mercoledì 12 ottobre 2016

Continua il revival del prete reazionario Florenskij

Pavel Florenskij: La filosofia del culto, a cura di Natalino Valentini, San Paolo, 600 

Risvolto
Un percorso alle sorgenti del culto e dei suoi ordinamenti, alla scoperta della tragica e salvifica bellezza della liturgia cristiana: questo volume ci fa immergere nella ricchezza misteriosa e sfavillante dei riti della Chiesa orientale, fino al sancta sanctorum del mistero eucaristico. Padre Pavel ci mostra così ciò che non può essere dimostrato, ma solo contemplato e amato, lasciandoci intravedere nelle fenditure del reale e nelle antinomie della verità l'azzurro dell'eterno. Nella ferma convinzione che "le radici del visibile sono nell'invisibile, i fini dell'intelligibile nell'inintelligibile". 

Il teologo ortodosso russo Florenskij: se il tempo scorre al ritmo dei santi
Pubblichiamo un inedito di Pavel Florenskij sul calendario liturgico. Tratto dal volume «La filosofia del culto» in uscita in ItaliaPavel A. Florenskij martedì 1 novembre 2016 Avvenire

Dimmi come preghi e ti dirò chi seiIntimo o pubblico: il rapporto con il divino nei saggi di Heiler e di Florenskij tradotti in Italia

