lunedì 20 giugno 2016

Festorazzeide infinita: Stalin mangiava all'hotel Lux i compagni del figlio di Longo

Roberto Festorazzi: Rivoluzionari Il secolo comunista raccontato da Gino Longo, Macchione


Risvolto
Questo volume raccoglie la testimonianza storica di Gino Longo, figlio primogenito di Luigi e di Teresa Noce, celebre coppia del comunismo italiano. Longo, autore di memorie ancora inedite, racconta episodi, fatti, personaggi e momenti salienti del comunismo internazionale, visto tanto da Mosca, quanto dall’Italia. Ne esce una galleria incomparabile di ritratti che formano l’album di famiglia del Comintern.

Festorazzi utilizza il racconto di Longo come fonte principale, integrandola con altre fonti qualificate. Ne esce una scorribanda nel “secolo breve”: una narrazione serrata e coinvolgente, che costituisce una prova brillante dello stile giornalistico dell’autore, nello sforzo di incuriosire, oltre che informare, il lettore.

Gino Longo è nato a Milano nel 1923. Esule con i genitori in Francia, ha vissuto in Unione Sovietica, frequentando i convitti del Soccorso Rosso Internazionale e seguendo l’ultimo corso della Scuola-quadri del Comintern. Giornalista professionista, ha lavorato a l’Unità e all’agenzia di stampa sovietica Tass. Negli anni Cinquanta, è stato interprete al Cremlino. Economista, è tra i più attenti studiosi del pensiero di Karl Marx. Vive a Brunate (Como).


«I miei compagni di classe fatti sparire da Stalin»

Gino Longo, figlio del leader del Pci Luigi, racconta il secolo breve del comunismo e l’Urss anni Trenta Nelle scuole era prassi comune correggere i manuali di storia cancellando i nomi dei dirigenti arrestati

Libero 19 giu 2016 Di ROBERTO FESTORAZZI ALL’HOTEL LUX
Analizza lucidamente Longo: «La realizzazione del proprio progetto politico Stalin l’attuò in tre tappe. La prima corrispose alla liquidazione del leninismo ed alla trasformazione del Partito bolscevico in qualcosa che non era neppure più un partito. La seconda tappa fu data dallo sterminio dell’ala storica dell’ex Partito bolscevico e dalla “riscrittura” della storia del partito e della rivoluzione ad uso e consumo del nuovo padrone del Paese. La terza consistette nel liberarsi dell’ideologia fondatrice a vantaggio di una politica e di una ideologia nazionaliste, “da grande potenza” (velikoderzhavnije), paragonabili a quelle dello zarismo, delle quali ripresero tutti gli attributi».
Le memorie di questo straordinario osservatore del secolo rosso ci introducono a una testimonianza diretta su ciò che avvenne, nell’epoca culminante del terrore staliniano. Longo, nel 1937, aveva quattordici anni e poté assistere a episodi e fenomeni tali da non poter più essere dimenticati. Ricorda: «L’atmosfera era pesante, seguiva un crescendo attentamente programmato, e toccava anche noi. Non soltanto seguivamo quanto veniva pubblicato dalla stampa sulle “mene controrivoluzionarie” dei trotzkisti, del “blocco di destra” e delle “spie tedesche e giapponesi”, ma la repressione infieriva anche su persone che avevamo conosciuto ed erano in diretto contatto con noi. Così, ad esempio, a Ivánovo, non soltanto avevamo appreso che l’ex segretario regionale del partito Nosov, prima osannato, ora era divenuto un “nemico del popolo”, ma anche che la nostra insegnante di lingue, la Traumann, la cui vita era da anni strettamente intrecciata con la nostra, un bel giorno era scomparsa, assieme a tutta la famiglia: arrestati tutti quanti quali “spie straniere”».
«Poi presero a scomparire singoli nostri compagni, al convitto: infatti, non appena un comunista straniero emigrato nell’Urss veniva arrestato per “attività trotzkiste”, o quale “sospetta spia”, veniva automaticamente a perdere la qualifica di “combattente per la rivoluzione”, e quindi i figli non avevano più diritto di rimanere nel convitto del Soccorso Rosso internazionale... Arrivavano funzionari dell’Nkvd in abiti civili, e li prelevavano. Sarebbero stati spediti in qualche orfanotrofio dell’assistenza pubblica, possibilmente in qualche zona remota del Paese. Perdemmo così a Ivánovo almeno una quindicina di nostri compagni, in prevalenza tedeschi, ma anche qualche polacco, jugoslavo e rumeno.
A Mónino ci toccò poi “correggere”, più volte, secondo le notizie in arrivo, anche il testo del nuovo manuale di storia dell’Urss, quello appena uscito per la quarta classe ma il cui studio era stato esteso a tutte le classi fino alla decima. Vi venivano infatti citati nomi di dirigenti militari e politici, di eroi della guerra civile, ecc.: e non appena qualcuno di essi veniva arrestato, arrivava la direttiva di eliminarne il nome dal libro di testo... Quindi tutti noi, sotto l’occhio vigile dell’insegnante terrorizzata, ci adoperammo a cancellare il nome incriminato, con l’inchiostro, in modo tale che non se ne potesse più scorgere traccia, fino a fare, se necessario, anche un buco nella carta per il troppo raschiare col pennino di acciaio di quei tempi... Peggio quando nel testo vi era anche un ritratto dell’eroe tirato giù dagli altari, come accadde al maresciallo Vassilij Bljukher, il leggendario eroe della guerra civile in Crimea ed in Estremo Oriente, ex consigliere militare di Chiang Kaishek in Cina nel 1925-26, membro del Comitato centrale del partito: dovemmo incollargli sopra un rettangolo di carta bianca, spessa, affinché l’effigie non trasparisse».

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