Le Pen cavalca il ritorno del nazionalismo
di Marco Moussanet il Sole 30.1.15
Tra le tante voci entusiaste che lunedì scorso si sono alzate in Francia per inneggiare alla storica vittoria di Syriza ci sono quelle di Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen. I leader, veri o potenziali, di due schieramenti politicamente opposti ma entrambi portatori di un messaggio anti-europeo intriso di populismo e demagogia.
Tra le tante voci entusiaste che lunedì scorso si sono alzate in Francia per inneggiare alla storica vittoria di Syriza ci sono quelle di Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen. I leader, veri o potenziali, di due schieramenti politicamente opposti ma entrambi portatori di un messaggio anti-europeo intriso di populismo e demagogia.
Mélenchon guida il
Front de gauche, movimento a sinistra del partito socialista creato in
occasione delle elezioni presidenziali del 2012. Il suo sogno è quello
ci riuscire a riunire l’estrema sinistra movimentista, i comunisti, i
frondisti del Ps e i verdi per creare un’alternativa credibile al
partito del presidente François Hollande e del premier Manuel Valls. Se
in cinque anni il Pasok è passato dal 43% a meno del 5% e Tsipras dal 4%
al 36% perché in Francia non potrebbe accadere lo stesso? Tanto più che
sulla carta i numeri di partenza sono interessanti: questa coalizione,
stando ai risultati delle europee dell’anno scorso, partirebbe da una
base elettorale di circa il 17 per cento.
In realtà si tratta davvero
solo di un sogno. Lo scenario sociale francese non è certo quello greco
e manca quindi la spinta di un malessere così profondo – vicino alla
rivolta - da consentire il superamento dei tanti, troppi steccati
(ideologici, culturali, personali) che dividono le possibili componenti
di quella che sembra più un’armata Brancaleone che un soggetto politico
in grado di rappresentare un’alternativa agli occhi dell’elettorato.
Ben
diverso è il caso della Le Pen. In quattro anni – da quando cioè, il 16
gennaio del 2011, ha sostituito il padre Jean-Marie alla guida del
Front National – ha rivoltato come un guanto il partito dell’estrema
destra francese. Ha cacciato o marginalizzato i nostalgici dell’Algeria
coloniale e i fascisti duri e puri, ha aggiunto un solido capitolo
sociale ed economico a un programma fino ad allora incentrato quasi
esclusivamente sui temi della lotta all’immigrazione e della sicurezza,
ha costruito un forte radicamento territoriale in realtà (agricole e
operaie) spesso trascurate dai partiti tradizionali, ha aperto le porte a
una nuova generazione di quadri (a livello nazionale e locale) che si
sentono affrancati dal peso ingombrante del vecchio Front National.
Ed
è riuscita a far passare il messaggio che la nuova contrapposizione
sulla scena politica francese non è più quella, anacronistica, tra
destra e sinistra. Bensì quella tra “patrioti” ed “europeisti”. In
quest’arena, lei ovviamente incarna la rivolta del popolo contro i
diktat di Bruxelles, l’orgoglio e la dignità dei francesi rispetto alle
imposizioni dei tecnocrati della Commissione. E ai discorsi di tutte le
anime belle che vantano i meriti del multiculturalismo, del multietnico,
del multireligioso.
Il risultato è abbastanza impressionante. Alle
legislative del giugno 2012 il Fronte ha ottenuto il 13,6% dei voti e
due deputati (entrando per la prima volta in Parlamento nonostante un
sistema maggioritario penalizzante e le anomale alleanze destra-sinistra
ai ballottaggi). Alle comunali del marzo 2014 ha conquistato undici
città. Il 28 settembre scorso, in occasione del rinnovo parziale del
Senato, ha ottenuto due posti alla Camera Alta. Ma soprattutto alle
europee dell’anno scorso il Front National è diventato il primo partito,
con il 25% dei consensi.
L’obiettivo a breve è ora quello di
consolidare e rafforzare le posizioni alle elezioni provinciali di marzo
(con l’obiettivo di vincere in sei dipartimenti) e di strappare una o
due regioni in dicembre. In vista ovviamente dell’unico appuntamento
elettorale che conta davvero in Francia: le presidenziali del 2017.
Tutti i sondaggi dicono che la Le Pen dovrebbe arrivare nettamente in
testa al primo turno, con il 28-31 per cento. Stando a una rilevazione
shock di fine 2014, se il suo avversario al ballottaggio dovesse essere
Hollande potrebbe anche andare a sedersi all’Eliseo.
E da lì cercare
di contrattare un recupero di sovranità che di fatto sancirebbe la fine
del progetto europeo. Minacciando in caso contrario un referendum per
sancire l’uscita di Parigi dall’Europa.
È molto probabile che questo
non accadrà, che la Le Pen nel 2017 non vincerà. Perché alla fine la
maggioranza dell’elettorato – spaventata da una simile prospettiva e non
esasperata come quella greca – le sbarrerà la strada (destra e sinistra
stanno peraltro già immaginando una grande coalizione anti-Front
National). E perché lo stesso partito, cresciuto e cambiato molto in
fretta, è attraversato da tensioni (quelle interne alla famiglia Le Pen,
quelle sui tanti omosessuali nel gruppo dei più stretti collaboratori
di Marine, quelle sulla violenza degli attacchi alla comunità musulmana)
che non gli consentono di trasmettere la necessaria immagine di
compattezza e di rassicurante solidità.
Rimane soprattutto irrisolta
la questione cruciale della mutazione genetica da partito extra e anti
sistema – garanzia fino a oggi di successo – a forza politica di
governo. Come testimonia un piccolo episodio di questi giorni, che ha
scatenato molte polemiche anche all’interno del Fronte: il premio come
sindaco dell’anno assegnato a Steeve Briois (anche lui omosessuale) da
una giuria di giornalisti politici per l’elezione a primo cittadino di
Hénin-Beaumont, roccaforte frontista del Nord-Est. Un vero evento sul
quale nessuno avrebbe scommesso anche solo un anno fa.
Ma non c’è
alcun dubbio che il Front National sia ormai un soggetto politico
centrale e la Le Pen pensa che questo problema verrà superato dai fatti,
con la dimostrazione sul campo che il Fronte è già in grado di
governare, che il fosso è già stato saltato. Per farlo, deve
assolutamente ottenere la guida di altri enti locali, una tappa vitale
nella prospettiva del 2017. E si getta quindi con tutta la forza di cui è
capace (tanta) in ogni competizione, continuando a parlare alla pancia
degli elettori più che alla loro testa. Non c’è d’altronde giorno in cui
non le vengano serviti degli assist. Dalla decisione di Bruxelles di
chiedere alla Francia il rimborso di aiuti all’agricoltura per un
miliardo ai sondaggi secondo cui il 51% dei francesi ritiene che la
religione musulmana non è compatibile con i valori della società
francese.
Certo, il giudizio pressoché unanime degli osservatori è
che la Le Pen non si sia mossa con la consueta abilità nei terribili
giorni degli attentati parigini (fino alla mancata partecipazione alla
marcia repubblicana dell’11 gennaio). Ma il tasso di adesione alle tante
manifestazioni pro-Charlie in tutto il Paese è stato inversamente
proporzionale al peso elettorale del Fronte. E i prossimi appuntamenti
con le urne ci diranno se la Francia vera è quella dell’unità nazionale
che è scesa in piazza o quella silenziosa che è stata a casa e voterà la
Le Pen.
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