Anche per Severino ciò che disturba in Heidegger è esclusivamente l'antisemitismo. In ogni caso, qui Severino fa propria la categoria di "nazismo islamico" [SGA].
domenica 25 gennaio 2015
Emanuele Severino difende Heidegger e se stesso. Ma soprattutto l'Occidente
Anche per Severino ciò che disturba in Heidegger è esclusivamente l'antisemitismo. In ogni caso, qui Severino fa propria la categoria di "nazismo islamico" [SGA].
No, non sono la variante di Heidegger
Il dibattito intorno all’autore tedesco invita a riflettere sulle questioni fondamentali dell’Essere e della violenza I «Quaderni neri» hanno svelato l’antisemitismo e riaperto un caso Qui Severino replica alle tesi di Giacomo Marramao e Victor Farías
di Emanuele Severino Corriere La Lettura 25.1.15
In questi giorni, in cui si è resa ancora più visibile la componente
antiebraica del terrorismo islamico, la pubblicazione dei Quaderni neri
di Martin Heidegger complica le cose. È tragicamente noto che cosa sia
stata la violenza antiebraica del nazismo; Heidegger è stato nazista; i
Quaderni neri confermano il suo antiebraismo.
Purtroppo Heidegger li ha scritti. Articoli interessanti in proposito,
come quelli di Guido Ceronetti e di Livia Profeti, sono apparsi anche
sul «Corriere». In sostanza, mi sembra, Heidegger trascrive nelle
proprie categorie l’accusa di deicidio che il cristianesimo ha per
secoli e secoli rivolto agli ebrei. Al posto di «Dio» mette cioè
l’«Essere» (quello che lui intende con questa parola). Nel suo libro,
molto informato e pensato, Heidegger e gli ebrei (Bollati Boringhieri,
2014), Donatella Di Cesare, pur nella sua decisa opposizione, non
intende nascondere nulla, a quanto ho capito, del peso filosofico di
Heidegger e proprio per questo bada a mostrare tutta la forza
speculativa di cui può disporre la sua condanna degli ebrei. Forza ben
misera, che in sostanza, quando è al meglio, si riduce alla seguente
affermazione: «La questione riguardante il ruolo dell’ebraismo mondiale
non è razziale, bensì è la questione metafisica su quella specie di
umanità che, essendo semplicemente svincolata, può fare dello
sradicamento di ogni ente dall’Essere il proprio “compito” nella storia
del mondo». Dal fatto che gli ebrei sono un popolo nomade, sradicato
dalla terra, essi sarebbero cioè sradicati dall’«Essere». I tedeschi
invece no, insieme ai greci antichi non sono sradicati.
Molte, da parte di Heidegger, le descrizioni dello sradicamento ebraico
dalla terra e della propensione ebraica alla razionalità calcolante
scientifico-economica; ma, appunto, non si va oltre il descrivere, o
meglio: oltre la convinzione di dire cose che siano descrizioni; la
quale non autorizza certo il passaggio dal nomadismo del popolo ebraico
al suo sradicamento dall’«Essere».
Per fortuna Heidegger non è coerente, ossia non esiste una connessione
rigorosa tra le sue tesi; sì che si possono lasciar da parte i Quaderni
neri senza esser costretti a fare altrettanto con molte altre sue opere,
che lo rendono uno dei maggiori pensatori del Novecento. Rileggere
tutta la sua opera alla luce di questi Quaderni (dalla copertina nera) è
quindi molto arbitrario. Si può dire allora che se l’isolamento
dell’ente dall’«Essere» è in Heidegger un problema serio, non
altrettanto si può dire dell’affermazione che gli ebrei siano
responsabili di tale isolamento. Non lo si può dire anche perché altrove
egli sostiene la tesi che già nel primo pensiero greco, dove l’«Essere»
si manifesta per la prima volta, si produce l’oblio dell’«Essere»,
ossia il voler avere a che fare soltanto con le cose e solo con esse,
dimenticando l’«Essere». (Una volontà, peraltro, che prima di Heidegger
era stata espressa da Husserl e da Gentile, visto che l’«Essere» è in
sostanza il manifestarsi, l’apparire delle cose, l’«aver a che fare»,
appunto, con esse).
«Con Giacomo Marramao — scrive la Di Cesare — ho avuto modo di discutere
sin dall’inizio le pagine di Heidegger». E Giacomo Marramao, nel suo
importante libro Dopo il Leviatano (Bollati Boringhieri, 2013), ha avuto
modo di discutere quelle che egli chiama «filosofie enfatiche del XX
secolo (da quella di Heidegger a quella di Severino, che della filosofia
heideggeriana può essere tranquillamente considerata l’italica versione
o variante)». L’amico Marramao è un filosofo serio; errare humanum est ;
e avrei lasciato correre se ora non si fossero messi di mezzo quei neri
e heideggeriani Quaderni — e se non ci trovassimo in una situazione in
cui è meglio che, a proposito dell’antiebraismo, tutto sia il più chiaro
possibile. Debbo dunque dirgli che se il bianco può essere
tranquillamente considerato una «versione o variante» del nero, allora,
sì, si può stare altrettanto tranquilli nel considerare la mia filosofia
come l’italica versione o variante di quella heideggeriana. Sennonché
per Heidegger l’«Essere» è tempo, evento, e nessun ente è eterno; i miei
scritti indicano invece la dimensione in cui appare la necessità che
ogni ente sia eterno (e se l’«Essere» è, come in effetti è, l’apparire
degli enti, allora anche l’«Essere» è eterno). Per molti la differenza,
anzi, l’opposizione, tra queste due prospettive è evidente. Cito per
tutti Massimo Cacciari.
