sabato 17 gennaio 2015

Radio Benjamin

Walter Benjamin: Radio Benjamin, a cura di Nicola Zeppel, Castelvecchi, 14 €

Risvolto

Dal 1927 al 1933, Walter Benjamin ha scritto e presentato circa ottanta testi radiofonici. Dalla loro lettura emerge l’idea di una radio non solo come strumento di comunicazione, ma soprattutto come istituzione sociale che deve mirare a formare il pubblico, rendendolo protagonista attivo e consapevole dei temi affrontati. In accordo con l’approccio dell’autore, che alternava la riflessione sulla teoria della radio alla progettazione di radiodrammi, Radio Benjamin affianca alle considerazioni sul significato storico e culturale dell’apparecchio due programmi andati in onda dalle stazioni di Berlino e Francoforte. Sono testi ironici, divertenti e profondi, perché secondo l’intellettuale tedesco lo speaker non deve indottrinare né mortificare l’autostima dell’ascoltatore, ma coinvolgerlo attraverso la discussione, che si parli di personaggi storici o di situazioni tratte dalla vita reale. Dal vivo della sua esperienza radiofonica, Walter Benjamin riesce così a cogliere la complessità, i pericoli e le opportunità del nuovo mezzo di comunicazione di massa.

Benjamin, la rivoluzione viaggia ad onde medie 
Pubblicati i radiodram m i e i saggi del filosofo sulla com unicazione in m odulazione di frequenza Già alla fine degli anni 20 previde l’interazione col pubblico. Anticipando Facebook e la Zanzara

17 gen 2015  Libero TOMMASO LABRANCA PENSATORE ASSOLUTO 
Walter Benjamin è l'autore di uno dei cinque libri più citati e meno letti al mondo, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Nonostante quel breve saggio fosse diventato nelle università occupate del 68 uno dei testi della contestazione giovanile, saranno stati in pochi ad andare oltre il titolo. Peccato, perché il filosofo aveva visto giusto e la sua descrizione dei diversi utilizzi dei mezzi di comunicazione di massa fatti da destra e sinistra perdura tutt'oggi da noi e spiega gli ultimi vent'anni di noiose recriminazioni tra RaiTre e Retequattro. Un'altra nozione poco nota riguarda l'atteggiamento che differenziava Benjamin dai suoi insostenibili colleghi della Scuola di Francoforte e che lo portava a non rifiutare in toto l’arte di massa, ma a individuarne le potenzialità.

Walter Benjamin non viveva chiuso in un mondo ottusamente fuori dal tempo come il direttore d'orchestra rumeno Sergiu Celibidache, fiero applicatore delle teorie francofortiane e feroce odiatore della registrazione musicale in quanto non permetteva la condivisione dello spazio e del tempo tra chi esegue e chi ascolta. Chi ha un’idea falsata di Benjamin potrà quindi sbalordirsi di fronte ai rapporti che il filosofo ebbe con quello che, a cavallo tra gli Anni 20 e 30, era il medium più diffuso, la radio. Rapporti che vengono bene espressi in un piccolo libro tradotto e curato da Nicola Zeppel, Radio Benjamin ( Castelvecchi, 14 €) in cui sono raccolti due rapidi saggi sulle possibilità e gli errori della radiofonia insieme a due degli 80 testi dialogati scritti da Benjamin tra il 1927 e io 1933 per emittenti tedesche. Testi che lo stesso autore chiamava Hörmodelle, ossia «modelli di ascolto», dialoghi con non più di 4 personaggi e dal deciso tono divulgativo.

