martedì 24 maggio 2016

Il riflesso pavloviano. Comparse in un film altrui, a Roma come in Austria


Il PD e SEL, la Sinistra Imperiale e quella Impannellata, sono assai più a destra di Casa Pound. Se a Roma come in ogni altra città possono manifestare il PD e SEL, non si capisce perché non possa manifestare Casa Pound.
Quando la sinistra radicale cercherà di impedire le manifestazioni del PD e butterà quelli di SEL fuori dai cortei, invece di allearcisi alle elezioni e governare assieme appena possibile, allora ritroverà la legittimità per contestare Casa Pound. Prima, no.
E' ora di ridefinire la geografia politica, se non vogliamo che le categorie di destra e sinistra divengano davvero obsolete come vorrebbero i liberali e i populisti.
E allora bisogna dire una volta per tutte che è successa proprio questa cosa qua: chi sostiene le guerre umanitarie, chi incarna il sovversivismo delle classi dirigenti ed è il primo fautore del dominio neoliberale, ha scavalcato nettamente all'estrema destra persino coloro che si richiamano all'esperienza fascista.
Ovviamente, poiché la teoria del male minore non funziona, non è questo un buon motivo per fare strada assieme, secondo le teorie del Mito Transpolitico: con Casa Pound, che non nasconde la sua collocazione storica e le sue odiose posizioni - in primo luogo la sua negazione del concetto universale di uomo - acerrimi nemici siamo e acerrimi nemici rimarremo.
Ma a maggior ragione, ancora superiore deve essere in questa fase la distanza rispetto al PD e a SEL. Altrimenti significa che in nome di un finto antifascismo che è diventato in realtà antitotalitarismo, continuiamo a fare le comparse folcloristiche in un film altrui e a tener bordone. E a svuotare per primi e dall'interno l'idea stessa di sinistra.
Se un solco invalicabile ci dividerà per sempre da Casa Pound, sino a renderci nuovamente nemici assoluti se un giorno ce ne saranno le condizioni, un solco ancora più profondo ci divida da chi è ancora più a destra e assai più pericoloso.
Purtroppo, invece, la realtà è un'altra come si può vedere dalla reazione entusiastica della sinistra al ballottaggio austriaco. Già il fatto che il vincitore sia stato socialdemocratico e poi sia entrato nei Verdi - il partito della Guerra Fredda Culturale, il partito che in Germania faceva riferimento a Joschka Fischer - è di per sé garanzia di fedeltà atlantica bombarola.

Per quel che conta, Wikipedia poi ci informa che: "... Nel 1919 la famiglia Van der Bellen è fuggita dai rivoluzionari bolscevichi e si stabilì nella neoindipendente Repubblica di Estonia. Quando tuttavia l'Estonia fu invasa dall'Unione Sovietica nel 1940, i genitori di Van der Bellen fuggirono in Germania...".
Dobbiamo imparare a vincere il riflesso pavloviano che ci porta a schierarci sistematicamente con la "sinistra" liberale nell'alternativa ai populisti destrorsi.

Insomma, siamo alle solite: tra due candidati di destra, Hofer era forse il meno peggio e Van der Bellen il peggio perché più estremista atlantico; tuttavia, il punto è che scelte come questa non dovranno più riguardarci come se riguardassero la nostra causa. Un po' come per Billary e l'uomo con il parrucchino giallo [SGA].

P.S.
Una precisazione per il figlio della mamma del cretino, che è sempre incinta.
Se qualcuno pensa che questo post configuri apologia di rozzobrunismo - e vuole essere invece l'esatto contrario - si rilegga cosa scriveva Domenico Losurdo ai tempi in cui la sinistra gridava al lupo al lupo per il pericolosissimo Haider nelle stesse ore in cui smantellava la Jugoslavia e la bombardava. O quando i carnefici dei palestinesi chiedevano l ergastolo per Priebke mezzo secolo dopo la fine dello stato d eccezione.

