mercoledì 12 ottobre 2016

Università: per i Prin lo Stato italiano ha messo un'elemosina

L’Italia boccia i ricercatori Respinto il 96% dei progetti
Chiesti 2 miliardi, stanziati solo 92 milioni. Penalizzati settori chiavedi Flavia Amabile La Stampa 12.10.16
«Possiamo girare i numeri come vogliamo ma resta il fatto che il 96% dei progetti è stato silurato», spiega Giovanni Muttoni, docente associato all’Università di Milano.
Ma anche uno degli autori del 96% dei progetti «silurati» nel bando Prin, i progetti per la ricerca che il Miur finanzierà per tre anni, dal 2015 al 2018.
E i numeri in gioco sono molti. Ci sono 97 atenei in Italia (statali e non), 895 dipartimenti, 59.960 ricercatori, 1652.592 studenti iscritti. Questo sistema universitario ha riposto le sue speranze e la sua visione di ciò di cui avrebbe bisogno l’Italia del futuro in 4431 progetti scientifici inviati al Miur per un ammontare totale di finanziamento richiesto di oltre 2 miliardi e cento milioni di euro.
La risposta della commissione che si è occupata della selezione dei progetti è stato il via libera a 300 progetti per un totale di circa 92 milioni di euro: 109 progetti per le Scienze della vita (cui andranno 32.111.638 euro), 95 progetti per le Scienze fisiche (cui andranno 31.686.164 euro) e 96 progetti per le Scienze sociali e umanistiche (27.446.999 euro).
Troppo poco? In realtà il Miur sostiene il contrario. «I fondi stanziati sono due volte e mezzo quelli del bando precedente, quello del 2012. Il sostegno alla ricerca di base è essenziale e il Prin è uno dei principali canali di finanziamento ma nel Programma Nazionale ci sono anche altri strumenti che vanno in questa direzione. Dei 2,5 miliardi stanziati, oltre 1 miliardo servirà a finanziare interventi sul capitale umano come le misure per attrarre in Italia i vincitori dei bandi Erc e rendere più competitivi i nostri ricercatori», spiegano dal ministero.
Insomma il governo farebbe grandi cose per la ricerca. A andare nel dettaglio dei progetti Prin finanziati si nota, invece, che in media ci sono stati tagli del 30% e alcuni settori sono stati molto penalizzati, come chimica, informatica e anche scienze della terra a dispetto dei terremoti che a scadenze ormai sempre più ravvicinate mettono in ginocchio l’Italia. Per fare alcuni esempi: Ingegneria civile e dei materiali, Ingegneria elettronica e delle comunicazioni hanno avuto 33 progetti finanziati. Matematica pura e applicata ha avuto 19 progetti finanziati. Fisica della materia e Fisica della materia condensata hanno avuto 11 progetti finanziati. Chimica 8 progetti finanziati, Scienze dei materiali 6 progetti finanziati, Informatica e sistemi intelligenti 6 progetti finanziati. Scienze della Terra con geologia, meteorologia, climatologia, oceanografia, risorse naturali 7 progetti finanziati. Astronomia, astrofisica e cosmologia 2 progetti finanziati. È anche vero che, se invece di fare un’analisi in base ai settori, si prendono in considerazione le università che hanno ottenuto i finanziamenti, si possono incontrare anche toni decisamente entusiasti come quelli della Sapienza o dell’Università di Cagliari che hanno annunciato un boom dei progetti finanziati. Ma l’Italia della ricerca ha bisogno di qualcosa di diverso dai comunicati in stile propagandistico.

Cattedre Natta Matteo e il disprezzo per i docenti
Nel Ventennio la “chiamata per chiara fama” per fascistizzare gli atenei di Angelo D’Orsi Il Fatto 13.10.16
La furia modernizzatrice dell’iperfuturista Matteo Renzi non conosce limiti né ostacoli. Accanto alla velocità, e al mito del cambiamento, il percorso del “riformista” Renzi ha una stella fissa intorno a cui tutto il suo progetto politico deve ruotare: la meritocrazia. Una bufala clamorosa, che tuttavia, riscuote sempre un notevole credito, in una pubblica opinione instupidita da giornalisti di regime. La notizia delle 500 “Cattedre Natta”, riportata ieri da Gianni Barbacetto e Carlo Di Foggia sul Fatto Quotidiano lascia sbigottiti. E giustamente si è evocato l’eterno fantasma del fascismo. Espediente retorico? Beh, vale la pena di ricordare Giuseppe Bottai, il fascista cosiddetto “moderato”, che occupò la Minerva dal 1936 al 1943, titolare di quello che al tempo si chiamò ministero dell’Educazione nazionale. Oltre a s m o n t a r e quello che rimaneva della Riforma Gentile, “la più fascista delle riforme” secondo il Duce (in vero, più liberale e aristocratica che fascista), e prima di dedicarsi a una forsennata caccia agli ebrei che “infestavano” la scuola italiana avviata sulla luminosa strada del razzismo di Stato, Bottai realizzò alcune iniziative, alcune persino buone, seguendo l’idea di fare della scuola il serbatoio delle nuove intelligenze italiane (e fasciste). Tra esse, la “chiamata per chiara fama”, che doveva essere riservata al ministro, su proposta delle autorità accademiche, in casi eccezionali. Non c’era polemica verso il corpo docente e i suoi meccanismi di selezione, ormai stabilizzati fascisticamente, ma non di rado capaci di “p r emiare il merito”; piuttosto la volontà di saltare le normali procedure, magari portando in cattedra studiosi che non avevano il curriculum burocraticamente perfetto, ma di grande valore (non sospetti di antifascismo). La norma voleva sì sottolineare il potere del ministro come dominus, ma nel contempo mirava a una sorta di autolegittimazione scientifica di Bottai, che ebbe sempre forti ambizioni intellettuali. La trovata renziana, nella quale si nota, come in altri casi, la programmazione numerica (sono sempre cifre tonde, che devono colpire l’immaginario), sembra animata da uno spirito in parte simile: il fastidio per la cultura libera e critica, che porta a dividere il campo in “chi mi sostiene” vs “chi mi critica”, già espresso in polemiche e attacchi ai professori universitari da parte di Renzi e dei suoi pasdaran, spesso provvisti di qualsiasi titolo giuridico e scientifico, anche in questo sulla scia di Berlusconi. Ma al progetto ddelle “ Cattedre Natta” s e mbra sotteso, diversamente da Bottai, il disprezzo per l’intera docenza universitaria, coerentemente con il messaggio di Raffaele Cantone, che ha spiegato la fuga dei cervelli con la corruzione nelle università, dimenticando la quasi cancellazione dei fondi per la ricerca e una riduzione progressiva del finanziamento ordinario agli atenei (stipendi compresi) che ci inchioda agli ultimi posti della classifica internazionale! I 500, dunque: ancora una volta domina il gigantismo, come nella filosofia delle grandi opere e dei grandi eventi, accanto al ferale mito dell’eccellenza. Invece di rimettere in salute gli atenei italiani, si destinano cifre importanti a un singolo evento, o istituzione; e in linea con la “riforma” costituzionale, si procede all’accentramento di potere nell’Esecutivo e nel premier. Chi sceglierà i cattedratici? Sarà il ministro della Salute Beatrice Lorenzin a dare le cattedre di Ginecologia? Migliaia di precari stanno invecchiando senza prospettive, pur tenendo in piedi l’istituzione; altre migliaia di ormai ex giovani attendono il miracolo della chiamata, dopo aver ottenuto l’abilitazione. E così via. La carica dei 500 è uno schiaffo anche a loro. 

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