domenica 21 febbraio 2016

SI ma anche NO. Nasce la "Piccola SEL". Speriamo che muoia anche presto


Per ora è Sinistra italiana

Cosmopolitica. Davanti a duemila persone via al nuovo partito, il nome definitivo al congresso. Ci sarà un comitato promotore largo. «Ultima chiamata, riconquistiamo la fiducia dei nostri»

Daniela Preziosi il manifesto 20.2.16
Grandi palloni rossi e sottili frecce gialle tipo patatine fritte, elementi stranianti nel razionalissimo Palazzo dei Congressi di Roma. Oltre 2mila presenze registrate, un palco che s’infila nella platea in un tentativo di accorciare le distanze fra chi parla e chi ascolta, come dire fra la sinistra e il suo popolo, perché l’obiettivo è «riconquistare la fiducia dei nostri», spiega Peppe De Cristofaro. È partita ieri pomeriggio la tre giorni di Cosmopolitica, ’cosmo’ anche perché è la ricerca di mettere ordine al ’caos’, spiega il professore Carlo Galli. È il primo giorno di «un’assemblea libera, che non può essere congressuale» (ancora De Cristofaro). Oggi si apriranno i 24 tavoli stile Leopolda e le quattro assemblee tematiche sulle quattro campagne del nuovo soggetto: democrazia, scuola, ambiente, lavoro e welfare. Poi un’intera sessione sulla democrazia digitale e su ’Commo’, la «casa online» di Si. Domenica sarà la giornata clou.
Ma il vero congresso invece arriverà a dicembre, così il vero simbolo, il vero nome, le vere regole. Fin lì è tutto provvisorio: il nome Sinistra italiana, che è quello del gruppo parlamentare nato alla camera dalla fusione fra Sel e cinque ex Pd. È noto il dissenso dei ragazzi del movimento Act sul nome, forse addirittura sulla parola «sinistra» per essere stata consumata da molti usurpatori, ma se ne riparlerà. Paolo Cento proporrà «Sinistra verde». Ma per ora giovani scapigliati e vecchie glorie sembrano d’accordo che bisogna tenere la creatura al riparo delle polemiche. Anche sulle perplessità sull’idea di «partito», altro termine su cui le anime più movimentiste sbuffano. Il risultato è la proposta di De Cristoaro: «Una formula ibrida, un partito oltre il classico partito», in grado — nelle intenzioni — di chiudere «il tempo degli accrocchi e di tutto quello che ha segnato la sconfitta della sinistra».
Ci sarà un comitato «ampio, imponente e aperto», e uno esecutivo più ristretto su cui si percepisce una certa effervescenza. Le questioni organizzative non scaldano i cuori (ma il confronto sì, mentre il manifesto va in stampa si svolge la prima delle due plenarie su questo delicato aspetto), ma sono importanti per capire se il nuovo soggetto avrà le gambe per affrontare la lunga traversata di una sinistra che diventa autonoma e indipendente.
La sfilata degli interventi, coordinati da Betta Piccolotti, affronta le battaglie qualificanti future. Immigrazione, democrazia, referendum sulle trivelle e quello sulla riforma costituzionale, la platea paziente ascolta. Si commuove per l’omaggio a Giulio Regeni, il ricercatore torturato e ucciso in Egitto, e Valeria Solesin, la ricercatrice morta al Bataclan di Parigi.
I temi sono tanti, si passano il testimone, a volte con qualche contraddizione. Voluta, non casuale: sono le contraddizioni della sinistra, intesa almeno fin qui nel suo significato più estensivo. Basta ascoltare Franco Martini, Cgil, l’autocritica di un sindacato che si è attestato «sulla difesa di quello che eravamo, di quello che ci stavano portando via», e subito dopo la ricercatrice Marta Fana che contesta alla Cgil proprio gli accordi per i quali i salari sono andati giù.
Il cimento del percorso costituente è rimettere insieme non tanto i pezzi della sinistra ma un suo punto di vista. C’era Sel, ma non è bastata, il fallimento della coalizione Italia Bene comune lo dimostra. C’erano i movimenti e adesso non ci sono più, o almeno ci sono poco. Il rischio di chiudersi in una ridotta: per alcuni è considerato un pretesto per la conservazione dell’esistente, per altri è forte. In un’intervista video Laura Boldrini lo dice: «Il cambiamento non si fa in un angolo, il cambiamento non si fa ballando da soli».
Lo sa bene Stefano Fassina, qui presente, che cerca di mettere insieme tutta la sinistra romana per le amministrative. Dal versante opposto del residuo centrosinistra, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia oggi ci sarà, ma non ha ancora deciso se parlare: a occhio questa la platea non voterebbe Sala, il candidato renziano che ha vinto le primarie. Sergio Cofferati lo dice: «Sala è la negazione della stagione dei sindaci arancioni». L’ex segretario Cgil però non vuole rubare la scena: «Oggi c’è la necessità e l’impegno a far emergere le forze dei giovani». Farà il padre nobile, magari un padre ancora molto attivo. Così anche Nichi Vendola, il cui intervento registrato è atteso per domenica.
Per dissenso invece non ci sono anche altri protagonisti: Civati, per esempio. Rifondazione e l’Altra Europa sono ospiti ma per ora stanno fuori da Si. «Spero che arrivino, nessuno è proprietario del processo costituente», dice l’ex dem Alfredo D’Attorre. Ma è il problema dei problemi. E non è questione (solo) di qualche parlamentare o qualche sigla, riguarda il popolo di una sinistra oggi senza popolo. «Il punto è che questo processo non ci chiuda in sé, che sappia dialogare con quello che c’è fuori. Che con i movimenti non costruisca un rapporto di cooptazione, che non abbia la pretesa di rappresentare tutto», è l’invito del professore Sandro Mezzadra.