Libia: parlare chiaro
di Rossana Rossanda, da il manifesto, 9 marzo 2011

Austria da non credere Van der Bellen. Una bella sorpresa dalla vecchia Europa
di Lidia Menapace il manifesto 24.5.16
Sa il cielo se abbiamo bisogno di buone notizie, così tanto che quando arrivano si tende a non crederci. Invece è successo: dopo che l’estrema destra in crescita da tempo aveva stravinto il primo turno delle politiche, sembrava che si dovesse aggiungere l’Austria al novero dei paesi che in Europa virano verso la destra estrema, sia i democratici paesi del Nordeuropa sia i paesi dell’ex blocco sovietico. C’è ben poco di allegro, la situazione spinge ad abbandonare l’Europa a un destino regressivo verso le nazionalità, merce pericolosa che tende a degenerare in nazionalismo, localismo egoistico, razzismo.
I politologi faranno analisi più sofisticate analizzando i flussi elettorali impazziti e le giravolte di massa avvenute in poche settimane, ma noi intanto ci freghiamo le mani, tiriamo un sospiro di sollievo: e lasciateci essere per un momento umani e umane, prima di rimetterci la corazza austera e neutrale degli osservatori “scientifici” che non ci azzeccano mai.
Qualcosa deve essersi guastato negli strumenti conoscitivi dei quali ci serviamo, non ci avvisano per tempo, non ci indicano la direzione, non prevedono né sviluppi né cadute e dopo ricominciano a fare conti calcoli e sondaggi.
Credo che il pasticcio politico nel quale stiamo dipenda in parte notevole dal fatto che quasi non c’è più la cultura politica, ma sondaggi e statistiche molto simili a quelle che servono ai mercati su che cosa vende e che cosa comprare.
La prima conclusione è che la cultura non è una merce e non si lascia per sempre vendere e comprare. E la prima conclusione attiva è che nella vecchia Europa girano semiclandestine a voce bassa, un po’ tristi e un po’ speranzose, un po’ avvilite e un po’ rivendicative cose avanzate dalle culture che poco tempo fa ancora la governavano, la mettevano in riga, segnavano i margini delle strade.
La bella sorpresa austriaca dunque ci dice che periodizzare col termine modernità giova poco e che spinge alla superficialità violenta del mercato.
Non si tratta di riproporre il catechismo marxista e la rigidità del passato, però qualche ripasso contro l’ignoranza che cancella la memoria e azzera le lezioni della storia, se ce la facciamo, seno anche solo la cronaca.
Ad esempi Hollande non è molto credibile come uomo di sinistra limpida e contro il suo governo le lotte riprendono e durano, la situazione in Spagna è in movimento, la Grecia ripercorre testardamente il suo momento di epifania (rivelazione) e ci avverte che privato Pericle lo chiamava idiotes, cioè idiota e che il linguaggio pesa, le parole sono pietre diceva giustamente Primo Levi.
Conclusione (provvisoria): abbiamo perso, ci siamo lasciate derubare di una preziosa stagione prerivoluzionaria nel mitico ’68. Vi pare che possiamo ripetere quella enorme sciocchezza? Sarebbe da vergognarsi. Proviamo allora, almeno proviamo.

