venerdì 29 maggio 2015

Eataly: riscoperto ma subito reinterrato un altro arco di Tito

Riscoperto l’arco di Tito. Ma sarà reinterrato

Mancano i fondi per intervenire
di Paolo Conti Corriere 29.5.15

Roma Antica non finisce di stupire e di lasciarsi scoprire. Stavolta la sorpresa riguarda i resti dell’Arco di Tito, ritrovati al Circo Massimo durante i lavori di restauro e di scavo realizzati dalla sovrintendenza comunale capitolina. La scena è degna di Roma di Federico Fellini: è riapparso il pavimento in lastre di travertino, sono riemersi tre plinti (strutture di basamento delle colonne) frontali e parte del plinto della quarta colonna. Il tutto durante uno scavo al di sotto della falda d’acqua che ricopre molte realtà archeologiche romane. Sono state ritrovate anche strutture altomedievali.
Qualche dato tecnico: l’ampiezza dell’arco era di 17 metri, la profondità di 15, le colonne dovevano essere alte 10 metri (nel complesso più piccolo di quello di Settimio Severo).
Fin qui la buona notizia. Poi arriva il tipico risvolto italiano. Poiché mancano le risorse economiche per eliminare le infiltrazioni d’acqua e per tentare di ricostruire l’arco (che era al centro dell’emiciclo del Circo Massimo, mentre l’altro arco di Tito si trova sulle pendici settentrionali del Palatino) con il sistema dell’anastilosi — ovvero la ricostruzione con il materiale autentico — tutto verrà reinterrato in attesa dei fondi, per evitare possibili danneggiamenti.
Può far amaramente sorridere, ma è l’unico modo per proteggere quella scoperta, visto che i soldi non ci sono. Chissà, magari un mecenate (con buona pace dei troppi demonizzatori del sostegno dei privati al nostro Patrimonio culturale) potrebbe offrire un omaggio postumo all’imperatore Tito, che riavrebbe così il suo arco costruito nell’81 dopo Cristo, l’anno della sua morte. 


Riaffiorano dagli scavi al Circo Massimo i resti dell'arco di Tito
Matteo Sacchi - il Giornale Ven, 29/05/2015
Un altro arco di Tito (39 d.C- 81 d.C.) oltre a quello posto sulle pendici del Palatino. Più antico e altrettanto imponente (quello del Palatino fu completato entro l'anno 90 d.C. quando Tito era già morto per volontà del Senato). I resti sono stati ritrovati a Roma nei pressi del Circo Massimo dagli archeologi della Sovrintendenza capitolina.
Nei lavori di scavo e restauro dell'emiciclo del Circo, che era il più grande ippodromo della città, sono stati ritrovati alcuni grandi frammenti architettonici in marmo lunense relativi alla zona dell'attico e alla trabeazione dell'Arco. Apparterrebbero all'Arco che gli storici romani ci dicono venne costruito nell'81 d.C. e pensato come un passaggio monumentale integrato nelle strutture del Circo. Gli studi sono appena iniziati. Le indagini, ancora in corso, sono risultate molto complesse perché come spiegano gli archeologi «lo scavo è realizzato al di sotto della falda di acqua che ricopre gran parte delle strutture archeologiche». È stato riscoperto il pavimento antico in lastre di travertino e sono stati messi in luce tre plinti (basamenti) frontali e parte del plinto della quarta colonna. Il potente strato di riporto che copriva parte delle strutture antiche ha permesso anche la conservazione di alcune strutture murarie tardoantiche o altomedievali.
In attesa delle nuove risorse necessarie per l'eliminazione delle infiltrazioni d'acqua, per la ricostruzione con la tecnica dell'anastilosi dell'arco (tecnica di restauro con la quale si rimettono insieme, elemento per elemento, i pezzi originali di una costruzione distrutta), nonché per evitare rischi di danneggiamento, tra pochi giorni l'area del ritrovamento sarà reinterrata. Intanto a partire dalle prime misurazioni l'ampiezza dell'Arco è stata calcolata in circa 17 metri, per una profondità di 15, mentre le colonne dovevano sviluppare un'altezza di più di 10 metri. Un monumento che doveva impressionare non poco, per magnificenza e ricchezza di decorazioni, i visitatori che entravano in Roma dalla Via Appia attraverso la vicina Porta Capena.
È attualmente in fase di realizzazione, in collaborazione con il Dipartimento Architettura dell'Università di Roma Tre, la ricostruzione virtuale del monumento (ne vedete un abbozzo nella foto sopra). Dedicato a Tito proprio nell'anno della sua morte, nell'81, per celebrare la sua vittoria sui Giudei e la distruzione di Gerusalemme, doveva essere per i romani un simbolo importante e rassicurante. La sfida della Prima guerra giudaica (dal 66 d.C. sino al 70 d.C. con strascichi successivi) era stata lunga e complessa. Vespasiano e suo figlio Tito avevano costruito lì la loro fortuna militare e politica ottenendo vittorie strepitose, e riportando la pace nell'Impero dopo il travagliato periodo neroniano e l'anno dei quattro imperatori. Il monumento celebrava tutto questo: tre fornici (arcate) intercomunicanti, con una platea ed una scalinata sulla fronte verso il circo. La fronte monumentale da 4 colonne libere e 4 lesene retrostanti aderenti ai piloni. Era sormontato, sull'attico, da una grandiosa quadriga bronzea. L'Arco assumeva un ruolo particolarmente importante nel corso delle processioni trionfali che celebravano le vittorie.

