giovedì 21 gennaio 2016

Selvatichezza a sinistra e irreversibilità della libertà moderna

La spontaneità con cui a sinistra i sentimenti morali si sono rapidamente re-inselvatichiti appena è venuto meno ogni disciplinamento legato a una prospettiva universalistica, è impressionante. Ed è una conseguenza della nostra sconfitta che sarebbe stato preferibile evitare.
La cosa più curiosa è che, in questa completa perdita di riferimenti culturali, proprio coloro che pretendono di contestare il cosmopolitismo neoliberale e la dittatura del politicamente corretto (funzionale a un presunto individualismo consumeristico), nel voler ripristinare una fantomatica genuinità e autenticità naturale delle classi subalterne - e nel voler ribadire il primato del conflitto di classe su ogni altra contraddizione (come se ci fosse una somma zero e come se conflitto di classe significasse lotta sul terreno economico tra ricchi e poveri) - cominciano proprio deridendo la comune umanità. E auspicando apertamente pratiche di discriminazione e de-emancipazione oppure bagatellizzandole.
Tra l'altro, l'atteggiamento di trasgressione sistematica e spettacolarizzata dei tabu sociali attraverso la rivendicazione della più rozza immediatezza è esso stesso un gesto di distinzione individualistico, per quanto regressivo e malriuscito. Un gesto che mima lo stesso movimento di infrazione provocatoria della norma sociale che ha caratterizzato la desacralizzazione postmoderna dei fondamenti culturali della democrazia, perché non conosce ormai altre modalità espressive.

Fa ridere questa critica della libertà individuale, per lo più inconsapevole del fatto che fuori della libertà individuale non c'è che il primato organicistico della comunità, quel gretto controllo sociale, quel particolarismo astratto e quella limitatezza di relazioni che è sinonimo di ottusaggine e di cui Marx si è sempre fatto beffe.
Siamo di fronte, dunque, a una manifestazione di subalternità uguale e contraria a quella di chi nella sola dimensione formale identifica l'alfa e l'omega della democrazia.


A meno di catastrofi, non si torna indietro dalla libertà dei moderni, per fortuna.
Il problema non è sottomettere la libertà individuale a quella comunitaria o di classe (quale classe? dov'è finita? essa va semmai ricostruita). Ma portare la libertà individuale su un terreno cooperativo e coniugarla con la libertà collettiva, facendo in modo che non sia più subalterna al darwinismo sociale e al solo consumo (che di per sé è comunque cosa ottima). Sottrarla cioè alla mera dimensione negativa per restituirle una piena positività e potenza di trasformazione del reale. E affrontare su queste basi i conflitti che inevitabilmente sorgono e sempre sorgeranno tra le diverse forme e pretese di libertà.

Poiché con tutti i suoi orrori si colloca comunque sul terreno della modernità e della libertà moderna, persino il capitalismo più spietato è sempre meglio di ogni utopia organicistica, così come l'abbondanza è sempre meglio della penuria. Socialismo è esattamente la preparazione delle condizioni per l'universalizzazione di questa eguale libertà, oltre che per l'espansione della ricchezza. Non è l'adorazione della forza dello Stato (che ha la sua importanza nella misura in cui riesce a incarnare l'universale) o dei valori comunitari o dell'Impero medievale o della Quarta Roma.
E' per questo che, nonostante gli Spengler di ieri o i Dugin di oggi, rimane nettissima la distinzione tra sinistra e destra - tra emancipazione e de-emancipazione. E ogni evocazione di un fronte trasversale rimane semplicemente una mossa nell'ambito di una guerra politica per l'egemonia [SGA.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Premesso che non è molto chiaro, cercare di capire se sia peggio questa correttezza bigotta e pelosa o la scorrettezza di pancia e incivile è un'impresa.

Un saluto.

:-)

Anonimo ha detto...

Sono reperibili dei suoi approfondimenti inerenti a questa riflessione ?