«L’Fpoe non è percepita come un partito di estrema destra»
Intervista. «In Austria ha prevalso l’idea di essere stato il primo paese vittima del nazismo» di Angela Mayr il manifesto 24.5.16
Ha vinto Van der Bellen, ma un 49,7% a un partito come la Fpoe rimane un fatto preoccupante. Ne abbiamo parlato con Bernhard Weidinger ricercatore esperto dell’estrema destra al Doew, il Centro di documentazione sulla resistenza austriaca e osservatorio sull’estrema destra in Europa
Noebert Hofer respinge per sé e il suo partito l’appellativo di estrema destra. Sostiene di essere semplicemente di centro destra. Il Doew come connota e colloca la Fpoe?
La consideriamo di estrema destra come organizzazione, non beninteso i suoi elettori. Per tre elementi: il nazionalismo tedesco (riconosce l’Austria solo come stato, non come nazione) un punto che avevano ormai abbandonato ma poi reinserito personalmente da Hofer nel programma di partito del 2011. Secondo, il concetto autoritario dello stato di diritto e della libertà di stampa che è evidenziato dalla loro comprensione per la repressione in Ungheria, Polonia e Russia. Terzo fattore la etnicizzazione sistematica delle questioni sociali e la sistematica tipicizzazione mediante stereotipi di tutto ciò che è straniero.
Nel contesto della destra europea la Fpoe occupa una posizione particolare?
Ci sono differenze che hanno un fondamento storico- La destra francese è centralista legata allo stato nazione, la Fpoe è legata ai gruppi etnici, è più vicina alla Lega nord.
Recentemente è stata rispolverata da Strache la questione del Sud Tirolo.
E’ una loro posizione tradizionale, non hanno mai fatto pace con lo statuto di autonomia. Ma è un tema che in Austria non interessa proprio nessuno, è un segnale che lanciano al loro zoccolo duro.
Che consistenza ha lo zoccolo duro?
Intorno al 5% se parliamo di gente legata all’ambiente delle Burschenschaften, le corporazioni studentesche combattenti e agli ex nazisti, un altro 5% è arrivato sull’onda di Joerg Haider. Il potenziale attuale nel caso di elezioni politiche è dato al 35%. Il fatto è che la gente non li percepisce come destra estrema.
Che relazione c’è tra il successo della Fpoe e l’elaborazione tardiva del passato nazista in Austria?
La maggior parte delle persone non associa la Fpoe al nazismo. Il fatto che in Austria a lungo ha prevalso la tesi del paese prima vittima del nazismo ha fatto sì che non ci fosse un consenso acquisito delle elites politiche sull’esclusione della Fpoe come partner politico e di conseguenza neanche tra la popolazione. In realtà persistono delle ambivalenze, singole esternazioni antisemite o singoli deputati o piccoli funzionari con simpatie filo naziste. Di recente la Fpo volendo entrare nel salotto buono della politica li esclude dalle proprie file.
Ci sono dei legami col gruppo neonazista Die Identitaeren (Gli identitari)?
Non sono neonazisti, sono neofascisti come Casa Pound in Italia. Si, vari esponenti soprattutto giovanili hanno dei legami ed esprimono chiare simpatie. Hofer invece ne ha preso le distanze.
Come interpreta l’esito del voto?
Intanto mostra quanto sia andata avanti la normalizzazione dell’estrema destra, che non è neanche più concepita e percepita come tale. Nello stesso tempo si deve dire che c’è stata una mobilitazione di tutto il resto dello schieramento democratico che è riuscito a evitare che Hofer diventasse presidente. Credo anche che ci sia stato l’effetto Kern, il nuovo cancelliere che ha calmierato lo scontento accumulato spingendo degli elettori a rimanere a casa anziche votare per il candidato Fpoe.
Viaggio dentro CasaPound
di Goffredo Buccini Corriere 21.5.16
I ragazzi del passato che non passa ammoniscono (amabilmente) il cronista fin sul monumentale scalone di simboli pieno: «Non fare antropologia». È una parola... Dalla scelta cromatica del vessillo (campo rosso, cerchio bianco e logo nero) che fa tanto kommandantur penzolando sul triste rettilineo di via Napoleone III, alle gallerie di foto d’epoca (volontarie del Ventennio in piazza Venezia, marcia del 28 ottobre che «non si fermerà», futurismi marinettiani assortiti); dai poster su Ciavardini e la strage di Bologna sino ai materassi da campo Hobbit sparsi all’ultimo piano per i «camerati di fuori Roma» attesi al corteo: tutto, nel mondo parallelo di CasaPound, due passi dalla stazione Termini e forse vari passi oltre l’impolverata legge Scelba, tutto, invita all’abuso antropologico e allo stereotipo.