In uno dei due saggi, Riflessioni sulla radio, Benjamin colpevolizza la radiofonia di porre chi sta davanti al microfono troppo lontano da chi sta davanti all'altoparlante. Sarebbe necessario, dice il filosofo, «fare del pubblico un testimone di interviste e discussioni in cui chiunque può intervenire». Lette oggi queste parole non paiono così originali. Siamo troppo abituati a trasmissioni radiofoniche basate quasi esclusivamente su ciò che gli ascoltatori scrivono con sms o sulla pagina Facebook del conduttore o dicono in interminabili telefonate. A fine Anni 20, invece, la stessa tecnologia non rendeva possibile la partecipazione degli ascoltatori e questa carenza era particolarmente sentita se, come ricorSopra un’elaborazione grafica di W alter Benjam in tratta da «Paris Review ». Sotto la copertina della raccolta di saggi dello scrittore tedesco sulla radio. La Harvard University, intanto, ne pubblica la biografia definitiva da Benjamin, «il pubblico, sentendosi sacrificato e impreparato, ha finito per sabotare l'apparecchio, spegnendolo». Ancora una volta l'occhio lungo del filosofo aveva visto fino ai nostri giorni, dove, alla fine è il pubblico che decide e punisce. Magari non più spegnando, ma cambiando canale. 
Fosse ancora vivo, come avrebbe reagito Benjamin di fronte all'unico fenomeno radiofonico interessante di questi anni, la Zanzara di Radio 24, in cui Giuseppe Cruciani elimina ogni filtro e bandisce ogni minuetto nel rapporto tra microfono e altoparlante? Probabilmente sarebbe soddisfatto per la possibilità di intervento data al pubblico. Sarebbe invece meravigliato nel notare che, 85 anni dopo le sue riflessioni, le cose non sono cambiate, anzi sono peggiorate. Scriveva verso il 1930: «Solo nella nostra epoca, segnata dall'impressionante sviluppo del consumismo (…) si è venuta a creare la massa ottusa e informe, il pubblico in senso tecnico, privo di giudizio autonomo». E aggiunge, questa volta sbagliando clamorosamente: «Ora, però, sembra che la situazione stia per cambiare». Non è cambiata per nulla. Il pubblico che interviene alla Zanzara è ancora quello che allora spaventava Benjamin: senza un proprio pensiero, malinconicamente aderenti al conformismo da social network, nonostante il conduttore faccia di tutto per istigarli a usare i neuroni in maniera autonoma. In quello, come in altri casi (penso allo stile di conduzione di Ruggero Po su Radio 1 Rai), la radio che sappia «formare un pubblico realmente preparato e competente» oggi c'è. Solo che è nascosto dietro la massa di emittenti fatte di canzoni imposte dalle case discografiche e conduttrici dislessiche, ma formose, prese in prestito alla tv.  
Chi si stupirà del pensiero di Benjamin contenuto in questo centinaio di pagine dovrebbe leggere i suoi altri testi, senza fermarsi solo al titolo che fa sempre comodo citare, aggiungendovi anche una biografia uscita un anno fa in America Walter Benjamin: A Critical Life, scritta da due professori di Harvard, Howard Eiland and Michael W. Jennings e che a breve sarà pubblicata in italiano da Einaudi. Nemmeno dopo aver letto questa biografia, che nella versione originale occupa quasi 800 pagine, si ha la certezza di aver capito un uomo e un filosofo sfuggente come Benjamin. Vittima, per il pubblico anglosassone, della difficoltà dei suoi stessi scritti e dell' essere diventato preda, per colpa degli ultimi suoi scritti di sentore marxista, di certi intellettuali di sinistra, tra i quali è citato il nostro Giorgio Agamben. Perché in quanto a mistificazione politica delle teorie altrui siamo sempre stati in prima fila.