Nasce Commo, una piattaforma per innovare le forme della politica
il manifesto 20.2.16
 Cos’è
“Commo” sarà un sito web aperto, uno spazio digitale libero, una piazza virtuale per proposte, idee e dibattito, una piattaforma digitale a disposizione di tutte e tutti per innovare le forme della politica.
Uno strumento a disposizione di attiviste ed attivisti, reti organizzate, esperienze civiche, movimenti sociali, persone, cittadini con l’obiettivo di mettere la rete al servizio di un progetto di cambiamento.
Un ambiente inclusivo e non proprietario, come la società che vorremmo.
Com’è
“Commo” è una piattaforma digitale open-source, user-generated, riproducibile.
Un social network nel vero senso della parola, uno spazio sociale nel quale fare rete: un social politico.
Un sito navigabile da chiunque, dove chiunque potrà aprire una pagina di post testuali e/o multimediali, commentabili da chiunque: e dove chiunque potrà lanciare eventi, campagne o sondaggi su proposte e scelte politiche locali e nazionali, con meccanismi certificati.
Che c’entra con te
“Commo” lancia una call a chi, da ambiti e percorsi diversi, voglia collaborare al suo sviluppo, pensarla e ripensarla insieme, raccontare pezzi di mondo che la riempiano.
“Commo” ha bisogno di sperimentatori per sviluppare insieme funzioni e strumenti.
“Commo” cerca i primi attivatori della sua versione beta tra tutte e tutti coloro che abbiano desiderio e curiosità di uno strumento per innovare la partecipazione politica.
Perciò “Commo” invita a partecipare, a testare insieme la piattaforma per capirne potenzialità o eventuali bug da correggere.
Un primo appuntamento di confronto per discutere del suo sviluppo e del suo lancio, si terrà a Roma, all’interno di “Cosmopolitica, si parte per cambiare l’Italia”, la mattina di sabato 20 febbraio, dalle ore 10 alle 13.

