lunedì 20 giugno 2016

Fantasia storico-politica: Repubblica arruola la nipote di Krusciov per parlar male di Putin


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La nipote di Krusciov. Nina Krusciova. “Putin come Stalin preferisce il potere al bene della Russia” La nipote dell’ex segretario del Pcus: “Il suo un sistema brutale che non perdona i nemici”
Molti credono che il capo del Cremlino abbia reso grande questo Paese, ma in realtà ne ha limitato la democrazia Se Trump diventasse presidente, costruirebbe la sua torre sulla Piazza Rossa, come voleva fare già nel 1996
intervista di Pietro Del Re Repubblica 19.6.16
VENEZIA. «Mio nonno Nikita Krusciov era uno strenuo difensore del comunismo sovietico, perciò se due anni fa fosse stato lui il capo del Cremlino si sarebbe comportato come Putin, e avrebbe riannesso a Mosca la Crimea che donò all’Ucraina nel 1954». A formulare quest’ipotesi è Nina Krusciova, nipotina del leader sovietico che durante una seduta all’Onu si tolse una scarpa e la sbatté sul tavolo. Russa di sangue, la Krusciova è diventata americana per scelta, perché emigrata vent’anni fa negli Stati Uniti dove insegna Relazioni internazionali alla New School di New York. «Come lo ricordo? Come un buon nonno. Dopo il suo ritiro forzato dalla politica diventò un bravo agricoltore che produceva splendide zucche», aggiunge la professoressa che incontriamo alla Fondazione Cini sull’isola di San Giorgio Maggiore, al convegno organizzato da Reset DOC sullo “Stato e ideologie politiche nella Russia di oggi”.
La crisi attuale ha le sue radici nella decisione di suo nonno di cedere la Crimea all’Ucraina.
Perché lo fece?
«La Crimea è vicina all’Ucraina e mio nonno voleva solo decentralizzare quell’enorme monolite che era l’apparato sovietico. Nulla di più».
L’annessione della Crimea non è stata per Putin una mossa controproducente?
«Per Putin conta soltanto essere temuto e rispettato. Il benessere dei russi passa in secondo piano. Per giustificare questa scelta ricorre alla stessa retorica che usava Stalin durante la Seconda guerra mondiale quando sosteneva che era meglio avere i carri armati che le scarpe».
In Russia la democrazia è sempre più soffocata. Eppure Putin non è mai stato così popolare, con un’opposizione quasi inesistente. Perché?
«Agli occhi di molti russi, Putin ha reso la Russia una grande nazione. Ma il presidente ha anche costruito una sorta di democrazia verticale, con una libertà di stampa e di espressione solo apparenti. La sua popolarità risiede nel fatto che il suo regime non è pura dittatura né pura oppressione. È bravissimo a far credere che quando reprime lo fa affinché i russi siano più rispettati nel mondo».
Semyon Guzman, ex dissidente sovietico e oggi psichiatra di Kiev, dice che sotto il profilo patologico Putin è uno psicopatico grave con manie di grandezza. Concorda?
«Putin è un uomo molto basso, con il complesso di Napoleone e quindi, sì, con manie di grandezza. È anche un grande narcisista e al potere da troppi anni, convinto di essere l’uomo più potente del pianeta».
Europa e Usa sono troppo deboli con la Russia?
«No, non direi. Ma non sono abbastanza furbi. Con lui bisogna giocare d’astuzia, e non sfidarlo con disprezzo. I leader occidentali dimenticano che è un campione di judo e che ancora si comporta come un agente del Kgb, ossia come uno che per natura non rispetta le regole. Il problema nasce quando l’Occidente, che non ha sempre la coscienza pulita, glielo rinfaccia. Per lui infrangere le regole equivale a dimostrare al mondo che la Russia è potente quanto gli Stati Uniti, se non di più».
Nell’est dell’Ucraina ancora si combatte. Come vede il futuro di quel conflitto?
«Tutto dipende dalla strategia che Putin adotterà per restare ancorato al potere il più a lungo possibile. Infatti, il presidente sa bene che non può lasciare la sua poltrona, altrimenti verrà ucciso, perché è quello che ha fatto lui ai suoi nemici. È il sistema brutale e violento che ha lui stesso creato, e che consiste nel non perdonare né gli oppositori né i perdenti».
Dall’inizio della guerra civile in Siria, Putin sostiene Assad, un tiranno co-responsabile della morte di centinaia di migliaia di civili. Perché?
«Perché si considera il leader degli indesiderabili. Un po’ come accadeva con i sovietici che difendevano gli indifendibili. Putin adora rivestire i panni del nemico perfetto. E poi, anche se bombardare la Siria costa caro, lui guarda soltanto alla supremazia della Russia».
Il Washington Post ha appena svelato una rete d’interessi economici tra Putin e Trump.
La stupisce?
«No. E sono certa che se Trump diventasse presidente costruirebbe la sua torre alle spalle di San Basilio sulla Piazza Rossa, come stava facendo nel 1996».
Quali sono le principali contraddizioni culturali della Russia post-comunista?
«È difficile accedere alla modernità per un Paese con 11 fusi orari e con una chiesa ortodossa fondamentalista che ancora predica l’idea bizantina di grandezza e superiorità, anche perché Mosca non è la terza Roma e Putin non è l’erede di Pietro il Grande ».

