domenica 29 aprile 2018

I primi nemici. Chi non riesce mai a distinguere una rivoluzione da un golpe atlantico



Un articolo imperdibile oggi per capire l'atteggiamento arrogante e eurocentrico della Sinistra Atlantica nei confronti della Cina.
Il tentativo di rovesciamento del potere socialista, in sincrono con la scena conclusiva della Guerra Fredda in Europa, va ricordato secondo il Manifesto per la "consistente partecipazione operaia" e per la "critica al modello economico adottato con le riforme post-Mao del 1978", oltre che per il legittimo tentativo di sbarazzarsi del "partito dominante".
Le proteste di Tienanmen - dei quali conosciamo oggi tutti i dettagli, a partire dai poliziotti bruciati vivi e appesi dai "pacifici" studenti che esibivano Statue della Libertà in cartapesta - andrebbero dunque inquadrate come una rivoluzione che Mao (del quale i manifestini si ritengono non si sa perché eredi) avrebbe certamente benedetto. Esattamente come la caduta del Muro di Berlino, liquidata come "il collasso dei regimi burocratici dell’Europa dell’Est".
Come potremmo mai risollevarci dalla sconfitta se i primi nemici sono nel nostro campo?
Come potremmo, poi, se siamo costretti a leggere recensioni zuccherose che fanno passare per poeta l'ultimo degli scribacchini? [SGA].


Diario poetico e politico di Tian’anmen 
In versi. «Sull’educazione» di Meng Lang, un’inedita visione della storia cinese che si affida ai bambini, per Damocle editore 
Federico Picerni Manifesto 28.4.2018, 0:03 
La pubblicazione della silloge Sull’educazione. Un diario poetico su Tian’anmen 1989 di Meng Lang, grazie all’interessamento di Damocle edizioni e alla traduzione di Claudia Pozzana e Alessandro Russo (pp.130 euro 12), offre ai lettori italiani un’inedita visione su un evento cruciale della storia cinese – e, in verità, mondiale – relativamente recente, ma le cui conseguenze marcano indelebilmente il nostro presente. Con i saggi in introduzione e appendice, Pozzana e Russo forniscono un indispensabile quadro storico di quegli anni e uno sguardo critico sulla contemporaneità cinese. 
GLI AVVENIMENTI attorno al grande movimento di protesta che si sviluppò in Cina nella primavera del 1989 e culminò tragicamente con il massacro del 4 giugno in piazza Tian’anmen restano un campo aperto di analisi. Non basta la semplicistica interpretazione di una protesta per un sistema politico di tipo occidentale, ignorandone aspetti fondamentali come la consistente partecipazione operaia e la critica al modello economico adottato con le riforme post-Mao del 1978.
Meng Lang, poeta dai versi sferzanti e intensi, interessato ai temi della politica e della storia, dà un’altra chiave di lettura, questa volta poetica, in modo del tutto originale e, forse, più unico che raro. Un diario poetico sull’evento politico di Tian’anmen 1989 da parte di chi vi ha partecipato squarcia la nebbia della negazione integrale dell’avvenimento da parte del governo cinese: in quell’occasione, caratterizzata peraltro da un contesto globale che vedeva il collasso dei regimi burocratici dell’Europa dell’Est, il partito dominante ribadì che nessuna organizzazione politica al di fuori di sé sarebbe stata tollerata. È come se Meng Lang, quindi, ripensasse in poesia quella politica che la negazione depoliticizzante del regime ha oscurato: la «domanda madre», scrivono Pozzana e Russo, ruota attorno al «come pensare dall’interno della poesia un evento che è chiaramente politico». 
IN CINA IL POETA, e lo scrittore in generale, è invischiato in una «relazione complicata» con la politica. Fino agli anni 60 e 70, il suo era un ruolo militante. Allora andare nelle campagne e nelle fabbriche per subire la sana rieducazione da parte dei contadini e degli operai era vista come una precondizione per poi produrre opere in grado di analizzare il presente sociale e ridurre il divario fra lavoro manuale e intellettuale. Con la generale depoliticizzazione post-riforme e la politica divenuta appannaggio esclusivo della burocrazia, l’indipendenza soggettiva dell’artista tornò al centro. Il poeta Bei Dao parlava di «distanza della poesia», ma Meng Lang si chiede «in fondo quanto lontano da me» siano gli eventi. 
L’ANTOLOGIA COMPRENDE venticinque poesie in ordine cronologico. Le prime, calate nel pieno del fermento, compongono il diario vero e proprio, una riflessione tutta poetica sul movimento. Studenti, operai, chi è sceso in piazza sono «polvere», i cui granelli, minuscoli e deboli singolarmente, formano una «colonna» che, «levatasi nella tempesta», «quasi si solidifica»: è la potenza delle soggettività disperse unite in una mobilitazione collettiva. Colpisce la materialità in questi versi: l’immagine dei «denti falsi» che «minacciano il popolo» evoca la vacuità della ferocia repressiva (Mao denunciava l’imperialismo come «tigre di carta») e la fisicità dei corpi, quelli il 4 giugno resteranno sanguinanti sulle strade. «Il corpo si lancia selvaggiamente contro la storia»: proprio il tempo è un altro aspetto ricorrente di questi versi, il tempo di cui i dimostranti si appropriano, ma che si infreddolisce e che infine sfugge. Nelle poesie successive, la metafora ricorre, ma stavolta sarà il vento del mondo a travolgere i corpi. 
DOPO L’ESILIO, Meng Lang non nasconde una certa angoscia. Rispetto al grande fervore delle prime poesie, ora si respira la melanconia del poeta che si allontana dalla sua terra e dagli eventi, fisicamente, temporalmente e artisticamente: «i miei ultimi passi / hanno perduto l’immaginazione / percorrono solo una strada inaridita».
La riflessione si evolve poi su toni più critici. Versi come «una donna che si trucca al mattino mette sulle labbra una goccia di sangue anonimo», e altri che si scagliano contro l’indifferenza e l’oblio fungono da monito a una modernità (neoliberale) che trae origine da un fatto di sangue. 
SEMPRE NELLE ULTIME poesie si accentua la riflessione sull’educazione. Al «bambino» si rivolge Meng Lang, un po’ come Lu Xun, padre della letteratura cinese moderna, che nella sua critica della tradizione confuciana esortava a «salvare i bambini». Esposto a un’educazione patriottica che frena il pensiero critico, la speranza per il bambino sta nel pronunciare «una parola sbagliata», cioè nel rompere gli schemi della narrazione ufficiale e criticare l’esistente

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