sabato 5 marzo 2016
I veri Rosso-Bruni: la sinistra manifestina che volle la guerra contro Gheddafi è già pronta a interporre il proprio corpo per i propri diritti umani
I Signori del caos Il fronte libico. L’establishment occidentale ha fallito
di Marco Revelli il manifesto 5.3.16
A
passi felpati e a occhi bendati l’Italia si avvia alla guerra. Per
certi versi, a contare i caduti sul terreno, c’è già dentro.
E la
fortunata soluzione per i due altri lavoratori che hanno avuto il
coraggio di liberarsi e sono vivi, comunque fa capire che a Sabratha di
un «assaggio di guerra» si è trattato, vale a dire del caos e della
ambiguità nel quale rischieremmo di precipitare se solo l’Italia
intervenisse in armi in Libia. Ma purtroppo, come in altri momenti
oscuri della storia, ci si avvia a una nuova avventura coloniale che ha
tutte le caratteristiche per annunciarsi disastrosa, e lo si fa nelle
condizioni peggiori.
Con poche idee (forse nessuna). In un quadro
di collaborazione sgangherato (mentre a Roma si chiede la «guida delle
operazioni», americani inglesi e francesi già operano per conto loro).
Con i peggiori alleati che ci si possa immaginare: Egitto, Turchia,
Arabia Saudita, Qatar, i foraggiatori di quell’Isis che si dice di
andare a combattere. E come riferimento l’orrendo generale Haftar in
quella Cirenaica in cui, nella prima metà del secolo scorso, noi
italiani – con generali che si chiamavano Badoglio e Graziani – abbiamo
perpetrato una vera e propria pulizia etnica, deportandone la
popolazione e facendo oltre centomila morti in operazioni di repressione
e quarantamila nei lager messi su lungo quella costa da cui oggi
partono i barconi.
Così a sud. Mentre a nord, sulle spiagge di
Calais, il socialista Hollande attacca a colpi di ruspa la città dolente
dei profughi di altre guerre, in combutta col conservatore Cameron il
quale annuncia che, di quella moltitudine di fuggiaschi, non ne
accetterà più di 5000 all’anno ma in compenso donerà 20 milioni di euro
al governo francese, per compensarne la complicità.
E a est nuovi
fascismi crescono, a murare la Grecia di Alexis Tsipras, unico paese
capace di una cosmopolitica umanitaria, già prosciugato dalle vessazioni
economiche di un’Europa a sua volta murata nel proprio egoismo e ora
condannato a divenire un enorme campo profughi a cielo aperto.
L’immagine
che ne emerge è quella di una classe dirigente disastrosa.
Spaventosamente al di sotto delle sfide che è chiamata ad affrontare.
Uomini, in prevalenza, ma anche donne – poche, ma potenti – dai volti
ingessati, di circostanza. (Si pensi alle foto di gruppo dei summit
europei), che si riempiono la bocca promettendo Ordine, Sicurezza,
Responsabilità, Rispetto delle Regole, e sono in realtà i Signori del
Caos. Incapaci di immaginare le condizioni elementari della convivenza
civile e di un sistema di relazioni tra persone, gruppi sociali,
popolazioni razionalmente e umanamente sostenibile.
Non è solo
Matteo Renzi – che pure quanto a faciloneria e demagogia non scherza –
con il suo giglio magico, incerto tra la grande catastrofe
dell’intervento armato aperto e la piccola catastrofe dell’azione
coperta, anche agli occhi del Parlamento, ma comunque incapace di
pensare un’alternativa alla guerra.
È tutto l’establishment
politico e finanziario occidentale che ha fatto fallimento. E che
continua a riproporsi, fallendo. Nel silenzio, e nella penombra spessa
che ha avvolto il mondo della cultura, incapace di pensare
un’alternativa di sistema nell’età dei tramonti.
È quanto Luciano
Gallino, nel suo ultimo libro-testamento, ha descritto parlando della
sconfitta del «pensiero critico» e del «trionfo della stupidità» su
scala globale (gara nella quale l’Oscar spetterebbe probabilmente di
diritto ai vecchi partiti socialisti e socialdemocratici europei, che
come ha scritto Piero Bevilacqua «si ritirano dai valori della propria
storia»).
Pesa dunque, in uno dei momenti più difficili e
pericolosi del passaggio di secolo, il vuoto lasciato aperto dalle
vecchie sinistre, tutte, quale più quale meno, in dissoluzione, mentre
le nuove crescono a macchia di leopardo, impetuose in alcuni Paesi – non
per nulla bersaglio di oligarchie politiche e finanziarie europee e
globali -, fragili e stentate in altri (il nostro in primis).
Su
questo scenario, e questi compiti, dovrebbe concentrarsi l’impegno delle
nostre frastagliate e disperse forze, fuori da tatticismi, competizioni
intraspecifiche, piccole rivalità, grandi vuoti mentali.
Prima che siano la guerra e i disumani populismi a dettare le regole del gioco. 5.3.16
Da Pantelleria i voli top secret degli Stati uniti
di Antonio Mazzeo il manifesto 5.3.16
Intelligence.