Certo, Marramao è ben lontano dall’ingenuità di Victor Farías, la cui
accusa a Heidegger sollevò verso gli ultimi anni Ottanta un clamoroso e
internazionale vespaio analogo a quello che ora i Quaderni neri stanno
suscitando all’estero e in Italia. (Solo che oggi, soprattutto in
relazione all’antisemitismo presente nel terrorismo islamico, il
problema non è solo «culturale»). Ho sempre sostenuto che se una verità
definitiva non esiste, allora non è una verità definitiva nemmeno che la
distruzione dell’uomo debba essere condannata; e che a questo risultato
disumano, partendo da quella premessa, perviene inevitabilmente la
civiltà occidentale (e ormai il Pianeta) — la civiltà occidentale, dico,
non il Contenuto a cui si rivolgono i miei scritti.
Ma il disattento Farías (cileno, allievo di Heidegger, docente alla
Freie Universität Berlin) aveva capito che questa fosse una delle tesi
del mio discorso filosofico — il quale è invece la negazione dei
fondamenti di tale civiltà. E quindi, scandalizzato, emetteva nel suo
libro giudizi come: «È l’inumanità in atto che parla nelle affermazioni
di Emanuele Severino»; oppure: Severino «fa appello a Hegel, ma in
realtà si trova pericolosamente vicino a Hitler»; e avanti di questo
passo. (E il mio errore, agli occhi di Farías, era anche la pretesa di
distinguere, in Heidegger, l’uomo dal filosofo. Pretesa, d’altronde, che
tengo tuttora ferma: nel senso, come ho detto all’inizio, che tra le
tesi di Heidegger non esiste una connessione rigorosa e che quindi la
miseria di una non implica la miseria di tutte le altre).
Marramao è lontano dall’ingenua disattenzione di Farías. Però
contrappone il Libro dei libri — cioè la Bibbia, che taglia i ponti col
mondo classico — alle «filosofie enfatiche» di Heidegger e mia, appunto,
per le quali «non si danno né cesure né metamorfosi, né vuoti né
paradossi, ma solo passaggi e inveramenti interni a un monologo
nichilistico del Divenire già dato ab originibus nel pensiero greco:
almeno a partire dal “parricidio” nei confronti di Parmenide perpetuato
da Platone e Aristotele. Per esse le idee di “redenzione” e di
“consumazione dei secoli” introdotte dalle tre religioni del Libro non
costituiscono novità alcuna».
È curioso — e abbastanza grave — che Marramao descriva Heidegger
attribuendogli in sostanza (qualche sbavatura a parte) quella che è la
mia diagnosi della storia dell’Occidente e che non solo gli
heideggeriani, ma credo nessuno sarebbe disposto a vedere in Heidegger.
Negando che tale storia sia un «monologo nichilistico del Divenire»,
Marramao intende negare che essa abbia un senso unitario. Quasi che
«cesure», «metamorfosi», «vuoti», «paradossi», «redenzione» e
«consumazione dei secoli», che gli stanno a cuore, non fossero forme del
«Divenire».
La filosofia greca pensa che il «Divenire» sia l’andare nell’essere, da
parte delle cose, venendo fuori dal loro non essere e ritornandovi. Il
futuro è ciò che non è ancora; il passato è ciò che non è più. Nel
passato e nel futuro le cose sono nulla. C’è un luogo, nella storia
dell’Occidente, dove questa convinzione è negata? C’è un luogo, ovunque
lo si cerchi? Assolutamente no. (Ecco perché la storia dell’Occidente è
un «monologo»). Ma — e siamo al punto decisivo — questa convinzione è,
insieme, l’errore estremo e l’estremo orrore, l’estrema violenza.
L’errore estremo, perché, affermando un tempo in cui le cose sono nulla,
si identificano le cose, ossia ciò che non è un nulla, al nulla (ecco
perché il monologo dell’Occidente è «nichilistico»). L’orrore estremo,
perché la convinzione della essenziale nullità delle cose è il
fondamento di ogni violenza, omicidio, genocidio, Olocausto: «Tu sei
nulla — grida la Violenza —; quindi posso e anzi devo trattarti come un
nulla».
I difensori dell’uomo, e quindi dell’uomo ebraico, volendo essere amici del Divenire vogliono essere amici della Violenza?
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2 commenti:
Azzarà ma su cosa blatera....su di una filosofia, quella di Heidegger, di cui non comprende e né lo può i fondamenti essenziali, garrisce sull'intrinsicità "reazionaria" credendo così di scalfire la più potente delle speculazioni di cui ci fa dono il pensiero e scadendo al di sotto di un'intrinseca banalità.
Scandaloso questo post.. Non capisce nulla... Tutto muta tranne la legge del mutamento... Ovviamente il corpo muore
Perché diviene
E lo spirito é e sempre sarà perché é eterno...non leggete gli orientali senza passare per meister eckhart... Occidentali mongoidoidi
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