Vivere alla Montaigne
Gino Ruozzi Domenicale 10 1 2016
I libri su e con Montaigne stanno diventando una specie di autonomo genere letterario. In particolare quelli “con” Montaigne, come questo Sono socievole fino all’eccesso di Ugo Cornia e Un’estate con Montaigne di Antoine Compagnon (2013). In effetti la lettura dei Saggi e del Viaggio in Italia di Montaigne apre subito a un dialogo coinvolgente e amichevole con questo gigante della riflessione e dell’esperienza moderna. I Saggi catturano il lettore con il loro «stile di pensiero divagante e zigzagante», come lo definisce Cornia in una formula che rispecchia anche la propria narrativa e saggistica, dall’esordio di Sulla felicità a oltranza (1999) a Operette ipotetiche (2010) e Scritti di impegno incivile (2013).
Nella propria «Vita di Montaigne» Cornia fa parlare soprattutto Montaigne, componendo un mosaico di citazioni che ne disegna il profilo in modo accattivante e persuasivo. Cornia legge i Saggi seguendo le proprie inclinazioni, a cominciare dai temi dell’amicizia e della morte, di cui già in Sulla felicità a oltranza aveva scritto che i morti «sono la cosa più preziosa della terra». I pensieri di Montaigne si nutrono della realtà: quella drammatica e crudele delle guerre civili e religiose che insanguinarono la Francia nel secondo Cinquecento; quella personale del dolorosissimo “mal della pietra” che lo martoriò fino alla morte. Tuttavia dalla lettura di Montaigne si esce con una prevalente idea di libertà e di appagamento, di tenace voglia di vivere, di trascinante simpatia e «socievolezza». Montaigne ama ascoltarsi e ascoltare e preferisce la compagnia degli amici (il prediletto La Boétie) a quella dei potenti (tra cui alcuni re di Francia) che lo corteggiano e vorrebbero averlo al proprio fianco. Nella sua biografia c’è pure la carica di sindaco di Bordeaux, che gli viene annunciata mentre è in viaggio in Italia, nei pressi di Lucca, alla continua ricerca di bagni termali che possano alleviargli la pena dei calcoli e facilitargli la possibilità di urinare.
Il Montaigne pubblico però quasi scompare di fronte al Montaigne in apparenza privato che lascia in eredità lo splendore letterario dei Saggi, modello di dialogo ininterrotto con sé stessi, opera fondamentale della concretezza sperimentale e utopica della modernità, la stessa che in modi diversi contraddistinse Leonardo da Vinci e Machiavelli, Erasmo da Rotterdam e Francesco Guicciardini, Rabelais e Bacone. Nel ritratto-racconto di Cornia, la «salute» di Montaigne, titolo di un memorabile testo di Sergio Solmi, si misura con la quotidianità della vita, a volte serena, più spesso sofferente. Il passaggio da uno stato all’altro può essere causato da inezie, stravaganze, sorprese determinate dalla «perpetua oscillazione» del mondo.
A questa «altalena» ci si può opporre o lasciare andare, accompagnando il movimento delle cose, come sceglie di fare Montaigne. In questa adesione cordiale alla vita, che rinvia al carpe diem di Orazio, c’è un piccolo segreto di felicità: «Cogliamo, soprattutto noi vecchi, cogliamo la prima occasione opportuna che ci capita», nella convinzione che il «frutto supremo della mia salute è il piacere». In sintonia con le parole di Montaigne così sigla Cornia: «Il capolavoro è quello: vivere come si deve. Così», ricordando, come recita l’epilogo dei Saggi, che anche «sul più alto trono del mondo non siamo seduti che sul nostro culo».
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