martedì 20 ottobre 2015

Una storia della scoperta della materia. Verso le nanotecnologie

Mark Miodownik: La sostanza delle cose. Storie incredibili delle meravigliose sostanze di cui è fatto il mondo, Bollati Boringhieri, pp. 249, € 22

Risvolto
Questo libro è il lato bello dell'ingegneria, quello visionario e sperimentale, narrato per suscitare una meraviglia continua, pagina dopo pagina, materiale dopo materiale. Perché si vede attraverso il vetro? Cosa rende elastiche le suole delle scarpe da tennis? Come funziona il cemento armato che "si aggiusta da solo"? Qual è la storia dell'acciaio, e quanti tipi ne esistono? Che tipo di struttura chimica ha una barra di cioccolata? A queste e a molte altre domande simili troverete risposta in questo libro. Tutti i materiali che ci circondano hanno storie magnifiche da raccontare, dalla carta al caffè, dalla plastica ai tipi più avveniristici di grafite.



La rivoluzione piccola piccola 

In forma di storytelling, Mark Miodownik racconta il mondo delle nanotecnologie destinate a cambiare a fondo le nostre vite 

Marco Belpoliti Stampma 20 10 2015

Il 29 dicembre 1959, al California Institute of Technology, Richard Feynman, futuro premio Nobel, uno dei geni del XX secolo, pronuncia davanti a una platea di scienziati del tutto impreparati a cogliere la sua prospettiva, il celebre discorso: «There’s Plenty Room at the Bottom», ovvero «C’è un sacco di spazio laggiù in fondo». Feynman ipotizza la nascita delle nanotecnologie immaginando circuiti composti di soli sette atomi.Sono trascorsi più di 50 anni e quella idea ha sviluppato un campo di indagine in cui biologi, fisici e chimici si sono avventurati creando materiali e soluzioni tecnologiche davvero imprevedibili. Mark Miodownik, ingegnere di materiali, docente presso lo University College di Londra, seduto a un tavolino sulla terrazza della sua abitazione inglese, sullo sfondo lo Shard, il più alto grattacielo europeo dall’inconfondibile forma a punta, prova a mettere in scena in 

La sostanza delle cose  (Bollati Boringhieri, pp. 249, € 22) questa incredibile rivoluzione tecnologica che sta modificando le nostre vite.
In prima persona
Tutto quello che riguarda le nanotecnologie si trova al di fuori della portata dei nostri occhi, in uno spazio profondo, come aveva ipotizzato Feynman, nel campo dell’invisibile. Miodownik ha esemplificato, riferendosi a cose che indossa e utilizza, la storia di alcuni di questi materiali, scegliendo i più consueti come acciaio, cemento, plastica, carta e vetro, e altri meno, come aerogel o grafene. L’intento dell’ingegnere inglese è narrativo; ha miscelato la spiegazione della struttura dei materiali con sue vicende personali, una forma di storytelling, oggi uno dei modi più diffusi per comunicare al pubblico dei lettori questioni scientifiche e tecnologiche complesse. 
Per esempio il cemento
In effetti, solo per restare al campo individuato da Miodownik, noi sappiamo ben poco dei perché e del come di molti dei materiali che ci circondano, a partire dal cemento, su cui è caduto negli ultimi decenni un interdetto, ma che in realtà è alla base delle moderne abitazioni. 
Il modo con cui viene realizzato non è affatto banale: carbonato di calcio, silicati, acqua, calore, ma anche rocce ricche di alluminio e ferro. Il cemento diventa in una fase della sua trasformazione un gel, come quelli applicati sui capelli, che contiene un’ossatura di fibrille di silicato di calcio idratato. Il susseguirsi di reazioni chimiche ben guidate fa sì che le fibrille - viste al microscopio sembrano filamenti di un vegetale - s’intreccino tra loro formando legamenti e intrappolando quantità sempre maggiori di acqua, passando da uno stato gelatinoso a uno solido: il calcestruzzo. Tutto questo non è visibile a occhio nudo; avviene in una zona dove dominano atomi e legamenti molecolari.
Nessun materiale che ci circonda è monolitico e uniforme: è formato «da molte entità che danno vita al tutto, e queste entità si manifestano a diversi ordini di grandezza». L’immagine della matrioska è perfetta per descriverlo: ogni materiale contiene strutture via via più piccole che s’incastrano l’una nell’altra e che nella maggior parte dei casi sono invisibili a occhio nudo. Possediamo microscopi e strumenti in grado di manipolare le strutture a livello nanometrico, ovvero là dove s’aggregano gli atomi formando strutture più ampie. La macroscala, situata alla soglia del visibile, raggruppa le strutture atomiche, le nanostrutture e le microstrutture. 
Macro, micro e nano
Lo schermo del cellulare, ad esempio, è una macrostruttura; presenta un aspetto levigato; se ci cade sopra una goccia d’acqua funziona come una lente d’ingrandimento: sotto ci sono minuscoli pixer rossi, verdi e blu (le microstrutture). Questi cristalli liquidi possono essere manipolati e mescolati in maniera tale da rappresentare tutti i colori dello spettro visibile, possono essere accesi o spenti velocemente, così da rendere possibile la visione di un filmato. Più sotto ancora ci sono le strutture atomiche. Assemblando un centinaio di atomi si ottiene una nanostruttura che è un miliardo di volte più piccola di noi. Abituati a pensare il nostro rapporto con le cose attraverso le mani - oggetti che stanno in una mano, che si afferrano con le mani, che si toccano con le mani - è difficile pensare lo spazio-laggiù-in-fondo, che non possiamo praticare se non con strumenti che sono protesi infinitesimali di noi stessi.

