di amministrazione di Mondadori usò alla fine del 2014 per annunciare la separazione dei libri dai periodici. Anche in quel caso si parlava di sviluppo, ma aggiungendo un tassello che fece sussultare gli analisti delle grandi banche d’affari: «Il potenziale conseguimento, in un’ottica di sviluppo, di opportunità di partnership e aggregazioni industriali volte allo sfruttamento di economie di scala e di scopo». Fusioni, quin- di, destinate ad aprire il Risiko dell’editoria in Italia. Che cosa accadrà e presto per dirlo. I diretti interessati non si sbilanciano, ma è evidente che alla base del divorzio con Cavallero ci sono divergenze strategiche.
Gian Arturo Ferrari mette in chiaro il suo ruolo: «Non vado a fare il capo di tutti i libri. Quello è il ruolo di Enrico Selva, che ha una passione viscerale per questo lavoro. Con lui ho già lavorato a lungo in passato e so già che migliorerà i risultati e preserverà l’identità dei marchi. Io sarò il suo consigliere per quanto riguarda la parte editoriale e lavoreremo insieme». Si dice «felice» del ritorno al passato, «anche perché sono entrato in Mondadori all’inizio degli anni Settanta, quando Arnoldo era ancora vivo». Perché la Mondadori ha fatto questa scelta? «Non lo so, dovete chiederlo a loro. Io so che la Mondadori rimane di gran lunga il primo editore italiano, con una leadership incontrastata ». Dal punto di vista economico il gruppo è già in salute: dopo sette trimestri consecutivi in rosso, il gruppo è tornato all’utile nel terzo trimestre 2014. Merito di una dieta drastica, una cura da cavallo per chi è abituato a fare quadrare i conti e che ha portato anche alla liquidazione della quota di partecipazione nella spagnola Mondadori Random House, oggi interamente controllata dal gruppo tedesco Bertelsmann.
Ora, con la separazione dei libri dai periodici, si è aperta una nuova stagione. Secondo Ferrari servirà «un’identità specifica ai marchi perché adesso si fa un po’ fatica a capire cosa fa davvero Mondadori». Non vuole parlare di rivincita: «Io non ho mai perso, non ho vendette da prendermi. Ho l’onore di essere andato via con risultati economici mai più raggiunti. È vero che non c’era la crisi, ma nel 2009 avevamo risultati eccellenti ». Nel frattempo però il mondo dell’editoria è cambiato: i grandi gruppi, in America come in Europa, per arginare le perdite e vincere la scommessa con il digitale, hanno intrapreso la strada delle alleanze e delle fusioni. Mondadori potrebbe fare altrettanto, potrebbe sposarsi con Rcs: un matrimonio nel settore trade gli permetterebbe di controllare una quota del 40% del mercato, ma anche una semplice aggregazione dei marchi scolastici potrebbero portare dei benefici. Nei prossimi mesi si saprà se c’è veramente questo nelle intenzioni del gruppo di Segrate, ma il cambio ai vertici fa venire più di un sospetto. Anche per il profilo delle persone coinvolte: Porro in Mondadori ha ricoperto il ruolo di responsabile mergers & acquisitions, fusioni e acquisizioni. Gli altri sono uomini chiave dell’editoria italiana, per storia professionale e per frequentazioni non ostili ad Rcs. Che del resto si sta avvicinando a un appuntamento importante della sua storia: il rinnovo del consiglio di amministrazione in aprile. © RIPRODUZIONE RISERVATA


Il tesoro nascosto dei piccoli editoriMarchi tenaci e indipendenti contro la dittatura soft del mercatodi Claudio Magris Corriere 23.1.15
S e l’Italia — nonostante la crisi e tante indecenze, improvvisazioni e incompetenze — sopravvive con tenacia e vitalità, lo si deve non ai padroni del vapore — spesso incapaci e truffaldini pachidermi di Stato o del grande capitale, che moltiplicano zeri alla fine equivalenti realmente a zero — bensì alle piccole imprese e ai lavoratori, sempre a rischio di essere soffocati e derubati da quella schiuma di zeri. È la piccola impresa il nucleo del vero liberismo — inseparabile dal liberalismo, come sosteneva Einaudi nella famosa discussione con Croce, e inconciliabile con ogni monopolio, pubblico o privato. La vita del piccolo imprenditore spesso non è più facile di quella dei suoi dipendenti e la sua, la loro lotta per sopravvivere si fa sempre più difficile.