Alla ricerca della Sinistra aspettando mezzo Pd
Sulle ceneri di Sel nasce il nuovo partito. Bersani e Cuperlo in stand by di Riccardo Barenghi La Stampa 20.2.16
Alla ricerca della sinistra perduta, si potrebbe dire con tante scuse a Marcel Proust per l’impropria parafrasi. Oppure della sinistra che non c’è, o magari che c’è ma non si vede. Comunque sia, questa è la scommessa che ha lanciato Sinistra italiana ieri pomeriggio dal Palazzo dei congressi di Roma. L’obiettivo è un nuovo partito, ovviamente di sinistra, che segni la fine di Sel sperando e lavorando affinché tanti italiani in cerca di una casa politica diversa, e per molti aspetti antagonista a quella di Renzi, la trovino accogliente.
Erano più di mille in platea, molti volti della sinistra storica ma anche nuove facce. Comunque tanti. Alfredo D’Attore, uno dei transfughi dal Pd, non si aspettava tanta partecipazione, infatti aveva scommesso che sarebbero stati meno con Nicola Fratoianni: «Purtroppo, anzi per fortuna, ho perso». Il vincitore, che poi è l’attuale coordinatore di Sel, amico e compagno di viaggio da una vita di Nichi Vendola, non nasconde la sua soddisfazione: «Qui sta nascendo qualcosa di nuovo, un progetto politico alternativo al renzismo. Vogliamo conquistare tanti cittadini, tanti elettori che oggi sono delusi o incazzati con l’attuale quadro politico, il sistema economico, la finanza che cancella diritti e futuro. Lo spazio c’è, eccome. Proviamo a occuparlo».
Ma il vero creatore di tutto questo è proprio Vendola, che però non c’è né verrà. Domenica parlerà attraverso un video di nove minuti: «Ho detto a Nichi che ha fatto un record, non aveva mai parlato così poco in vita sua», gioca Fratoianni. E’ in Canada, il presidente di Sel, con il suo compagno Ed. I pettegoli dicono, e qualche giornale l’ha anche scritto, che starebbe lì in attesa di un figlio fatto con la maternità surrogata. Diciamo solo che sono fatti suoi.
Nel frattempo il suo progetto va avanti e mette insieme persone che fino all’altro ieri stavano in altri posti, Per esempio Sergio Cofferati, che è uno dei promotori dell’iniziativa: «Oggi c’è uno spazio enorme perché il Pd non è più di sinistra. Uno spazio che non deve essere assolutamente lasciato vuoto. Altrimenti tanta gente si rifugerà nell’antipolitica o nella rinuncia a partecipare, a votare. Entrambe derive negative e anche pericolose». Ma lei, Cofferati, pensa che qualcuno dei suoi ex compagni della sinistra dem vi seguirà, lascerà la casa madre per unirsi a voi? «Vedo con tristezza l’eclissi della sinistra del Pd, che non riesce a trovare un ruolo e neanche a diventare un polo dialettico. Comunque decideranno loro cosa fare».
E allora sentiamo loro, in particolare Gianni Cuperlo e Pier Luigi Bersani. Il primo non nega affatto la sua sofferenza a stare nel partito dove sta, tuttavia ancora non ha deciso se restare o uscire: «Se però l’alleanza con gli Alfano, i Verdini, addirittura i Cuffaro diventasse organica, se cioè questi personaggi entrassero nella galassia del Pd, allora penso che non mi sarebbe più possibile restare lì dentro. Perché verrebbe meno la nostra storia». L’ex leader dei democratici è meno netto di Cuperlo, spera ancora che nel Pd ci siano le forze e le idee per ribaltare una linea politica (e magari la stessa leadership) che non gli piace, pensa che se non si ricomincia dal centrosinistra, insomma dall’idea nata con l’Ulivo, la sinistra non va da nessuna parte: «Ma se mi ritrovo in casa mia gli ex berlusconiani, allora toccherà prendere una decisione radicale perché il mio Pd cambierebbe natura».
Si avvicinano le elezioni amministrative, in molte città i candidati di Sel correranno per conto loro, senza accordi con quelli del Pd. Giorgio Airaudo, per esempio, sta facendo la sua campagna elettorale a Torino, e gli ultimi sondaggi lo accreditano dell’11 per cento: «Il nostro obiettivo è unire tutto ciò che sta a sinistra del Pd, nella società e nella politica». A Roma Stefano Fassina è in corsa da tempo mentre a Milano non c’è ancora un candidato della Sinistra, potrebbe essere Pippo Civati ma ancora non si sa. «In ogni caso - spiega Cofferati - noi non possiamo sostenere Giuseppe Sala, che è totalmente alternativo alla buona esperienza di Giuliano Pisapia». Passa Luca Casarini, anche lui impegnatissimo nella costruzione di questo nuovo partito. «Ma chi l’avrebbe mai detto - scherza l’ex leader della Cgil - che io e Casarini ci saremmo ritrovati insieme...». Miracolo di Renzi.
Che potrebbe farne un altro, con il referendum sulla riforma costituzionale. «Quello - dice D’Attorre - sarà il vero spartiacque: da una parte Renzi, Verdini e, Alfano, dall’altra noi e la Sinistra. Voglio vedere cosa faranno i miei ex compagni del Pd».
Il nuovo Partito dovrebbe nascere a dicembre. Per ora un leader non c’è. E non c’è neanche il nome: Sorpresa di Fratoianni: «Potrebbe pure non esserci la parola sinistra, tanto lo sanno tutti che siamo la sinistra». 