La novità sconvolgente non è però questa, quanto piuttosto che esplorando questo spazio ci si è accorti che i materiali sono in grado di riorganizzarsi da soli. Laggiù le forze fisiche dominanti - forze elettrostatiche e la tensione superficiale - che legano tra loro le cose sono fortissime, mentre le forze che riguardano il nostro mondo quotidiano sulla superficie della Terra - le forze gravitazionali - sono piuttosto deboli. Nell’ordine di grandezza di un’automobile l’attrazione gravitazionale della Terra è decisiva, nello spazio infinitesimale no; inoltre lì i materiali si assemblano e si autoriparano grazie ad altre forze.

Ciò che ci rende umani

Quando al liceo ho studiato biologia, oltre 40 anni fa, poco dopo l’epoca in cui Feynman pronunciava il suo discorso, il mondo si divideva tra esseri viventi e organismi non viventi, come rocce, utensili, edifici, materiali. Oggi, come mostra Miodownik, questa divisione non ha più senso. Se seguiamo l’autore di questo libro, in futuro avremo uomini e donne bionici dotati di organi, ossa e perfino cervelli realizzati con nuovi materiali sintetici. Per fortuna a renderci umani non è solo la materia, ma anche lo spirito, espressione che Miodownik non usa, ma con cui nel corso del XIX e XX secolo si sono indicate realtà estetiche e culturali che abbiamo elaborato nel corso della nostra evoluzione. Non si trovano laggiù-in-fondo, eppure rivestono per noi significati fondamentali: fanno parte della nostra inalienabile identità umana.



Si fa presto a dire plastica

Come per le persone le differenze autentiche tra un materiale e l’altro di trovano al di sotto della superficie. Un libro di Mark Miodownik che ci insegna a non dare nulla per scontato
Gianni Fochi Domenicale 22 11 2015