Per Walter Benjamin la cattura dell’attenzione è una questione di stile 
Walter Benjamin. Racconti, drammi e alcuni saggi inediti dedicati alla radio pubblicati da Castelvecchi. Uno spaccato su un media allora emergente, ma che ha la forza di anticipare nodi problematici e temi che riguardano le attuali tecnologie della comunicazione
Fabrizio Denunzio, il Manifesto 11.2.2015 
Il 6 dicem­bre del 1934 la «Frank­fur­ter Zei­tung”, perio­dico tede­sco di rino­mata fama, pub­blica un rac­conto dal titolo Al minuto. Il pro­ta­go­ni­sta, un esperto di biblio­lo­gia, rie­sce a otte­nere da un’emittente radio­fo­nica un breve pro­gramma di venti minuti per pre­sen­tare agli ascol­ta­tori gli aspetti salienti della sua mate­ria di stu­dio. Il diret­tore della sezione, nel momento in cui gli con­fe­ri­sce l’incarico, rac­co­manda al biblio­logo, che da lì a poco farà il suo debutto davanti ai micro­foni, di atte­nersi stret­ta­mente a due prin­cipi: uno stile ora­to­rio dal tono fami­liare e il rigido rispetto dei tempi. Il pro­gramma deve con­clu­dersi pre­ci­sa­mente «al minuto». Da qui il titolo del racconto.
Il biblio­logo, che dalla buona riu­scita della con­fe­renza si aspetta molto, tor­nato a casa si adde­stra: voca­lizza il testo pun­tando gli occhi sull’orologio. Arri­vato alla sta­zione radio­fo­nica, accolto con molto garbo dall’annunciatore, è fatto acco­mo­dare in cabina. Qui, una volta entrato, osserva con entu­sia­smo quello che per un po’ sarà il suo luogo di lavoro, e ne apprezza tutte le risorse che ten­dono a met­tere il con­fe­ren­ziere nella mas­sima como­dità: dal leg­gio alle pol­trone, dalle fonti d’illuminazione alla pos­si­bi­lità di pas­seg­giare tenendo con sé il micro­fono. E natu­ral­mente, l’orologio. 
A causa di una svi­sta, il biblio­logo, guar­dan­dolo, con­fonde le lan­cette dei secondi con quelle dei minuti, così, dal cre­dere di aver finito, e di con­se­guenza, allon­ta­na­tosi dal micro­fono, indos­sato il cap­potto e pronto per andare via, passa improv­vi­sa­mente alla con­sa­pe­vo­lezza di non aver ter­mi­nato la con­fe­renza, resosi conto dello sba­glio si pre­ci­pita di nuovo in posta­zione e, con una serie di rocam­bo­le­sche acro­ba­zie vocali, colma i rima­nenti quat­tro minuti.
Nel pre­ciso istante in cui prende coscienza dell’errore, al biblio­logo capita di vivere una sin­go­lare espe­rienza: «In que­sta camera votata alla tec­nica e all’uomo che gra­zie a lei domina fui colto da un bri­vido nuovo, eppure affine al più antico che noi cono­sciamo. Pre­stai a me stesso un orec­chio cui ora, improv­vi­sa­mente, non risuo­nava incon­tro altro che il mio silen­zio. Un silen­zio che rico­nobbi come quello della morte, che in que­sto pre­ciso istante mi gher­miva con­tem­po­ra­nea­mente in mille orec­chie e in mille stanze». 

