lunedì 11 gennaio 2016

Landolfi e la letteratura russa



Landolfi allo specchio di Dostoevskij 
Radunati in volume i testi dedicati alla slavistica dal pirotecnico scrittore laziale. Che s’identificava con l’autore de «Il giocatore» e con gli altri russi dell’800, senza aver mai letto «Anna Karenina» 21 gen 2016  Libero ROBERTO COALOA
Finalmente, un intero volume, I russi (Adelphi, pp. 368, euro 30), raduna - con preziosi inediti e per la prima volta - tutti gli scritti dedicati alla slavistica di Tommaso Landolfi. Una bella sorpresa in libreria per chi ama il più eccelso e snob, rasente alla follia, degli scrittori italiani. Landolfi slavista non è una novità, tuttavia gli scritti usciti negli anni Trenta, su una moltitudine di riviste, sono copiosissimi e non erano mai stati raccolti in volume prima di oggi. Così come alcune traduzioni, che parevano perdute, dello stesso periodo. Per esempio, c’è una trasposizione inedita di Un soffio leggero di Ivan Alekseevic Bunin ritrovata in un quaderno manoscritto.
Il libro, inoltre, svela un aspetto che i più attenti critici dello scrittore, come Italo Calvino o Carlo Bo, hanno sottovalutato. Calvino e Bo notarono una parentela letteraria tra le opere di Landolfi e quelle di Jules Amédée Barbey d’Aurevilly e di Auguste de Villiers de l’Isle-Adam. Bo affermò anche che Landolfi è stato il primo scrittore dopo Gabriele d’Annunzio ad avere il dono di giocare con la lingua italiana e di poterne fare ciò che vuole. In realtà, Landolfi è intriso di «russità». I suoi specchi, nei quali ama guardarsi, ammirando se stesso, sono stati soprattutto Dostoevskij, Puškin e Gogol’. Landolfi, infatti, si dedicò a ciò che gli interessava o che gli somigliava di più.
Il bello di Landolfi, la sua cifra stilistica, è il suo essere eccessivo come i suoi russi: egli maneggia la grande letteratura russa come una cosa viva. Addirittura, c’è un processo di osmosi fra letteratura e vita, che inseguiva la letteratura! Questo è un dato decisivo in Landolfi. Lo scrittore diventò «Igrok», il giocatore, non come il protagonista di Dostoevskij, Aleksej Ivànovic, ma quasi: un giocatore, anche se decisamente raté. L’amico suo, Calvino, scrisse: «Avendolo osservato varie volte al tavolo della roulette (egli passò buona parte degli ultimi anni a San Remo, e per trovarlo sapevo che dovevo andare al Casinò) l’impressione che mi faceva era che non fosse un buon giocatore, nel senso che giocava (o mi pareva giocasse) proprio “a caso”, senza una strategia, senza un disegno, senza seguire uno di quei percorsi obbligati o “sistemi” in cui i giocatori che si pretendono avveduti cercano d’incanalare e intrappolare la fluidità informe del caso». Landolfi amava identificarsi con l’amatissimo Dostoevskij, scrittore come lui e instancabile gambler.

Dove e quando nasce la passione di Landolfi per il mondo russo? Com’è diventato slavista? La leggenda vuole che il giovane studente universitario Tommaso, iscritto alla Facoltà di Lettere, nell’inverno 1929, dopo aver frequentato un piccolo appartamento fiorentino, vicino al Ponte Vecchio, ne uscisse due mesi dopo con un gran tesoro: la conoscenza dell’alfabeto cirillico. A Firenze non esisteva ancora una cattedra di Letteratura russa. Il noviziato culturale di Landolfi, tuttavia, fu arricchito dalle conversazioni, per intere notti, con amici del calibro di Carlo Bo, Leone Traverso e Renato Poggioli. Con quest’ultimo era inevitabile l’incontro con i russi.

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