lunedì 16 maggio 2016

Capitalismo come unica eguaglianza possibile: una sacerdotessa del culto monoteistico neoliberale

Bourgeois EqualityDeirdre N. McCloskey: Bourgeois Equality: How Ideas, Not Capital or Institutions, Enriched the World, Chicago, University of Chicago Press, 2016, pagg. 768, $ 45

Risvolto
There’s little doubt that most humans today are better off than their forebears. Stunningly so, the economist and historian Deirdre McCloskey argues in the concluding volume of her trilogy celebrating the oft-derided virtues of the bourgeoisie. The poorest of humanity, McCloskey shows, will soon be joining the comparative riches of Japan and Sweden and Botswana.
Why? Most economists—from Adam Smith and Karl Marx to Thomas Piketty—say the Great Enrichment since 1800 came from accumulated capital. McCloskey disagrees, fiercely. “Our riches,” she argues, “were made not by piling brick on brick, bank balance on bank balance, but by piling idea on idea.” Capital was necessary, but so was the presence of oxygen. It was ideas, not matter, that drove “trade-tested betterment.”  Nor were institutions the drivers. The World Bank orthodoxy of “add institutions and stir” doesn’t work, and didn’t. McCloskey builds a powerful case for the initiating role of ideas—ideas for electric motors and free elections, of course, but more deeply the bizarre and liberal ideas of equal liberty and dignity for ordinary folk. Liberalism arose from theological and political revolutions in northwest Europe, yielding a unique respect for betterment and its practitioners, and upending ancient hierarchies. Commoners were encouraged to have a go, and the bourgeoisie took up the Bourgeois Deal, and we were all enriched.
Few economists or historians write like McCloskey—her ability to invest the facts of economic history with the urgency of a novel, or of a leading case at law, is unmatched. She summarizes modern economics and modern economic history with verve and lucidity, yet sees through to the really big scientific conclusion. Not matter, but ideas. Big books don’t come any more ambitious, or captivating, than Bourgeois Equality.

Uguali grazie alla borghesia

È l’equità il tema dell’ultimo lavoro storico-economico dell’intellettuale americana. Con una ricetta per tornare a crescere: meno politica, più libertà e dignità