Piano Varoufakis, non buttare il bambino con l’acqua sporca

Ue. L'economista greco considera il parlamento europeo un orpello inutile nella sua forma attuale. Ma sbaglia. Perché l’apparente marginalità del Parlamento non è frutto di mancanza di potere, ma di volontà politica

di Monica Frassoni  il manifesto 20.2.16
Marco Bascetta e Sandro Mezzadra centrano bene a mio avviso forze e debolezze di Democracy in Europe Movement 2025, l’iniziativa lanciata da Yanis Varoufakis a Berlino il 9 febbraio (http://diem25.org); forze e debolezze che derivano (ahimè) anche dalle regole del sistema mediatico e comunicativo del quale tutti siamo un po’ vittime e un po’ responsabili, che richiedono la star e la location cool, il bagno di folla e il tocco glamour.
A parte questo, dell’iniziativa a me è piaciuta soprattutto l’ambizione di lanciare una mobilitazione trasnazionale per riprendersi l’Europa e la volontà di andare oltre le frontiere della sinistra e della politica, favorendo il mescolamento e non la perniciosa distinzione fra società civile (virtuosa) e politica (viziosa). Altra cosa che mi è piaciuta, è stata l’assenza dei rappresentanti della sinistra nazionalista anti-Euro, che qualche mese fa avevano firmato con lui il “PianoB” per l’Europa, Malenchon, LaFontaine e da noi Fassina.
Ciò detto, pur essendo stata gentilmente invitata e pur avendo proposto qualche modifica al testo (per fortuna non si parla più di abolire la Ue…), ho deciso di non andare a Berlino, anche se resto interessata al prosieguo della discussione che spero avrà una eco maggiore anche in Italia.
Non penso infatti che tutte le colpe dell’euro-crisi stiano nella «burocrazia senza faccia» di Bruxelles, che non è una zona «democracy free». Semplicemente, le maggioranze che hanno vinto le elezioni (alle quali tanta sinistra non partecipa), la loro ideologia tendenzialmente nazionalista e pro-rigore e un funzionamento istituzionale che si inceppa facilmente a causa dell’obbligo dell’unanimità, producono il blocco sistematico di qualsiasi politica positiva da anni. Insomma, modestia a parte, se ci fossimo noi, quelle stesse istituzioni farebbero tutt’altro.
Certo, questa spinta al cambiamento non può venire solo dalla politica, ancora per lo più legata a logiche nazionali. E’ indispensabile creare anche una spinta potente di “popolo”, europea e decentrata insieme, per relegare al passato al quale appartengono i nuovi nazionalismi, che oggi vincono pur senza le elezioni: dobbiamo andare a cercare chi costruisce l’Europa dai campi profughi o dalle nuove industrie verdi, più che chiuderci in stanze più o meno chiuse a elaborare proposte per un’Europa perfetta.
In secondo luogo, pur se DIEM25 ambisce a trovare una terza via tra ri-nazionalizzazione e conformismo europeista, non è chiaro chi decide nell’Europa di DIEM25. Esiste uno spazio per una democrazia sovranazionale autonoma? Varoufakis disprezza il Parlamento europeo e lo considera un orpello inutile nella sua forma attuale. Ma sbaglia. Perché l’apparente marginalità del Parlamento non è frutto di mancanza di potere, ma di mancanza di volontà politica. E fare finta che non esista, non nominarne neppure l’esistenza significa privarsi di uno strumento importante.
E’ importante superare questa ambiguità anche per dare gambe a due idee non nuove e ancora non molto precise nel Manifesto di DIEM25 che, se realizzate, potrebbero davvero cambiare le cose; l’Assemblea costituente e le liste trans-nazionali: a potere europeo, vere elezioni europee, con liste e candidati legati alle scelte politiche e non alla nazionalità, nella quale tutti si debba andare a cercare voti tenendo conto della cultura e dell’interesse dell’altro, senza poter imprecare contro i “tedeschi” o i “polacchi”, ma semmai contro le folli politiche dei loro governi. Insomma, davanti a noi abbiamo un sacco di lavoro, che potrà funzionare solo se ritroveremo voglia di organizzare la polifonia del fronte anti-austerità ma decisamente senza frontiere. 
Podemos tratta con il Psoe. Ma l’accordo si fa in quattro
Spagna. Al tavolo anche Izquierda unida e Compromís. Ultima settimana utile per prendere una decisione sul governo di Luca Tancredi Barone il manifesto 20.2.16