Modelli per l’ascolto
L’autore di que­sto breve rac­conto è Detlef Holz, ossia, Wal­ter Ben­ja­min che, dall’esilio a cui era stato costretto nel marzo del 1933, in quanto ebreo e comu­ni­sta, ricor­reva a que­sto pseu­do­nimo per poter con­ti­nuare a scri­vere su rivi­ste tede­sche in una Ger­ma­nia ora­mai com­ple­ta­mente fasci­stiz­zata.
L’uscita di Radio Ben­ja­min (Castel­vec­chi, tra­du­zione di Nicola Zip­pel, pp. 114, euro 14) dà l’occasione per tor­nare a riflet­tere sull’esperienza radio­fo­nica del grande autore tede­sco. Su que­sto momento della pro­du­zione ben­ja­mi­niana, il let­tore ita­liano aveva fino ad ora altri due libri: l’avanguardistico Tre drammi radio­fo­nici, uscito nel 1978 per Einaudi a cura di Umberto Gan­dini e mai più ristam­pato, e Burat­tini, stre­ghe e bri­ganti. Rac­conti radio­fo­nici per ragazzi (1929–1933), a cura di Giu­lio Schia­voni (Riz­zoli, pp. 387, euro 11). 
I cin­que testi che com­pon­gono Radio Ben­ja­min risal­gono a un intenso periodo di lavoro, a quando, cioè, Ben­ja­min, dal 1929 al 1933, col­la­bo­rava tanto con la radio di Ber­lino quanto con quella di Fran­co­forte. La logica che pre­siede la rac­colta è chiara: affian­care ai testi andati in onda e di cui era autore o co-autore – «Che cosa leg­ge­vano i tede­schi men­tre i loro autori clas­sici scri­ve­vano» tra­smesso il 16 feb­braio 1932, e «Un aumento di sti­pen­dio? Ma che vi viene in mente?» tra­smesso il 26 marzo 1931 – quelli in cui ne svi­luppa e chia­ri­sce le leggi di com­po­si­zione – Due tipi di popo­la­rità: prin­cipi fon­da­men­tali per un radio dramma, pub­bli­cato nel 1932 e Modelli di ascolto, scritto nel 1931 e qui tra­dotto per la prima volta in ita­liano. In breve, teo­ria e pra­tica. Mai come nel corso del suo lavoro radio­fo­nico, Ben­ja­min è par­ti­co­lar­mente attento alla gri­glia ana­li­tica marxista. 
Nella sua essen­zia­lità, Radio Ben­ja­min rie­sce in ogni caso a ren­dere conto di almeno un aspetto spe­ci­fico del lavoro svolto dal filo­sofo tede­sco in uno degli appa­rati di comu­ni­ca­zione più signi­fi­ca­tivi della prima metà del Nove­cento, infatti, lì dove impie­gato, Ben­ja­min pro­du­ceva, non solo con­fe­renze per l’infanzia o sulla situa­zione let­te­ra­ria inter­na­zio­nale, ma anche e soprat­tutto Hör­mo­dell, ossia «modelli per l’ascolto» del tipo Cosa leg­ge­vano i tede­schi o Un aumento di sti­pen­dio?, in cui, avva­len­dosi delle risorse spe­ri­men­tali offerte dalla tec­no­lo­gia radio­fo­nica, l’autore diven­tava un vero regi­sta delle voci, le andava dram­ma­tiz­zando in una sorta di tea­trino acu­stico a fini edu­ca­tivi: «Il fine prin­ci­pale di que­sti modelli è di tipo didat­tico. L’argomento trat­tato rien­tra in quelli delle tipi­che situa­zioni della vita quo­ti­diana. Il metodo adot­tato con­si­ste nel con­fronto di esem­pio e contro-esempi». 