Il futuro della Russia di Roberto Toscano Repubblica 19.6.16
ALLORA, cosa dobbiamo fare con la Russia? Isolarla per punirla della sua annessione della Crimea e dell’appoggio ai separatisti armati dell’Ucraina orientale, o prendere atto del suo peso economico e del suo ruolo geopolitico, e normalizzare al più presto i nostri rapporti con Mosca?
A San Pietroburgo il nostro presidente del Consiglio ha di fatto contestato che la questione si possa definire in termini alternativi. Non si è discostato dalla comune linea europea e atlantica sulla necessità di mantenere le sanzioni, ma le sue dichiarazioni hanno rivelato il preciso convincimento che la situazione attuale vada quanto prima superata: concentrarsi sul futuro piuttosto che sul passato; no alla Guerra Fredda; i patti devono essere rispettati, ma non solo dai russi. Ancora più chiaro l’auspicio che «Ue e Russia tornino ad essere buoni vicini di casa».
Ma la questione è appunto questa: perché oggi la Russia non è un buon vicino di casa, e in che misura è possibile pensare che lo diventi? Ne hanno discusso ieri a Venezia, ospiti della Fondazione Cini, esperti russi, italiani e internazionali nel corso di una conferenza dal titolo “Stato e discorso politico in Russia”, organizzata da Reset- Dialogues on Civilizations. Negli interventi, pur caratterizzati da una grande varietà di punti di vista, non è mancato un preciso filo conduttore: la constatazione che, contrariamente alle speranze sollevate dalla fine del sistema sovietico, lo Stato russo si presenta oggi come “democrazia illiberale”, ovvero un sistema politico che trova la sua legittimazione in un indubbio consenso elettorale, ma che manca dei requisiti — in primo luogo divisione dei poteri e libertà di opinione — che vengono legittimamente associati al concetto di democrazia. In Russia non si rivendica la democrazia illiberale come fa il primo ministro ungherese Orbán, ma si parla di “democrazia sovrana”, dove “sovrano” sta per un potere dello Stato capace di imporsi in modo autoritario e senza rispetto per il pluralismo.
Sul piano interno la breve stagione liberale dei primi anni ’90 (gli anni di Eltsin) viene identificata dalla maggioranza dei cittadini russi con disordine, ingiustizia, aumento delle disuguaglianze. Su quello internazionale, con la perdita dello status di grande potenza cui — per il rifiuto dell’Occidente di accogliere la Russia come partner — non ha fatto seguito il pieno inserimento nel mondo sviluppato e democratico.
All’epoca qualcuno elaborò, al momento della fine dell’ideologia comunista, una teoria generale sulla fine delle ideologie in generale. In realtà lo Stato russo ha sostituito l’ideologia comunista con il ritorno all’“idea russa” — un richiamo alle tradizioni anche religiose sulla base di un forte richiamo identitario con pesanti connotazioni scioviniste. Si inserisce qui — come è emerso alla conferenza — uno dei nodi più problematici del rapporto della Russia con il mondo esterno. Puntare sulla continuità dello Stato russo, infatti, mette in primo piano rivendicazioni neo-imperiali (come quelle sulla Crimea e sull’est dell’Ucraina), cui si aggiunge una sorta di “dottrina Monroe” riferita allo spazio ex-sovietico. Non si tratta semplicemente di aspirazioni geopolitiche ma di un confronto ideologico con un Occidente descritto, con echi che ricordano il più reazionario pensiero russo, come debole, immorale e corrotto.
Un quadro certo poco incoraggiante, ma è interessante notare come, nonostante queste premesse, le analisi formulate al convegno abbiano tutt’altro che escluso la possibilità di un’uscita dall’attuale stallo. Sarebbe illusorio attendersi un mutamento politico come conseguenza di una sorta d’improbabile rimonta ideologica del liberalismo, oggi del tutto marginale e classificabile più come dissenso che come opposizione. Il cambiamento potrà invece venire dalla concretezza delle esigenze del Paese e di una popolazione che è disposta ad accettare il modello autoritario nella misura in cui paventa insicurezza interna e debolezza internazionale, ma che non potrà ignorare a lungo i prezzi socio-economici da pagare per una politica di affermazione unilaterale della potenza russa accompagnata dal rigetto delle regole internazionali. Non si tratta solo del costo delle sanzioni ma, in positivo, delle prospettive che si aprirebbero se Mosca, prendendo atto dell’impossibilità di eludere le questioni economiche, decidesse di riconoscerne la centralità rispetto a sicurezza e sovranità intese come una sorta di gioco a somma zero invece che come terreno di negoziato e compromesso. Come è stato rilevato al convegno, l’assoluta priorità per la Russia di rompere l’isolamento comincia ad essere oggetto di esplicite prese di posizione, come il rapporto, pubblicato lo scorso maggio, del Centro per le ricerche strategiche. Che il rapporto non vada sottovalutato lo dimostra il fatto che abbia suscitato una replica critica di Putin.
In questo senso parlare, come si è fatto a San Pietroburgo, di prospettive di più intensa collaborazione economica ha un senso anche per quanto riguarda le prospettive di una futura Russia autenticamente democratica. Certo, le nostre aperture dovranno trovare un concreto riscontro nel comportamento di Mosca, ma quello che rivela un’analisi non superficiale dell’attuale realtà russa è che l’impegno per superare l’attuale confronto non va visto solamente nell’ottica di un nostro vantaggio economico ma anche in quella di una Russia ad un tempo più prospera e più democratica. Non è detto che business e democrazia debbano essere necessariamente in contrasto.
L’autore è diplomatico e scrittore già ambasciatore in Iran e in India

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