Tic-tac. Il tempo scorre, e rimane un’unica settimana utile per prendere una decisione sul futuro governo spagnolo. Il 3 marzo è convocata la sessione d’investitura del Congresso dei deputati in cui Pedro Sánchez dovrà iniziare a misurarsi con la dura realtà dei numeri parlamentari. Ma prima il partito socialista si è impegnato — così come Izquierda Unida — a consultare la base per far approvare il testo di un eventuale accordo che dovrebbe garantire l’avvio della nuova legislatura. Per cui, entro la metà della settimana prossima, bisognerà che i protagonisti della saga politica attuale lascino da parte le schermaglie e prendano definitivamente una posizione.
Giovedì sera il giochino politico dei socialisti e di Podemos è stato improvvisamente rotto da un’insperata iniziativa del leader di Izquierda Unida Alberto Garzón. Da una parte, il Psoe stava cercando accordi con la destra di Ciudadanos, e con la sinistra di Izquierda Unida e la costola valenziana alleata a Podemos, Compromís, per poter fare pressione su Podemos, a cui voleva rendere politicamente impossibile dire no a un governo sostenuto dai due partiti di sinistra. Dall’altra Podemos inscenava la richiesta di entrare in un governo di sinistra, pretendendo un incontro a tu per tu con Sánchez per discutere della proposta di 100 pagine che Pablo Iglesias aveva reso pubblica lunedì. Un incontro che il socialista subordinava alla presenza di tutta la squadra di negoziazione, mentre Podemos esigeva comunque l’esclusiva rispetto a Ciudadanos. Con il rischio concreto che Sánchez potesse finire fra le braccia dei popolari, a cui Ciudadanos voleva cercare di strappare un’astensione, guadagnandosi tra l’altro quella centralità politica come mediatore che il partito arancione cerca da sempre.
Ma la mossa di Alberto Garzón, che ha chiesto pubblicamente e con il suo usuale stile pacato, un vertice a quattro fra Psoe, Iu, Compromís e Podemos, ha fatto saltare i piani e le tattiche di rossi e viola. Podemos ha colto la palla al balzo, e ha lasciato a Sánchez il cerino acceso: i socialisti hanno impiegato un giorno per prendere la decisione di accettare l’incontro, che lascia da parte Ciudadanos e, per il momento, il rischio di una deriva a destra. Ma nella lettera di risposta a Garzón resa nota ieri pomeriggio, Sánchez ha chiarito di essere «pronto a negoziare un programma per l’investitura», non di governo. Una sfumatura che potrebbe mandare tutto all’aria, visto che Podemos ha sempre detto di non essere disposto a votare un governo del quale non faccia parte.
Ma almeno ora i quattro, abbandonato l’ingessato rituale degli incontri a due tenuto finora da Pedro Sánchez, sono costretti a parlarsi e nessuno di loro potrà esimersi dal mostrare di aver fatto ogni sforzo per arrivare a un accordo. Il problema però è che l’accordo, anche qualora ci fosse, e anche qualora i 12 catalani digerissero l’inevitabile cancellazione dal programma di governo del referendum di autodeterminazione tanto inviso ai socialisti, potrebbe contare al massimo su 161 voti. Se Ciudadanos e Pp votassero entrambi contro l’investitura socialista, ne avrebbero 163. Dei 26 voti restanti, almeno tre dovrebbero quindi votare a favore di Sánchez e tutti gli altri si dovrebbero astenere. Il che allo stato attuale è impossibile. Ma dipende tutto da quello che deciderà la riunione dell’esecutivo di Ciudadanos questo fine settimana. Con l’incontro a quattro salta la strategia arancione di accordo con i socialisti con il tentativo di convincere i popolari (Albert Rivera incontrerà Mariano Rajoy martedì) e a questo punto Ciudadanos potrebbe decidere di far astenere i suoi 40 deputati.
Rivera è abile, e sa che agli arancioni non convengono le urne né elettoralmente né tantomeno politicamente. Se il cerino per far esplodere la bomba delle elezioni rimane in mano a Ciudadanos, il rischio di essere percepiti dai loro elettori moderati come guastafeste è troppo elevato. D’altra parte, la situazione politica è ghiotta per chiedere ai socialisti qualsiasi cosa. Suo malgrado, Rivera sa che dai popolari per ora non arriverà nessun mossa, e per sopravvivere politicamente potrebbe essere costretto a un qualche tipo di accordo con Sánchez.
Tutto è ancora in forse, ma la nebbia comincia a diradarsi. 

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