Rove­scia­menti dialettici
Merito par­ti­co­lare di Radio Ben­ja­min, allora, è pro­prio la pub­bli­ca­zione di que­sto bre­vis­simo testo teo­rico, Modelli per l’ascolto, stra­na­mente escluso dalle Opere com­plete – la cui edi­zione si è con­clusa nel mag­gio del 2014 con l’uscita del volume VIII, Fram­menti e Para­li­po­mena (Einaudi, pp. 518, euro 90) – nelle quali si tro­ve­ranno sì quasi tutti gli ottanta testi radio­fo­nici redatti da Ben­ja­min nel corso della sua col­la­bo­ra­zione con le radio di Ber­lino e Fran­co­forte, come del resto si tro­verà l’insieme di saggi che avrebbe dovuto costi­tuire una ideale teo­ria della radio (Tea­tro e radio, Col­lo­quio con Ernst Schoen, La situa­zione in radio e Rifles­sioni sulla radio), ma nelle quali non si trova trac­cia di que­sto frammento. 
Il quinto testo che com­pleta la rac­colta e con cui Radio Ben­ja­min si apre sono le Rifles­sioni sulla radio. In realtà, è l’unico che salta fuori dalla logica del volu­metto che punta, per il resto, sul nesso teoria-pratica in fun­zione dei modelli d’ascolto. Pro­prio per­ché estra­neo a que­sta strin­gente scelta edi­to­riale, il sag­gio merita un’attenzione speciale. 
Al pari di quella lunga nota della seconda ver­sione tede­sca dell’Opera d’arte nell’epoca della sua ripro­du­ci­bi­lità tec­nica del 1936, in cui Ben­ja­min fa della soli­da­rietà lo stru­mento per scio­gliere la com­pat­tezza delle masse piccolo-borghesi che, così coese, ten­dono a rea­gire in modo spon­ta­nea­mente rea­zio­na­rio alle crisi eco­no­mi­che, e a ribal­tarla in coscienza di classe rivo­lu­zio­na­ria, allo stesso modo, nelle Rifles­sioni sulla radio l’autore pro­getta un eguale rove­scia­mento dia­let­tico, que­sta volta di un altro sog­getto poli­tico, il pub­blico: «Solo nella nostra epoca, segnata dall’impressionante svi­luppo del con­su­mi­smo tra i frui­tori dell’operetta, dei romanzi e del turi­smo, si è venuta a creare la massa ottusa e informe, il pub­blico in senso tec­nico, privo di giu­di­zio auto­nomo e di un lin­guag­gio che sia in grado di espri­mere le pro­prie sen­sa­zioni. Que­sto imbar­ba­ri­mento è arri­vato al suo punto mas­simo pro­prio nel modo in cui le masse ascol­tano i pro­grammi alla radio. Ora, però, sem­bra che la situa­zione stia per cam­biare. Sarebbe suf­fi­ciente che chi ascolta si con­cen­tri su quello che prova vera­mente, così da poterlo vivere in maniera auten­tica e con­sa­pe­vole». Agenti di que­sta edu­ca­zione emo­tiva, este­tica e lin­gui­stica dell’ascoltatore diven­tano le stesse risorse tec­no­lo­gi­che messe a dispo­si­zione dalla radio: «Quello che molte volte rende intol­le­ra­bile l’ascolto anche delle tra­smis­sioni più inte­res­santi sono degli aspetti tec­nici e for­mali: la voce, la pro­nun­cia, il modo di espri­mersi. Si tratta esat­ta­mente di que­gli ele­menti che, anche se di rado, ten­gono l’ascoltatore incol­lato all’apparecchio per seguire argo­menti magari lon­tani dai suoi inte­ressi (…) La pre­pa­ra­zione tec­nica dell’ascoltatore potrebbe svi­lup­parsi solo gra­zie a que­sti aspetti tec­nici e for­mali e uscire così dall’imbarbarimento».
Appare evi­dente che, in sede di teo­ria dei media e di prassi lavo­ra­tiva negli appa­rati di comu­ni­ca­zione di massa, per Ben­ja­min non conta tanto la con­qui­sta ideo­lo­gica del pub­blico, sulla quale, solo per fare un esem­pio, pun­tava ancora un Adorno nell’intervista radio­fo­nica a Canetti nel marzo del 1962, quanto l’affinamento tec­no­lo­gico e cul­tu­rale della sua sen­si­bi­lità. Con que­sta impo­sta­zione del pro­blema, Ben­ja­min rin­nova con­ti­nua­mente l’approccio mar­xi­sta al mondo delle comu­ni­ca­zioni, dimo­strando che, se nella sua opera si dà una teo­ria dei media, que­sta è siste­mica (radio-cinema) e rivo­lu­zio­na­ria (inve­ste la con­di­zione esi­stente di attori sociali come l’ascoltatore e lo spet­ta­tore, per tra­sfor­marla radicalmente). 