Tutto, tranne il realismo.
Perché i fascisti del Terzo millennio, suscitati vent’anni fa dal mangiafuoco nero Gianluca Iannone attorno al pub Cutty Sark, si sono mossi velocemente: e forse non è inutile capire in quale direzione. Oggi potrebbero sfilare a migliaia da piazza Vittorio, cuore multietnico di Roma, assieme ai parigini (tre anni fa in questa data si suicidò Dominique Venner, ex Oas, Nouvelle Droite ) e in simultanea con i fascisti di Madrid, Atene e Budapest: il rischio d’un sabato anni Settanta, con la contromanifestazione dei collettivi antagonisti a due passi, è concreto («ma noi manterremo la calma, il nostro corteo è autorizzato»). E già l’idea che giovani nati tra l’ultimo scorcio del Novecento e il primo del Duemila possano darsele di santa ragione brandendo bandiere nere o rosse la dice lunga sul fallimento della pedagogia politica degli ultimi decenni.
Ma ridurre i fascisti di CasaPound alla perturbante istantanea d’una piazza a braccia distese nel saluto romano è forse difficile, ormai: a Bolzano, sorpresa, hanno preso quasi il 7 per cento ed eletto 3 consiglieri comunali e 4 municipali. Declinazione italica della tragica propensione europea alla rinascita di muri contro crisi globali e migrazioni, hanno animato una dozzina d’occupazioni «non conformi» solo a Roma (la loro sede, occupata il 26 dicembre 2003, ospita ora una ventina di famiglie). Planano sulle contraddizioni delle periferie, «incappucciano» i parcometri di Torino, «bonificano» il parcheggio della stazione di Bolzano dagli spacciatori, irrompono nei mercatini dei rom applauditi dai residenti, fanno doposcuola agli studenti abruzzesi. Malmenano denunciando spesso di essere malmenati, via di mezzo tra muscolarismo squadrista e volontarismo Guardian Angels. Possono infiammare menti deboli (Gianluca Casseri, che nel 2011 ammazzò a Firenze due senegalesi e si uccise, bazzicava la sede pistoiese) ma molti ragazzini del loro Blocco Studentesco riempiono i vuoti d’anima con miti e valori presi a prestito ormai dai nonni più che dai padri. Dichiarano ottomila tesserati, 15 librerie, 20 pub, una tv web, un mensile, un trimestrale. E forse esagerano, ma il network ha cambiato anche l’approccio, fino a ieri improntato a un’occhiuta chiusura da centro sociale. Ora Mauro Antonini (candidato presidente del IV municipio a Roma) accoglie sorridendo taccuini e telecamere.
Il primo candidato sindaco di CasaPound, Simone Di Stefano (nativo di Garbatella, aprì la porta della locale sezione missina a una quindicenne Giorgia Meloni), cita la Costituzione a ogni piè sospinto. Smessi bomber e anfibi, gira per studi tv in completo blu e cravatta; azzarda l’ossimoro di un fascismo democratico, sfodera la Carta (nata dalla resistenza antifascista) in chiave sociale: «Anticostituzionale è chi chiude qui la fabbrica e la apre in Cambogia per produrre calzini pagando gli schiavi un euro al giorno, non noi»). Chiama il Duce «Sua Eccellenza» ma con una venatura di ironia (forse). Fatto il colpo a Bolzano e archiviata malamente l’alleanza con Salvini («non ha il coraggio di rompere col carrozzone del centrodestra»), gli allievi di Iannone puntano a Torino, Latina e soprattutto Roma: «Ci aspettiamo un risultato eclatante», dice Di Stefano. Qualche vocina azzarda il 3 per cento, forse il 5, sogni fascistissimi. Obiettivo realistico è piazzare almeno un consigliere comunale, puntando a eleggere, quando sarà, addirittura un deputato. La ricetta è di presa facile: mutuo sociale, soldi prima agli italiani, banche allo Stato, tiè. Al di là dell’antropologia, resta la storia, l’orrore. Di Stefano è preparato: «Il fascismo ha responsabilità verso gli ebrei, nessuno può negare l’Olocausto». Poi però rispolvera il comodo spartiacque delle leggi razziali e dell’alleanza con Hitler: fascismo buono prima, malato dopo. Ma è la vulgata di un Paese privo di valori condivisi e memoria. Come in fondo questa nuova parata di fantasmi con le facce e i cuori da balilla è forse — anche — frutto di segregazione. Che tenere in un angolo buio l’Italia degli sconfitti fosse stata una cattiva idea lo pensava, ormai tanti anni fa, Luciano Lama. 

