sabato 17 gennaio 2015

Bonaparte in America: Fukuyama invoca un Grande Decisore ma non disdegna lo choc esterno



America in trappola

Il gioco di pesi e contrappesi è paralizzante Cresce la sfiducia dei cittadini nello Stato

Francis Fukuyama Sabato 17 Gennaio, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA

Nel sistema costituzionale statunitense i poteri, più che funzionalmente divisi, sono replicati tra le varie branche del sistema, il che porta periodicamente a usurpazioni reciproche e a conflitti su quale branca debba prevalere. Spesso il federalismo non assegna poteri precisi e specifici all’appropriato livello di governo; piuttosto li duplica a vari livelli — federale, statale e locale. In un tale sistema di autorità ridondanti e non gerarchiche, è facile che settori diversi dell’apparato di governo si paralizzino a vicenda. Sommata alla generale giuridicizzazione della politica e alla grande influenza dei gruppi d’interesse, questa condizione produce una forma di governo che mina le prospettive della necessaria azione collettiva. La potremmo definire una «vetocrazia». 
Il problema però non si esaurisce nella polarizzazione. Dai sistemi politici democratici non ci si aspetta che estinguano i conflitti, bensì che li mitighino e li compongano attraverso regole condivise. Un buon sistema politico è quello che incoraggia l’emergere di soluzioni che rappresentino gli interessi di strati più larghi possibili della popolazione. Ma quando la polarizzazione investe un sistema politico come quello statunitense, fondato sui pesi e contrappesi, il risultato è particolarmente devastante. 
Nelle democrazie l’esigenza di consentire la piena partecipazione politica di tutti deve convivere con l’efficienza, ovvero con la necessità di fare le cose. Idealmente, le decisioni democratiche sono prese all’unanimità, come avviene nelle famiglie e nelle società tribali. L’efficienza di tale processo decisionale, tuttavia, diminuisce rapidamente man mano che crescono le dimensioni e la complessità dei contesti sociali; sicché nella maggior parte delle società le decisioni sono prese a maggioranza, con il consenso di un qualche segmento della popolazione. Più piccolo è percentualmente il gruppo che prevale, più rapida e semplice sarà la decisione, ma nel lungo periodo a farne le spese è il consenso. 
La delega dei poteri ad attori politici diversi consente loro di bloccare l’azione della collettività. Il sistema politico statunitense ha un numero nettamente maggiore di questi pesi e contrappesi (o poteri di veto, come li chiamano i politologi) rispetto a qualunque altra democrazia contemporanea, il che aumenta il costo dell’azione collettiva e in alcuni casi la rende impossibile. In periodi precedenti della storia americana, quando un partito dominava sull’altro, il sistema serviva ad arginare la volontà della maggioranza, obbligandola a prendere in considerazione le minoranze. Ma nel sistema partitico più bilanciato e altamente competitivo che ha preso piede dagli anni Ottanta, i veti incrociati sono diventati garanzia di paralisi. (...) 
Il sistema politico americano è decaduto nel tempo perché i suoi tradizionali meccanismi di controllo reciproco dei poteri si sono progressivamente sclerotizzati. In un clima di acuta faziosità politica, questo sistema decentrato è sempre meno capace di rappresentare gli interessi della maggioranza e finisce per sovrarappresentare le istanze di lobby, gruppi di interesse e organizzazioni di attivisti che, insieme, non fanno l’intero popolo sovrano. 
Non è la prima volta che il sistema politico statunitense appare diviso e inefficace. A metà dell’Ottocento si trovò paralizzato sulla questione dell’estensione della schiavitù ai territori dell’Ovest; sul finire del secolo sul nodo se l’America fosse una società essenzialmente agricola o industriale. Oggi, ancora una volta, gli Stati Uniti sono intrappolati dalle loro istituzioni. Gli americani diffidano del governo e sono quindi riluttanti a delegargli poteri. Piuttosto, il Congresso detta regole astruse che riducono l’autonomia dell’esecutivo e rendono il processo decisionale lento e costoso. Di conseguenza il governo funziona male, alimentando ulteriormente la sfiducia dei cittadini e rendendo ancor più inviso il pagamento delle tasse, viste come uno spreco di denaro. Ma senza risorse adeguate, il governo non può funzionare correttamente e così il circolo vizioso si perpetua. 
Sono due gli ostacoli che impediscono di invertire il processo di decadenza. Il primo attiene alla politica: molti attori politici negli Stati Uniti riconoscono che il sistema non funziona bene, ma nutrono forti interessi a mantenere la situazione inalterata. I partiti politici nazionali non hanno alcun incentivo a privarsi dei finanziamenti delle lobby e queste ultime non vogliono un sistema in cui il denaro risulti inutile ai loro fini. Il secondo problema riguarda le idee: la tradizionale soluzione americana alla percepita disfunzionalità dell’apparato di governo consiste nel promuovere la partecipazione democratica e la trasparenza. È quanto avvenuto negli anni Settanta, quando i riformisti spinsero per primarie più aperte, per un maggior accesso dei cittadini ai tribunali e per una copertura mediatica permanente del Congresso. Ma gran parte dei cittadini non ha né il tempo, né la preparazione, né la voglia di affrontare complesse questioni politiche; estendere la partecipazione ha semplicemente spianato la strada ai gruppi di attivisti ben organizzati, che hanno acquisito più potere. La soluzione più ovvia sarebbe abolire alcune delle riforme «democratizzanti» varate in passato, ma nessuno osa affermare che il Paese abbia bisogno di meno trasparenza e partecipazione. 
La triste conclusione è che data la forza del circolo vizioso in cui è piombato il Paese, e data l’improbabilità di riforme costruttive, la decadenza della politica americana appare destinata a proseguire fin quando qualche shock esterno non favorirà l’aggregazione di una vera coalizione riformatrice, spingendola all’azione.

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