venerdì 13 novembre 2015

Un'intervista a Vladimiro Giacchè

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Merkel ostaggio di banche e industrie 
Le nazionalizzazioni, la riforma Hartz, gli aiuti di Stato agli istituti di credito, il caso Volkswagen: l’economista Vladimiro Giacchè smonta la tesi della leadership «forte» nella politica tedesca 
13 nov 2015  Libero MARTINO CERVO

I maggiori partiti politici tedeschi sono uniti. Uniti nel ritenere un'assoluta priorità la difesa della grande industria e della finanza». Vladimiro Giacchè, economista, dirigente in campo finanziario, vede nell'attualità una conferma delle sue tesi su una peculiarità del paese leader della Ue. «Sul TTIP con gli USA, ad esempio, SPD e CDU la pensano allo stesso modo» al contrario di molte pmi e di molti cittadini. Il ministro delle Finanze che decise colossali aiuti di Stato per salvare le banche tedesche dal fallimento nel 2008/2009 (259 miliardi di euro, 646 con le garanzie) era il socialdemocratico Steinbrück…e ci sono molti altri esempi».  

Lei parla di una classe dirigente sbilanciata su grandi imprese e banche. Ma come è nata questa anomalia? 

«Alla base, la svolta di Schrö der: oltre 10 anni fa ridefinì la SPD come “nuovo centro” e abbandonò l'idea socialdemocratica che lo Stato debba correggere i fallimenti del mercato. Seguirono le riforme Hartz che ridussero i sussidi di disoccupazione e spianarono la strada alla creazione di lavoro precario e sottopagato, specie nel settore dei servizi». 

Vede radici storiche più lontane? 

«Il nazismo fu finanziato e sostenuto dalla grande impresa e dalle banche tedesche e ne fece gli interessi. Il nesso era così evidente che nell'immediato dopoguerra perfino la CSU era favorevole alle nazionalizzazioni. A Norimberga furono condannati anche alcuni nomi importanti del capitalismo tedesco». 

E l'Unificazione? O meglio, l'Anschluss come l'ha chiamata nel suo libro del 2013? 

«L’unione monetaria (precedette quella politica) e la gestione delle privatizzazioni delle imprese dell'Est furono gestite in modo funzionale agli interessi di grandi imprese e banche dell' Ovest. Col cambio fissato a 1:1 (e i rapporti commerciali tra le due Germanie regolati a 1:4,44) i prezzi dei prodotti dell'Est conobbero una rivalutazione del 350%: fu il colpo di grazia all'intero sistema industriale tedescoorientale. I pezzi migliori furono venduti in saldo dalla Treuhandanstalt (un trust per gestire le privatizzazioni, ndr) alle imprese dell'Ovest; il resto fu liquidato. Le banche furono privatizzate per 824 milioni di marchi pur avendo in portafoglio crediti per 44,5 miliardi! Fu il più imponente aiuto di Stato prima del 2008/2009. L'apparato industriale dell'Est fu distrutto facendo esplodere disoccupazione ed emigrazione, e aumentando lespese per sussidiare i consumi di un territorio non più autosufficiente. Non sempre gli interessi delle grandi imprese e quelli della collettività coincidono…». 

Lei dice che la stessa dinamica è in atto oggi con certi paesi dell'eurozona. 

«In diversi paesi assistiamo a fenomeni simili a quelli dell'exRDT: calo del pil, crollo della produzione industriale, disoccupazione, emigrazione di forza lavoro qualificata. Il motivo ha a che fare almeno in parte con l'unione monetaria. Come ha ricordato Oskar Lafontaine, già ministro delle finanze tedesco: “Sotto il tetto di una moneta comune se lo stesso prodotto viene fabbricato in luoghi diversi a costi differenti, Sopra, una caricatura molto “alla Goethe” della cancelliera tedesca Angela Merkel, tratta da un sito satirico tedesco. A sinistra, l’economista milanese Vladimiro Giacchè 

questo conduce ad abbandonare la produzione dove il costo è più elevato”. La Germania in questi anni ha praticato una politica di forte contenimento dei salari. La combinazione del vincolo della moneta unica con questa politica della prima manifattura europea ha prodotto gli effetti che abbiamo visto nei paesi "periferici". La situazione è ulteriormente peggiorata quando in questi paesi, dopo lo scoppio della crisi, l’imposizione di politiche di austerity ha colpito i bilanci delle famiglie “distruggendo la domanda interna" (come disse Monti)». 

Tornando alla Germania: ma se una classe dirigente è capace di vincere e guidare l'Europa facendo anche gli interessi della classe imprenditoriale non è solo brava? 

«La qualità politica sta nel bilanciare i vari interessi in gioco. Se so che, comunque vadano le cose, il mio governo non mi lascerà fallire, è più probabile che io faccia ricorso a pratiche scorrette pur di aumentare i miei guadagni. Il caso Volkswagen è l'ultimo esempio di cosa possa produrre l'esercizio spregiudicato dell'enorme potere conseguito da certe aziende. Un altro caso è rappresentato dall'Unione bancaria: Schäuble è intervenuto e le regole sono state fatte in modo da tener fuori dalla vigilanza BCE praticamente tutte le casse di risparmio tedesche. Questa "rete" altera la concorrenza e rende alla lunga le loro imprese più propense a comportamenti poco ortodossi». 

A suo parere dove questa presunta anomalia mostra la corda? In fondo il modello funziona…  

«Si tratta di un sistema apparentemente molto compatto, ma che aumenta la disuguaglianza. In Germania negli ultimi anni è aumentato il numero dei lavoratori che vivono al di sotto della soglia di povertà. La stessa politica di accoglienza dei rifugiati riflette questa contraddizione: grandi imprese e stampa sono favorevoli, ma a condizione di poter derogare dal salario minimo. Questa nuova manodopera premerà sui lavoratori tedeschi, spingendo al ribasso i salari. Anche questo alimenta in una parte notevole della popolazione il rifiuto di accogliere i rifugiati. Quella di una Germania maestra di virtù è una favoletta. Alla Merkel anche gli avversari riconoscono una grande capacità tattica, ma sempre all'interno della "linea rossa" rappresentata dagli interessi dei grandi potentati economici».

1 commento:

Giancarlo Russo ha detto...

Ricordo che, tempo fa, una puntata di "Presa Diretta" smontò il mito della Germania ricca e virtuosa, mostrando platee di persone, anche occupate in settori "prestigiosi", andare a fare la spesa dove i prodotti costano sensibilmente meno, in quanto i loro guadagni non permettono di vivere dignitosamente. A tal proposito, sono stati scritti anche un bel po' di libri a riguardo, specie da scrittori e giornalisti tedeschi.
Quel che è successo in Germania lo vedremo replicato in Italia. Quando la Confindustria, azionista di maggioranza de facto del Governo Renzi, chiede che "si adegui il salario alla produttività", sta chiedendo in modo diplomatico di derogare dal salario minimo per recuperare competitività. Solo che, se le persone continuano a guadagnare poco, poi quelle merci non si venderanno perché le merci si vendono solo se esiste la domanda. Ed è impensabile che tutti i paesi europei adottino la stessa strategia perché è assurdo pensare che possa funzionare. Infatti, esiste un surplus, in termini di bilancia commerciale, solo se da qualche altra parte esiste un deficit: è matematico. Per cui, per logiche questioni, non tutti possono essere come la Germania.

Sperando di non aver arrecato disturbo, auguro una buona serata!