VITO MANCUSO Rep 12 10 2016
«“Pregava?”. “Sì, pregava sant’Antonio perché fa ritrovare gli oggetti smarriti”. “Per questo solo?”. “Anche per i suoi morti e per me”. “È sufficiente” disse il prete». Così Montale ricorda in “Satura” la moglie scomparsa, ma ciò che per il poeta è minimalismo della preghiera, in realtà ne è la causa prima: il bisogno e gli affetti. Lo mostra alla perfezione il libro di Friedrich Heiler, lo studio più ampio finora condotto a livello
mondiale sulla preghiera, pubblicato a Monaco di Baviera nel 1918 ma ancora insuperato quanto a documentazione e vigore speculativo, e oggi finalmente disponibile per il lettore italiano: La preghiera. Studio di storia e psicologia delle religioni,
a cura di Martino Doni, Morcelliana, 912 fittissime pagine. Assai curioso che negli stessi giorni arrivi in libreria un altro grande testo del 1918 sul medesimo tema: La filosofia del culto di Pavel Florenskij, a cura di Natalino Valentini, San Paolo, 600 pagine, prima traduzione mondiale fuori dalla Russia. Matematico, filosofo, teologo, storico dell’arte, sacerdote, denominato “il Leonardo da Vinci russo” per la poliedrica genialità, Florenskij risulterà assai scomodo all’ateismo comunista che equiparava religione a ignoranza e per questo sarà deportato nel gulag delle isole Solovki ed eliminato l’8 dicembre 1937 in uno di quei crimini di massa detti “purghe staliniane”.
Sulla preghiera Heiler e Florenskij presentano idee molto diverse. Con un approccio fenomenologico lo studioso tedesco ne illustra l’universalità tramite una valanga di documentazione a partire dalle preghiere dei primitivi, di cui mostra l’origine per lo più da situazioni di malattia, fame, pericolo, e da sentimenti quali paura, angoscia, ansia. Come mostrano anche l’etimologia (preghiera viene dal verbo latino precor, infinito precari, da cui precarietà) e il linguaggio quotidiano (“ti prego!”), all’inizio c’è sempre un bisogno. Il bisogno esaudito genera il ringraziamento e la lode, quello non-esaudito il lamento e la supplica, fino a vere e proprie tecniche di persuasione, tra cui Heiler menziona gli insulti che talora venivano rivolti a san Gennaro, da lui accostati a fenomeni analoghi presso i tedeschi. E conclude: «In nessun altro luogo risulta altrettanto forte ed evidente l’irrazionalità della religione, anzi della vita in generale». Il punto infatti è proprio questo: l’irrazionalità della preghiera segue l’irrazionalità della vita. Heiler descrive anche la preghiera col corpo: a mani giunte, a mani alzate, inchinandosi, prosternandosi, in ginocchio, in posizione accucciata, scoprendosi o coprendosi il capo a seconda delle religioni e del sesso, con o senza scarpe. E illustra come si preghi verso l’alto dei cieli, ma anche al cospetto della natura: della cima di una montagna, di una sorgente, di un albero imponente, del vento e del fuoco, della pioggia e del fulmine, della potenza del sole e della dolcezza della luna: ovunque gli esseri umani hanno avvertito e riverito il mistero. A proposito delle civiltà classiche Heiler scrive: «Pressoché a ogni azione, dalla culla alla tomba, i greci facevano corrispondere una specifica divinità»; e quanto ai romani: «Ogni singola opera del lavoro agricolo è sotto il patronato di una specifica divinità». Presenta alcune delle preghiere più belle (tra cui l’Inno al sole del faraone Akhenaton, l’Inno assiro a Shamash, l’inno omerico a Gaia, due splendidi inni inca, i salmi di Israele) e analizza la preghiera dei grandi geni religiosi come Buddha, Geremia, Amos, Gesù, Paolo, Agostino, Maometto, Francesco d’Assisi, Caterina da Siena, Lutero, Teresa d’Avila. Non tralascia la preghiera di artisti, tra cui Goethe e Beethoven, e di filosofi come Pascal, Voltaire, Rousseau. E riporta questa frase di Kierkegaard: «Il senso religioso è qualcosa di così segreto, che se uno ci scorgesse mentre preghiamo, potremmo arrossire come una ragazzina». Secondo Heiler infatti la preghiera, che avvenga nel chiuso della propria camera come auspicava Gesù o nella natura come preferiva Rousseau, con un’intonazione mistica oppure profetica, nasce dalla solitudine e conduce alla solitudine.
È di parere opposto Florenskij. La sua filosofia del culto sostiene che la forma più alta di preghiera non è quella intima e solitaria dei mistici, ma è la preghiera istituzionale della comunità, la liturgia fatta di formule e gesti prefissati, incensazioni, accensione di lampade e candele, canti, adorazione della croce, baci delle icone. È nella liturgia che si percepisce al meglio «la presenza di realtà misteriose accanto a noi e davanti a noi, di esseri, eventi e forze misteriose; il che non può che essere terribile, ma è bene che lo sia». Per Florenskij il culto non produce un distacco dalla vita reale, ma al contrario ne è il più autentico approfondimento: «La cultura, come risulta chiaro dall’etimologia, è un derivato dal culto, ossia un ordinamento del mondo secondo le categorie del culto». Per questo secondo Florenskij le civiltà dotate di un culto hanno anche una cultura condivisa e risultano coese, mentre l’occidente secolarizzato si avvia verso l’assenza di una cultura condivisa. Florenskij scrive talora in modo aspro e radicale, ma reagiva così alla distruzione che si compiva sotto i suoi occhi: «Vorrei dare a queste riflessioni il peso delle pietre, vorrei che tutte le parole pesassero, 10, 100, 1000 volte di più».