È di plastica! Sì, ma di quale plastica? Questa bacinella ha impressa la sigla PP, quell’altra invece LDPE come quel flacone di detersivo liquido. Sul fondo della scatoletta di cioccolatini c’è scritto PS. «In definitiva, perché porsi il problema?» scrive Mark Miodownik nel suo libro La sostanza delle cose; e prosegue: «Non so a voi, ma a me la questione sta a cuore, e sarà mia premura farvi capire perché». Ne fa una questione di conoscenza del carattere, quasi a voler umanizzare la materia inerte: «Come per le persone, le differenze autentiche tra un materiale e l’altro si trovano al di sotto della superficie». Il parallelismo antropomorfico è in fondo meno azzardato di quanto potrebbe sembrare, tanto che lo studio del nostro rapporto coi materiali ci ricade addosso in vario modo, sfera psicologica compresa. È stata dimostrata l’importanza del suono emesso dal cibo mentre lo mangiamo: ecco allora alcuni produttori di patatine renderle non solo il più croccanti possibile, ma scegliere addirittura un involucro in materiale particolarmente scricchiolante. 
Toccando aspetti di questo genere, l’autore tiene incollati alle pagine anche i lettori che problemi come quello su accennato mai se li porrebbero. La sua scrittura è piacevole e vivace, narrativa, ogni tanto sfiora perfino il gigionesco: per esempio quando, in apertura, racconta che ai tempi del liceo fu incuriosito dalle proprietà dell’acciaio quando un borseggiatore gl’inferse con una lametta una brutta ferita sulla schiena. In quella circostanza la sua attenzione di ragazzo sarà stata concentrata su ben altro! Comunque fosse, restano da apprezzare senz’altro le sue doti di divulgatore scientifico. Il libro si legge scorrevolmente, e nello stesso tempo porta a riflettere su un sacco di cose che diamo per scontate: non ci viene in mente di ringraziare il cemento, se ci permette d’abitare in case resistenti, comode e perfino eleganti nelle loro forme; e non ci meravigliamo se la pianta del cacao si chiama theobròma, alimento degli dei. Forse ci si può stupire che l’aerogel, la spugna leggera come il fumo montata sulla sonda spaziale Stardust, sia riuscita una decina d’anni fa a catturare, per portarli integri sulla terra agli scienziati, i microscopici frammenti d’una cometa, che pure viaggiavano cento o duecento volte più veloci d’un proiettile di pistola. «La maggior parte delle persone non stringerà mai tra le mani un pezzo di aerogel - scrive Miodownik - ma chi ha questa fortuna non se lo dimenticherà mai. È un’esperienza unica. Il suo peso è impercettibile, e i suoi spigoli sono talmente evanescenti che è impossibile vedere dove finisce il materiale e incomincia l’aria. A questo aggiungete lo spettrale colore blu e vi sembrerà davvero di tenere in mano un pezzo di cielo».
Miodownik introduce garbatamente il lettore a quel minimo di conoscenze scientifiche che permette di capire come tutto questo possa succedere. L’effetto è sicuramente buono, tanto che all’autore si possono perdonare alcune improprietà: quando dice «molecole di bromuro o cloruro d’argento», cioè di sostanze fatte di ioni e non di molecole; o quando, per spiegare la fusione del burro di cacao, dice che si rompono i legami atomici (invece si tratta delle attrazioni intermolecolari). Non vogliamo nemmeno incolpare il traduttore, se gli è stato affidato un testo a nocciolo scientifico. Egli incappa nel classico infortunio di rendere meccanicamente con nitrogeno l’inglese nitrogen, che in italiano è il banalissimo azoto. Curiosamente la traduzione oscilla fra il termine giusto e quello maccheronico, finendo con un pareggio tra le ricorrenze rispettive: 2 a 2. Più sottile, ma anche più pericolosa per il pubblico è la “polvere gessosa” di carbonato di calcio. Quello che noi chiamiamo gesso è un solfato di calcio, e l’equivoco viene dal fatto che nel mondo anglosassone è col carbonato (chalk) che tradizionalmente si fanno i bastoncini per scriver sulla lavagna. Noi li chiamiamo gessi, perché invece da noi il solfato è uno dei loro ingredienti principali, forse un tempo era addirittura l’unico. Se nell’originale inglese la polvere è definita chalky, il “gessosa” della versione induce i lettori nostrani a confondere i due materiali, errore da cui inglesi e americani sono automaticamente immuni. Troviamo infine la fantomatica iodina: null’altro che lo iodio (iodine in inglese).
Segnalate doverosamente queste imperfezioni che non sminuiscono il valore del libro, è bene concludere citando un brano adatto a sfatare una delle infatuazioni moderne: la carta non è poi così ecologica e la plastica non è così antiecologica, come invece si pensa. Scrive Miodownik: «L’impatto in termini di consumo di energia di una borsa di carta è superiore a quello di una sporta di plastica». Capito, signori ambientalisti da salotto?

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