Beni archeologici riseppelliti Pochi fondi per valorizzarli
di Paolo Conti Corriere 1.6.15
«Reinterrare un bene archeologico? Succede spesso. E ha senso quando non si può conservare, valorizzare, comunicare come sarebbe giusto. Oppure costituisce una realtà molto fragile che, esposta alle intemperie, si danneggerebbe. Ma nel caso delle ultime scoperte dell’Arco di Tito al Circo Massimo diventa difficile capire il perché del reinterro. Si parla di mancanza di fondi. Sono pronto a scommettere che tanti mecenati, per esempio americani, sarebbero disponibili subito a finanziare i lavori per gli scavi e il recupero dell’Arco. In fondo, si tratta del Circo Massimo legato nell’immaginario collettivo a Ben Hur...».
Andrea Carandini, grande archeologo e presidente del Fondo Ambiente Italiano, parla degli scavi del Circo Massimo, col recupero del pavimento in lastre di travertino e di tre plinti (strutture di basamento delle colonne) frontali e parte del plinto della quarta colonna. Si trattava dell’Arco di Tito che apriva l’ingresso del Circo Massimo dal lato di Porta Capena, e quindi dalla via Appia (l’altro Arco di Tito è sulle pendici settentrionali del Palatino). La sovrintendenza comunale ha deciso il reinterro in attesa dei fondi per il recupero, l’anastilosi (la ricostruzione col materiale originario) e per contenere la falda d’acqua sottostante.
Ma il caso del Circo Massimo riporta alla mente tante storie di archeologia reinterrata. C’è il caso scandaloso di cui ha parlato Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera , il 13 aprile scorso: le rovine dell’antico Foro a Capo Colonna, in Calabria, ricoperte da una colata di calcestruzzo. Una scelta insensata che rende difficilissimo qualsiasi recupero.
Caso opposto (e consapevole) a quello di Mignano Montelungo, in provincia di Caserta. Come racconta l’ex soprintendente di Napoli e Caserta Stefano De Caro (oggi direttore generale dell’Iccrom, l’organismo Unesco per lo studio della conservazione e il restauro del Patrimonio) durante i lavori per la linea ferroviaria ad alta velocità Roma-Napoli «riemerse un abitato romano dotato anche di terme. Riuscimmo a salvarlo cambiando il progetto e collocando la linea ferroviaria su alcuni piloni. Poi reinterrammo. In qualche modo abbiamo “messo in frigorifero” quel sito per le future generazioni. Lo stesso è accaduto col villaggio di Longola Poggiomarino, nell’area metropolitana di Napoli, una specie di Venezia della protostoria. Il sistema di palafitte era troppo fragile e rischiava di deteriorarsi. Il reinterro è un indiscutibile metodo di buona conservazione. Io penso che a Pompei sia stato scavato troppo e che tanti beni esposti siano fatalmente destinati a un deterioramento».
Sulla bontà del reinterro concorda anche Giuseppe Proietti, ex segretario generale dei Beni culturali e oggi amministratore delegato Ales (arte lavori e servizi).
A Roma due casi di reinterro hanno fatto discutere prima del Circo Massimo. Il primo risale al 2007-2008, quando vennero reinterrati i reperti che bloccarono il progetto del grande parcheggio nelle viscere del Pincio. Più recente il materiale emerso in via Giulia durante i lavori per la costruzione di un parcheggio interrato (poi bloccato). Si tratta delle Scuderie di Augusto, ormai ricoperte, che saranno parzialmente valorizzate dopo alcune asportazioni. Ma il complesso resterà sotto terra.
Un’altra storia di reinterro è quella del Villaggio Preistorico di Nola, scoperto nel 2001 e ricoperto nell’estate scorsa. Il complesso che risale a quattromila anni fa (l’hanno chiamato la Pompei dell’Età del Bronzo) era minacciato da una falda acquifera che rischiava di far letteralmente scomparire i delicati reperti. Troppo scarsi i fondi a disposizione, diciamo inesistenti. Allora meglio riseppellire tutto. Sperando in un futuro migliore. 

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