Ciò vale pure per la piccola e medio-piccola editoria, spesso coraggiosa e pionieristica nelle sue iniziative e nelle sue scelte, sempre più in difficoltà non solo e non tanto con i costi di produzione quanto con i problemi di distribuzione, con la fatica di far conoscere la propria attività e i propri libri, di portarli a conoscenza dei lettori e di renderli visibili in libreria, dove sono schiacciati dalle pile dei libri — poco importa se buoni o no — più pubblicizzati. Purtroppo nell’editoria quel predominio e quella dittatura dell’offerta sulla domanda sono totalizzanti e distruttivi. Non si legge ciò che si desidera, ciò che si pensa corrisponda ai propri gusti e alle proprie inclinazioni, ma ciò che viene imposto. Più efficace dei regimi totalitari, il mercato si impone soft e inesorabile. Pochi cercano i samizdat ovvero quei libri che oggi sono i nuovi samizdat , pochi seguono le proprie passioni.
È difficile comperare e dunque leggere un libro che non si sa che esiste. Io mi sono procurato a fatica un capolavoro letterario come Il quarto secolo di Édouard Glissant, edito dalle Edizioni del Lavoro — e difficilmente reperibile sul mercato — nella splendida traduzione di Elena Pessini. Purtroppo un altro capolavoro della letteratura contemporanea mondiale, Notizie dall’impero di Fernando Del Paso — un vastissimo e geniale affresco narrativo, innovatore nel linguaggio e nella struttura, cui anche personalmente devo alcune illuminazioni essenziali, tradotto splendidamente da Giuliana Dal Piaz — è stato pubblicato dalla casa editrice Imprint-Profeta di Napoli e temo che, a differenza di quanto è accaduto in tanti altri Paesi, non abbia quasi raggiunto le librerie. Si potrebbero fare molti esempi. Se Diabasis fosse una grande anziché media casa editrice, Il signor Kreck di Juan Octavio Prenz sarebbe probabilmente uno dei libri del giorno. La splendida versione di Renata Caruzzi di un testo capitale e arduo come Le Elegie Duinesi di Rilke, pubblicata dalla piccola casa editrice Beit, o la preziosa edizione del saggio di Hannah Arendt e Günther Stern-Anders sulle medesime elegie curata da Sante Maletta per la piccola editrice Asterios sarebbero probabilmente sfuggite anche a me se quelle case editrici non fossero triestine.
Gli esempi potrebbero e dovrebbero continuare, perché farne solo alcuni è ingiusto verso gli altri. Una di queste meritorie e creative case editrici che sono nell’ombra più di quanto meriterebbero sono le edizioni Hefti, cui si deve una preziosa mediazione della letteratura soprattutto croata ma anche più in generale balcanico-adriatica, con particolare attenzione a quel grande dialogo di secoli passati tra le due sponde di quel mare, che vedeva poeti che si chiamavano Marko Maruli ma anche Marco Marullo e non certo, come in sciagurati secoli successivi, per snazionalizzazione imposta dagli sciovinismi, ma per un libero dialogo che vedeva questi poeti di Spalato, di Curzola, di Traù scrivere in croato come in latino e in italiano, nutrirsi del petrarchismo e trasferirlo nella propria lingua e nella propria tradizione, in un reciproco scambio e arricchimento.
Le edizioni Hefti hanno operato in questa direzione, facendo conoscere eccellenti narratori moderni e contemporanei (per esempio Ranko Marinkovic o Slobodan Novak con le loro storie marine o Predrag Matvejevic, con la prima edizione italiana del suo Breviario mediterraneo ). Allo stesso tempo hanno fatto conoscere il fiorire di traduzioni croate di Dante o Petrarca o italiane di Krleža, spesso grazie al lavoro di Ljiljana Avirovic, straordinaria traduttrice dall’italiano in croato e dal croato o dal russo in italiano, con una doppia valenza che è già realtà concreta di quel dialogo fra culture. Ma le edizioni Hefti hanno pubblicato ad esempio pure una grammatica della lingua croata di Marina Lipovac Gatti e una folta Antologia della poesia croata contemporanea , curata anch’essa da Marina Lipovac Gatti, che permette di fare i conti a fondo con la travagliata, vitale, drammatica letteratura di un Paese che ha vissuto, come in un concentrato, le lacerazioni e le tragedie d’Europa.
Una vera gemma è la Judita di Marco Marulic, edita nella ristampa della II edizione del 1522 e nella versione italiana (con testo a fronte) di Lucia Borsetto, che rende con forza poetica questo testo che si affianca alle altre grandi Giuditte — l’eroina biblica che salva il suo popolo uccidendo Oloferne — della letteratura europea, a cominciare da quella del grande tragico barocco italiano Federico Della Valle. Sì, forse una volta, in quei secoli cui si guarda dall’alto del nostro progresso, esisteva l’Europa, che ora sembra sfaldarsi.

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