«Casa Pound non è benvenuta a Roma»
Capitale. Oggi corteo dell’estrema destra, presidio antifascista all’Esquilino. La protesta ha mobilitato l’Anpi, centri sociali, sinistra e associazionidi Roberto Ciccarelli il manifesto 21.5.16
ROMA Un presidio in piazza dell’Esquilino – lato Via Cavour – a partire dalle nove di stamattina. È quanto sono riusciti a strappare gli antifascisti e antirazzisti romani dalla Questura e dalla Prefettura dopo giorni di campagna sui social con l’hashtag #casapoundnotwelcome e un presidio in piazza SS. Apostoli mercoledì scorso. «La manifestazione ce la siamo conquistata – dicono gli attivisti – è lungo il percorso che era stato inizialmente richiesto ed autorizzato a Casapound, l’organizzazione neofascista promotrice di campagne di odio e intolleranza».
Il corteo dell’estrema destra è stato convocato in contemporanea con altre manifestazioni ad Atene, Budapest e Madrid dove sfileranno organizzazioni come Alba Dorata, Alternativ Europa e Hogar Social. Lo slogan è «Difendere l’Italia». Il corteo partirà alle 10 da via Napoleone III, dove ha sede il movimento, in uno dei quartieri multietnici della Capitale. Il 4 maggio scorso era stato chiesto un percorso fino al Colosseo. La Questura non lo ha accordato poiché in campagna elettorale non è sono previsti cortei nella zona archeologica. La manifestazione proseguirà su via dello Statuto fino all’arrivo all’ex polveriera di Colle Oppio. Nel parco con vista sul Colosseo, la questura e il comune guidato dal commissario Francesco Tronca, hanno autorizzato dalle 15 anche il concerto «nazi-rock» «Tana delle Tigri». Giunto all’ottava edizione, il concerto è stato promosso dagli ZetaZeroAlfa, la band del presidente di Casa Pound Gianluca Iannone. Parteciperanno, tra gli altri, gruppi come i «Mai Morti» o una band nazionalista francese «In Memoriam».
Per gli attivisti antifascisti «è a dir poco vergognoso che il Comune autorizzi simili manifestazioni, rendendosi di fatto responsabile della diffusione di messaggi della violenza, del razzismo, dell’omofobia e della transfobia che nulla hanno a che fare con i principi fondanti della Costituzione. Invece di preoccuparsi dell’ordinaria amministrazione si accanisce contro gli spazi sociali, le associazioni di volontariato, il terzo settore con sgomberi, ordinanze, multe, sfratti». Le vertenze sono quelle della campagna «Roma non si Vende» contro gli sgomberi di 860 spazi – associazioni, partiti, centri sociali; «Decide la città» che sta elaborando la «carta dei beni comuni urbani»; la lotta dei movimenti per la casa contro la delibera Tronca che ha stravolto un provvedimento regionale sull’emergenza abitativa nella capitale. Contro questo provvedimento 23 attivisti di Action continuano uno sciopero della fame nell’occupazione abitativa in via Santa Croce in Gerusalemme.
L’Esquilino sarà militarizzato. In città c’è un clima di allarme. Si annunciano imponenti misure di sicurezza. Mille uomini saranno schierati per evitare contatti tra le due manifestazioni. Lo schema è quello, consueto, degli opposti estremismi. L’Anpi, che ha chiesto al questore D’Angelo di vietare la manifestazione dell’estrema destra, non lo accetta: «I problemi di ordine pubblico dovranno essere costituiti unicamente dai contenuti anticostituzionali della manifestazione di Casa Pound – si legge in una nota – e dalla contraddizione emersa tra uno Stato finora impotente di fronte al riemergere di ideologie condannate dalla Storia, ed organizzazioni che si ripresentano nel nostro paese legittimate dalla competizione politica, in collaborazione e sintonia con altri noti movimenti neonazisti europei».
La candidatura di Casa Pound alle amministrative ha pesato. La conferma è arrivata ieri dalla Camera dove il sottosegretario all’Interno Gianpiero Ricci ha risposto a un’interrogazione presentata dal deputato Pd Marco Miccoli. «Casa Pound rappresenta oggi un gruppo politico che, come in passato, partecipa alla competizione elettorale in diversi enti locali – ha detto Ricci – In questo contesto il divieto avrebbe assunto il significato di una non consentita compressione del diritto di espressione del pensiero». Per il governo, il problema non è costituzionale, ma logistico e di ordine pubblico, vista la concomitanza di questi eventi con i funerali di Marco Pannella e la finale di Coppa Italia Milan-Juve. «Credo che nessuno possa permettere a nessuno di sfilare per le vie della città oltraggiando la storia della Roma democratica – ha risposto Miccoli – Autorizzare un corteo perché qualcuno ha candidato sindaco il leader territoriale a noi francamente sembra cosa inadeguata».