Il culto pubblico, che per Heiler è decadenza della preghiera, per Florenskij è il vertice. Scrive Heiler: «In origine la preghiera è un contatto intimo e personale con Dio, ma gradatamente diviene una forma di culto rigida e impersonale». Scrive invece Florenskij: «Il culto è il punto fermo dell’universo per il quale e sul quale l’universo esiste». Per Heiler l’uomo si compie nel mistero nella solitudine, per Florenskij è invece il culto liturgico comunitario «l’attività per eccellenza dell’uomo, dato che l’uomo è homo liturgicus ». Per Heiler la preghiera nasce dal basso dei bisogni umani, per Florenskij dall’alto della rivelazione divina e della tradizione ecclesiale. Heiler da cattolico divenne protestante, per Florenskij invece «il protestantesimo è nella sua essenza la negazione della centralità del culto e la sostituzione del centro della religione con il pensiero ».
Le due prospettive convergono sull’essenziale: sul fatto cioè che chi prega ottiene quiete, fiducia, speranza. La gran parte degli esseri umani prega (se prega) come la moglie di Montale, per esaudire i propri bisogni. La preghiera però insegna che l’uomo è qualcosa di più: sete di giustizia e libertà nella profezia, e parentela del proprio intimo sé con l’infinito nella mistica. Certo, è improbabile che questa esperienza faccia ritrovare gli oggetti smarriti, ma forse un’eccezione c’è: il proprio posto nel mondo. Per questo chi la vive ottiene la pace del cuore. Beve, come ricorda Florenskij, “l’acqua di guarigione e di pace”.
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Florenskij, il genio multiforme che disprezzava il Rinascimento Esce laFilosofia del cultodel sacerdote ortodosso russo ucciso nelle prigioni staliniane. Una critica all’Occidente Andrea Colombo  Busiarda 8 12 2016
Pizzetto incolto, capelli lunghi, occhialini tondi da scrittore, la veste talare bianca un po’ lisa con un pugnale alla cintura. Pavel Florenskij entra in un’aula stracolma di studenti, e dopo aver posato il suo quaderno di appunti sulla scrivania, esclama: «Cristo è risorto! Amore, amore, amore e ancora amore…». Iniziano così le lezioni sulla Filosofia del culto, tenute da questa multiforme figura di sacerdote ortodosso, un religioso che è allo stesso tempo padre di famiglia, matematico, filosofo, storico dell’arte e scienziato. 
Era il maggio del 1918. L’anno prima aveva trionfato la rivoluzione bolscevica, che aveva spazzato via la monarchia e promesso di liberare i russi dalla religione «oppio dei popoli». Padre Pavel non era né un reazionario né un nostalgico zarista, tuttavia era fermamente contrario al materialismo marxista. E così, dalle aule dell’Accademia della società dei professori di Mosca, lanciava la sua originale sfida allo Stato comunista. Una sfida che gli costerà cara e culminerà con il martirio, in una fredda notte dell’8 dicembre 1937, quando venne fucilato insieme ad altri 500 «controrivoluzionari» nei boschi che circondavano Leningrado. 
Ora le edizioni San Paolo mandano alle stampe queste lezioni di Filosofia del culto (a cura di Natalino Valentini) in cui emerge la visione del mondo di un pensatore dai mille volti, capace di passare dalla teologia delle icone alla filosofia platonica, dall’ingegneria elettrotecnica alla geometria non euclidea. Per Pavel Florenskij il culto non è un residuo del passato, un lascito di superstizioni superate, ma è la fonte della nostra esistenza. È la radice delle nostre attività, tanto che i sette sacramenti, dal battesimo all’unzione degli infermi passando per il matrimonio, marcano tutte le principali tappe dell’uomo. Lo stesso termine di cultura deriva dal culto. Negare questa evidenza, spiega, è come rinnegare l’essenza più profonda dell’umanità. D’altronde il tempo è marcato dai rintocchi delle ore dei campanili e dal calendario liturgico. E, similmente, lo spazio richiede un’attività di orientamento intellettuale, che ha un unico punto di riferimento: «la Persona Assoluta Divino-umana incarnata». 
Il pensiero mistico di Florenskij è di una radicalità che affascina. Tanto che le sue riflessioni sulle geometrie perfette dell’iconografia ortodossa s’incontrano con le sperimentazioni di artisti come Malevich, che in quegli stessi anni respingono la tradizione occidentale della figurazione e ritornano al primitivismo astratto dell’estetica bizantina, culla della civiltà russa. Scrive Florenskij: «Tutto è Croce, tutto è fatto a forma di Croce. La Croce sta a fondamento di tutto l’essere» e sembra che commenti un quadro suprematista. Fedele alla tradizione della sua terra, questo sacerdote scienziato si scaglia contro la «sacrilega indipendenza» della «civiltà umanistica europea occidentale: putrefazione, disgregazione e quasi morte della cultura dell’uomo». Per Florenskij la modernità, nata nel Rinascimento, è «estranea alla religione». E i russi devono marcare la loro differenza rispetto al pensiero occidentale.
Particolarmente toccanti le pagine dedicate al cristianesimo come testimonianza e martirio, che anticipano quella che sarà la sua tragica fine. Quasi un oscuro presagio. Il martirio, scrive Florenskij, è «il sangue che parla della verità». E nella morte per la fede, il testimone diventa «un combattente e, nello spirito, un vincitore». Nel 1937, dopo innumerevoli arresti e vessazioni, già privato da tempo dell’insegnamento, Florenskij viene accusato di «svolgere attività controrivoluzionaria inneggiando al nemico del popolo Trockij». Gli stalinisti non potevano formulare accusa più assurda. Alla vigilia della sua uccisione, rinchiuso nel gulag, nel giugno di quell’anno scrive ai figli: «Tutto ormai è finito (tutto e tutti)». Pochi mesi dopo il suo volto, trasfigurato dalle violenze, si troverà «faccia a faccia con l’Eternità amata, solitaria, misteriosa». 
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