Una pre­ca­rietà permanente
Nel rac­conto Al minuto l’autore, attra­verso il per­so­nag­gio e le vicende del biblio­logo, ha tro­vato il modo per ela­bo­rare nar­ra­ti­va­mente la sua espe­rienza in radio e trarne, dall’esilio, anche un bilan­cio finale. Ogni sequenza nar­ra­tiva la richiama e rias­sume: il rap­porto col­la­bo­ra­tivo «pre­ca­rio» con l’apparato, la rego­la­men­ta­zione dei tempi di lavoro, il disci­pli­na­mento della forza-lavoro ad opera degli stru­menti di pro­du­zione, la fasci­na­zione per la spe­ri­men­ta­zione tec­no­lo­gica e, improv­visa, la fine di ogni cosa. Letta con Al minuto, la breve rac­colta Radio Ben­ja­min viene resti­tuita al signi­fi­cato effet­tivo che il lavoro radio­fo­nico ha avuto per Benjamin.
Si avvi­cina, però, il tempo in cui i risul­tati del dispo­si­tivo pratico-teorico ben­ja­mi­niano smet­te­ranno di rife­rirsi al suo autore o ai soli spe­cia­li­sti della sua opera, e ini­zie­ranno a dipen­dere da un altro refe­rente. Sarebbe suf­fi­ciente, ad esem­pio, imma­gi­nare cosa diven­te­rebbe que­sto Radio Ben­ja­min nelle mani di uno spea­ker di una web radio o in quelle di un pro­gram­ma­tore di palin­se­sti, in breve, veden­dolo in opera nei nuovi luo­ghi di lavoro in cui si pro­duce plu­sva­lore sim­bo­lico e scom­met­tere con deci­sione sulla sog­get­ti­vità che ne ver­rebbe fuori per­ché, come ci ricorda Ben­ja­min in aper­tura delle Rifles­sioni sulla radio, è un «grave errore (…) distin­guere per prin­ci­pio tra il con­dut­tore e il pub­blico» e poi­ché, come ram­menta nelle con­clu­sioni, l’unica cosa che conta è sem­pre avere il pub­blico dalla pro­pria parte.

l’Attrazione di Benjamin per la Radio Domenica 12 Aprile, 2015 LA LETTURA
«Basterebbe che la radio si rendesse conto di quanto sia improbabile tutto quello che le viene presentato ogni giorno, che considerasse quante sono le cose che non vanno, a iniziare da una tipologia ridicola degli oratori, per migliorare non soltanto il livello della programmazione, ma anche e soprattutto per formare un pubblico realmente preparato e competente. E non c’è nulla che sia più importante di questo». Quando Walter Benjamin scrive queste parole, le trasmissioni radiofoniche sono nate da poco e quelle televisive sono in gestazione: eppure, 85 anni dopo, sono pienamente attuali se si parla di mass media. A cavallo tra gli ultimi anni Venti e i primi Trenta, il filosofo tedesco si occupa molto di radio. Attratto dalle potenzialità del nuovo strumento, Benjamin scrive 80 testi — alcuni andati in onda, altri di teoria — elaborando tecniche e principi innovativi di comunicazione: coinvolgimento dell’ascoltatore, uso della voce, funzione dello speaker. Radio Benjamin (Castelvecchi, traduzione di Nicola Zippel, pp. 120, e 14) raccoglie cinque di questi scritti, compreso Modelli di ascolto, fin qui inedito in italiano. È un libretto breve, ma sufficiente per capire come Walter Benjamin privilegi il ruolo socio-educativo del nuovo mezzo: il sapere può raggiungere un numero enorme di adulti e bambini. E, attraverso un grande lavoro di sperimentazione, Benjamin vuole trasmettere agli ascoltatori conoscenza su temi letterari ( Che cosa leggevano i tedeschi mentre i loro autori classici scrivevano ) e su problemi di vita quotidiana ( Un aumento di stipendio? Ma che vi viene in mente? ). Il suo obiettivo è sempre informare per migliorare. Insomma, una declinazione della pratica ebraica del tikkun ’olam : quella riparazione del mondo che, per compiersi, ha bisogno di istruzione, progresso, giustizia e responsabilità di ciascuno verso tutti. Del resto, come amava ricordare il suo amico Gershom Scholem, Benjamin «sentiva intensamente la sua ebraicità, e per diversi anni si è trastullato con l’idea di trasferirsi in Palestina». Invece, quando Hitler prende il potere, prima fugge alle Baleari, poi a Parigi; da lì prova a cercare rifugio in Spagna. Catturato dalla polizia di frontiera, a 48 anni si toglie la vita per non essere consegnato ai nazisti.    

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