«Il sollievo europeo fuori luogo Questi non sono solo episodi»
Il politologo Reynié: «Populisti pronti a governare, da Varsavia a Parigi» intervista di Stefano Montefiori Corriere 24.5.16
PARIGI «La parola che ricorre più di frequente in queste ore è “sollievo”, l’ha usata anche il premier francese Manuel Valls. Mi pare una reazione totalmente inadeguata. I successi dei populisti non sono più episodi. Bisognerebbe scongiurarli elaborando una vera proposta politica, non esultando perché si è salvi per miracolo, grazie a qualche migliaio di voti in più». Dominique Reynié, 55enne politologo di Sciences Po (e candidato alle ultime Regionali per la destra dei Républicains), è autore di «Les nouveaux populismes» (Fayard), saggio di riferimento sui populismi europei.
Quel è il significato del voto austriaco per l’Europa?
«Mi sembra esemplare della situazione occidentale, considerando anche gli Stati Uniti di Trump. Il candidato del FPÖ sfiora il 50%, davanti a un candidato senza partito, ecologista ma indipendente, sostenuto in modo sia pure discreto da tutti gli altri, che tuttavia non supera a sua volta il 50%. È spettacolare, non siamo più all’80-20 di Chirac-Le Pen alle presidenziali francesi del 2002. Dopo i populismi che appaiono sulla scena, e che si rafforzano, siamo arrivati alla terza fase, quella dei populismi pronti a governare. In Ungheria, Polonia, Slovacchia, Austria — alle prossime legislative il FPÖ potrebbe conquistare la cancelleria — e perché no Francia, con Marine Le Pen nel 2017».
Sono saltate le barriere?
«A livello culturale sicuramente. E i partiti tradizionali non fanno che peggiorare le cose. La gioia, il sollievo nel commentare la vittoria in extremis di Alexander Van der Bellen danneggia l’unica cosa che ancora potrebbe aiutarci, ovvero il gioco democratico».
In che modo?
«I milioni di voti per i populisti vengono di fatto considerati illegittimi. Se i candidati hanno il diritto di presentarsi ma non di vincere, allora perché lasciarli partecipare? Questo disprezzo rafforza l’impressione, sbagliata ma sempre più diffusa, che la democrazia sia una farsa».
E l’Austria conferma che i populisti avanzano anche nei Paesi ricchi.
«Nel mio vocabolario distinguo tra due tipi di populismo, basati su patrimonio materiale e immateriale. Il primo dilaga nei Paesi in crisi economica, la gente vota in risposta alla disoccupazione, alla diminuzione del potere d’acquisto, in Grecia per esempio con Alba Dorata. È il populismo delle classi popolari. Ma è in crescita anche il populismo delle classi medie e superiori, legato a fattori culturali, immateriali: lo stile di vita, il rigetto della società multiculturale, la paura dei migranti. Per esempio, le aggressioni sessuali di Colonia in Austria hanno contato molto. Questo secondo tipo di populismo lo troviamo anche in Svizzera e in Norvegia, Paesi senza disoccupazione che neppure fanno parte dell’Unione Europea».
Come rispondono i partiti tradizionali?
«Con due errori gravissimi. Il primo, che risale agli anni Sessanta, è non avere preparato i cittadini alla società multiculturale, dandola per scontata. Così facendo, hanno lasciato il tema nelle mani dei populisti. Il secondo errore, più recente, è quello di essersi messi a imitare questi partiti».
In Francia lo ha fatto anche la sinistra al governo, riprendendo l’idea della revoca della nazionalità, vecchio cavallo di battaglia del FN.
«Una cosa incredibile. Una grande sconfitta ideologica, e una vittoria indubbia per i populisti. Copiarne le ricette significa ammettere la loro superiorità intellettuale, e legittimarli. I cittadini finiscono per preferire l’originale».
In Austria i socialdemocratici e i conservatori sono stati spazzati via al primo turno. Una crisi simile è prevedibile anche nel resto dell’Europa?
«Certamente. Guardiamo alla Grecia, alla Spagna, ma anche alla Germania, dove la SPD secondo i sondaggi è ridotta al 19% e dove la CDU di Merkel dovrà vedersela con l’estrema destra anti-immigrati del partito AFD».
Il prossimo trauma sarà Marine Le Pen presidente della Repubblica francese?
«È una partita aperta, e il clima culturale è già pronto. Guardate quel che è successo con lo stato di emergenza, la riforma della Costituzione: nessuno, a parte l’estrema sinistra, ha difeso le libertà. Un vero gruppo intellettuale liberale avrebbe dovuto insorgere, spiegare che in tempi straordinari come questi non si possono toccare le libertà fondamentali, la Costituzione... Niente. Silenzio assoluto». 

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