Alberto Mingardi Domenicale 15 5 2016

«Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza». A mettere a testa in giù Karl Marx è dedicata la trilogia di Deirdre McCloskey, che con, dopo Bourgeois Virtues (2006) e Bourgeois Dignity (2010) culmina ora con Bourgeois Equality: How Ideas, Not Capital or Institutions, Enriched the World. È un tomo di ottocento pagine ma, come i precedenti, si legge d’un fiato, tarantolati in citazioni e rimandi che vanno da Adam Smith a Henry Fielding, da Jane Austen ad Alexander Gerschenkron. L’impressione del lettore è di avere a che fare con una delle grandi menti del nostro tempo, capace come nessuno di risolvere la sua bulimia letteraria in un grande quadro di sintesi. 
Per McCloskey, ciò che ha reso grande l’Occidente negli ultimi due secoli e mezzo andrebbe chiamato «trade-tested progress», progresso verificato alla prova dello scambio. Progresso perché le condizioni di vita di tutti, e in particolare dei più poveri, sono incredibilmente migliorate: nel 1800, scriveva in Bourgeois Dignity, «in media, una persona aveva consumi pari a qualcosa come 3 dollari al giorno [in valori attuali], e si aspettava che i propri figli e nipoti avrebbero continuato a trovarsi al medesimo livello». Oggi, «se vivete in un Paese pienamente borghese, come il Giappone o la Francia, probabilmente spendete un centinaio di dollari al giorno. Cento contro tre: questa è l’entità della moderna crescita economica».
È proprio la grandezza del cambiamento che chiama in causa, secondo McCloskey, spiegazioni diverse da quelle più comunemente accettate. Il “mistero” per il quale la Rivoluzione industriale ha avuto luogo in Inghilterra e non altrove affascina gli storici. Ma per l’economista di Chicago le risposte date sin qui sono tutte manchevoli. Non è stato l’imperialismo a “fare” il capitalismo: perché non è derubando i poveri che si diventa ricchi, altrimenti ci ricorderemmo del miracolo economico dell’Egitto dei faraoni. L’accresciuta conoscenza scientifica ha giocato un ruolo importante, messo a fuoco nei lavori di Joel Mokyr: ma non basta a spiegare la crescita economica moderna, perché invenzioni e scoperte si rincorrono in tutta la storia dell’umanità mentre la crescita economica moderna è, per l’appunto, moderna. Le istituzioni sono senz’altro un fattore importante: l’Inghilterra era un Paese nel quale i diritti di proprietà erano meglio tutelati e il commercio meno compresso che nel resto d’Europa. Ma possiamo considerarle un “dato”? Per McCloskey, «la stessa frase “regole del gioco” è un ossimoro. (...) La gente gioca con quel che ha, in campo linguistico, religioso e tecnologico. Le sole istituzioni, spesso intrinsecamente conservatrici e immancabilmente prive di “gioco”, non dirigono lo spettacolo». Bisogna chiedersi per quale ragione un certo Paese ha, in un determinato momento, norme di un tipo o d’un altro.
La risposta sta in una parola che talvolta appare di una vaghezza disperante: nella “cultura”, di cui fa parte l’idea prevalente circa le “virtù” riconosciute come tali. È per questo che McCloskey pesca a piene mani dal giacimento della letteratura: i romanzi, la cultura popolare, testimoniano cosa la gente pensa di se stessa e dei ruoli sociali che si trova a giocare. Le sue ricerche più note, sulle enclosures o sul declino industriale che nell’Inghilterra dell’Ottocento non c’è mai stato sono nel solco della “cliometria”, la storia fatta coi numeri. A partire dagli anni Ottanta ha riflettuto sull’ermeneutica della scienza economica, sulle retoriche degli economisti. I due percorsi ora si fondono, l’uno sorregge l’altro: i numeri del progresso si spiegano guardando a ciò che le persone pensano e dicono.
Anche per Deirdre McCloskey, come per Marx, la crescita economica moderna incomincia quando la borghesia fa il suo ingresso sulla scena. Solo che per “borghesia” intende un impasto di valori, di atteggiamenti diffusi, di intuizioni morali.
McCloskey non si limita a difendere il capitalismo o l’economia di mercato che dir si voglia: sostiene che essa è il prodotto di un intrigo di idee che si vanno diffondendo attorno al diciottesimo secolo, e che non restano eteree come sempre sono state le idee sul buon ordine politico, ma gemmano atteggiamenti sociali diffusi e smontano e rimontano i pre-giudizi sul posto di ciascuno nel mondo. Queste idee non riflettono i nuovi modi della produzione: ne sono l’indispensabile premessa.
«Nel XVII secolo era normale che il padrone potesse picchiare il proprio servo. Oggi non è così. Questo genere di cambiamenti non è sempre causato dall’interesse o da considerazioni di efficienza, o dalla logica del conflitto di classe». È evidente che la questione ha a che fare con il modo in cui il liberalismo è entrato nel discorso pubblico, ma dire “liberalismo” è dire tutto e dire niente.
Per McCloskey è cruciale circoscrivere «il primato della politica», come ha fatto un autore quale David Hume. Le idee che contano sono quelle che contribuiscono a ridurre il prestigio sociale dei guerrieri e degli uomini di Stato: e, parallelamente, quelle che per la prima volta riconoscono dignità a mestieri fino allora disprezzati, considerati periferici nell’esperienza umana.
«Ciò che ha fatto sì che i lumi non cessassero di splendere e che l’Europa in particolare diventasse consapevole della dolcezza del commercio sono stati cambiamenti, unici nel loro genere, nel linguaggio, vale a dire, un nuovo modo di parlare del profitto, degli affari e delle invenzioni». Al cambiamento delle parole che usiamo per descrivere i produttori, corrisponde la nascita di una figura sociale tutta nuova: il consumatore. Con la rivoluzione industriale la produzione diventa “di massa”. I desideri e le necessità delle persone, incluse le persone che hanno pochi soldi, si scoprono il motore di quell’innovazione che è magna pars della crescita economica moderna.
L’eguaglianza di Bourgeois Equality è l’eguaglianza di libertà e dignità, precondizione del riconoscere a tutti il diritto a provare a farsi la propria vita. È in contrasto con l’eguaglianza dei punti d’arrivo, perché quest’ultima ha bisogno del primato della politica, non della sua compressione.
Alle smanie egualitarie, McCloskey risponde che il trade-tested progress è andato a beneficio soprattutto dei più poveri. Oggi gli americani più poveri vivono meglio «della classe media negli anni Settanta (...) la spesa che ogni nucleo familiare destina a molti dei beni “fondamentali” della vita moderna – alimentazione, automobili, abiti e scarpe, suppellettili e apparecchi domestici, casa e servizi – sono passate dal 53 per cento del reddito disponibile nel 1950 al 44 per cento nel 1970 al 32 per cento di oggi». La nostra economia di mercato non è certo perfetta ma è “pretty good”, e potrebbe esserlo tanto di più quanto più la liberassimo dal “primato della politica”. La borghesia non ha forgiato le armi che la uccideranno: ma quelle che liberano il mondo.
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