L’uso dei due scali siciliani per le attività delle forze armate Usa in
Nord Africa era stato denunciato un anno fa circa da alcuni blogger
tunisini. Allora però si trattava di missioni che interessavano
esclusivamente la Tunisia nelle aree di Monte Chaambi, Djebal Salloum e
Foussena, al confine con l’Algeria (dove erano in corso violenti
combattimenti tra le forze armate e i gruppi ribelli) e,
successivamente, Sousse (la località turistica dove si è consumata
l’efferata strage dei turisti in spiaggia), Hammamet e Bargou
(governatorato di Siliana). Ora che Washington e la Nato minacciano di
sferrare un attacco aeronavale in Libia, le operazioni d’intelligence
sono state estese anche a buona parte del territorio settentrionale
libico
Dalla Sicilia non solo droni per le operazioni
di guerra in Libia. Us Africom, il comando statunitense per gli
interventi nel continente africano, sta utilizzando un aereo spia che
decolla quotidianamente dall’isola di Pantelleria o dall’aeroporto
«civile» di Catania Fontanarossa per monitorare una vasta area tra la
Libia e la Tunisia. Il velivolo è di proprietà dell’Aircraft Logistics
Group Llc, società contractor del Dipartimento della difesa con sede a
Oklahoma City, il cui vicepresidente è l’ex generale Peter J. Hennessey,
già responsabile delle attività logistiche dell’Us Air Force durante
l’operazione Enduring Freedom in Afghanistan.
I tracciati radar
più recenti documentano che l’aereo dotato di sofisticate
apparecchiature d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento ha
eseguito due missioni lo scorso 1 marzo. Decollato alle ore 5.34 da
Fontanarossa, il Super King si è diretto sino a Misurata; dopo aver
sorvolato per circa un’ora le coste ad ovest della città libica, l’aereo
si è diretto a Pantelleria da dove è ripartito ancora verso la Libia
alle 16.35 per atterrare infine in serata a Fontanarossa. Il giorno
precedente, l’aereo-spia aveva percorso una rotta molto più contorta nel
Mediterraneo volando ancora da Pantelleria sino a Misurata. Differenti
le destinazioni invece il 26, 27 e 28 febbraio, quando da Catania e
Pantelleria il Super King di Us Africom aveva raggiunto la Tunisia per
sorvolare Sousse, Sfax, Monastir e le città più interne di al-Qaraiwan e
Ouled Chamekh.
L’uso dei due scali siciliani per le attività
delle forze armate Usa in Nord Africa era stato denunciato un anno fa
circa da alcuni blogger tunisini. Allora però si trattava di missioni
che interessavano esclusivamente la Tunisia nelle aree di Monte Chaambi,
Djebal Salloum e Foussena, al confine con l’Algeria (dove erano in
corso violenti combattimenti tra le forze armate e i gruppi ribelli) e,
successivamente, Sousse (la località turistica dove si è consumata
l’efferata strage dei turisti in spiaggia), Hammamet e Bargou
(governatorato di Siliana). Ora che Washington e la Nato minacciano di
sferrare un attacco aeronavale in Libia, le operazioni d’intelligence
sono state estese anche a buona parte del territorio settentrionale
libico.
Rispondendo nel giugno 2015 ad alcune interrogazioni del
M5S, il ministero della difesa aveva ammesso di aver autorizzato Us
Africom a «rischierare sino al 31 maggio 2015 sulla base aerea di
Pantelleria un assetto civile non armato e gestito da una compagnia
privata, al fine di consentire l’esecuzione di missioni di
riconoscimento e sorveglianza nel Nordafrica (a fronte delle quali non
si è al corrente di specifici accordi fra la Tunisia e gli Stati
uniti)». Il ministero aggiungeva che in base di un «apposito accordo
tecnico di contingenza», il distaccamento dell’Aeronautica italiana
forniva ai contractor Usa un «limitato supporto tecnico-logistico» e che
l’Ambasciata Usa aveva comunque avanzato una richiesta di proroga sino
alla fine del 2015 «attualmente in fase di valutazione da parte dello
Stato maggiore».
La proroga è stata accordata senza che il
Parlamento venisse poi informato. Pantelleria è stata utilizzata in
questi ultimi mesi anche per gli scali tecnici di velivoli in dotazione
alle forze speciali Usa impegnate in missioni top secret in Libia. Lo
scorso 14 dicembre sarebbe atterrato nell’isola un aereo C-146A
«Wolfhound» proveniente dalla base aerea di al-Watiyah a sud ovest di
Tripoli. Che Pantelleria sia destinata a fare da vera e propria
«portaerei naturale» per i prossimi raid multinazionali in Libia è
provato dal vertice tenutosi il 5 febbraio presso il locale
distaccamento dell’Aeronautica tra il responsabile del 3° Reparto dello
Stato Maggiore, gen. Gianni Candotti e il gen. David M. Rodriguez,
comandante in capo di Us Africom. «La visita è proseguita con un tour
presso le strutture di Pantelleria, tra cui lo storico ed imponente
hangar, scavato all’interno di una piccola montagna», riporta una nota
emessa dal Comando aereo.
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