martedì 25 febbraio 2020

Torna "La gang del pensiero"

Metafisica del crimine 
“ La Gang del pensiero”, romanzo cult scritto nel 1994 da Tibor Fischer e ora ripubblicato, ci conquista ancora con i suoi due rapinatori appassionati di filosofia
di Giancarlo De Cataldo Robinson 4 4 2020
Eddie Coffin — che sta per “ bara” — è un uomo di saldi principi. Crede nei libri, perché « la maggior parte delle persone ha un libro dentro», crede nei ristoranti, perché prima o poi salta immancabilmente fuori un parente o un amico che vuole aprirne uno. Ma soprattutto crede nella rapina. Perché «nell’ambito delle attività illegali che comportano lunghe detenzioni, la rapina in banca sembra la più innocua».
Dipende dal fatto che le banche hanno più soldi del necessario, tutti odiano banche e banchieri, e « l’idea di provocare un’ondata di terrore nei più riposti meandri del tratto digestivo inferiore dei banchieri è attraente » . Peccato che a frenarti ci sia la paura di finire in gattabuia.
Ma se un bel giorno questa paura la vinci, allora chi può fermarti? Soprattutto se sei un filosofo di mezza età specializzato nei Presocratrici greci, pelato, alcolizzato e sovrappeso. Se in uno squallido alberghetto di Montpellier il caso ti fa imbattere in un ex galeotto monco, storpio e profondamente saggio di nome Hubert e se la vicedirettrice del primo istituto di credito che assalti si prende una cotta per te.
Scritto nel 1994, La Gang del pensiero è il secondo romanzo di Tibor Fischer, classe 1959, figlio di campioni di basket emigrati dall’Ungheria in Inghilterra.
Un libro notevole. Fra una citazione colta e una riflessione sull’essere, fra un colpo, una crapula e un’esperienza erotica, il viaggio picaresco di Eddie e Hube si dipana, sino all’imprevedibile finale, come un’avventura brillante, comica, sulfurea, perennemente in bilico fra leggerezza e profondità. Dove, per dire, si sogna di viaggiare nel tempo sino all’antica Grecia, mettersi a bere con Talete e i suoi compagni, e farsi rivelare il segreto: ma come avete fatto a inventare più o meno tutto il pensiero per tutti i secoli a venire? Possibile che ci siate davvero riusciti in quel piccolo paese, e senza nemmeno parlare inglese?
In mancanza di risposta, si può sempre chiamare Talete lo smilzo sorcetto di compagnia che adora starsene in gabbia e ingrassare a dismisura. Anche se suona un po’ paradossale: hai inventato la filosofia, valicato con le tue opere i millenni e ti ritrovi con due schizzati che danno il tuo nome a un topo. Siamo fra capriccio e vaudeville, in zona chiaramente pop: la rapina, più che altro, è il pretesto per inquadrare una possibile “ zetetica” degli anni Novanta. Vale a dire, sulla falsariga degli Scettici, una ricerca destinata a non concludersi mai perché, per statuto, non esiste conclusione possibile.
Eddie e Hube diffidano di chi offre ricette, specie se facili e consolatorie. E ce n’è per tutti. Per Voltaire: « Un uomo esente da pensiero originale», anche se «si faceva un sacco di attrici» e il suo successo non declina. Per Rousseau: « Un uomo che ha costruito una carriera sul dispetto e che potrebbe portare una mongolfiera su Marte a forza di noia » . Tutti gli altri, « una manica di inetti piccoli chimici » fra i quali salvare solo Diderot, perché scriveva bene, e La Mettrie, perché «chiunque riesca a mangiare fino a crepare va preso sul serio».
Non a caso lo spirito- guida, alla fine, si rivela un poeta, Ipponatte di Efeso, considerato il capostipite dei maledetti, dei campioni di invettiva, da Cecco Angiolieri a Villon: «O Ermes strozzacani, tu compagno di ladri, vieni qui, dammi una mano…», « tenetemi il mantello, voglio fare un occhio nero a Bupalo. Sono ambidestro e il colpo non lo sbaglio » . Proprio l’apparizione, nel corso di un’esilarante seduta spiritica, del suo spettro rancido e livoroso, è una delle parti più irresistibili del romanzo.
Anche grazie a La Gang del pensiero, Fischer occupò un posto d’onore al simposio della nuova letteratura in lingua inglese. Il romanzo piacque a Jay McInerney ma non a Nick Hornby, che pure all’esordio aveva considerato Fischer l’antidoto al detestato Martin Amis. Amis e Fischer proprio non si vogliono bene — per usare un eufemismo — e hanno dato vita, nel tempo, a una faida dai toni coloriti ( altro eufemismo).
Alla lunga, però, ha prevalso Amis, tuttora stella di prima grandezza, mentre la popolarità di Fischer come autore è un po’ calata. In compenso, la sua vena di polemista si è irrobustita, producendo una serie di provocatori articoli contro i burocrati di Bruxelles e dalla parte di Viktor Orbán.
L’attuale Fischer, il risentito, irrita, ma ci appare meno ricco e più prevedibile del Fischer d’annata. Capace di riflessioni da applausi, come questa: dopo due millenni di alta speculazione ti aspetteresti almeno una base solida, e invece « abbiamo le ologie, la teleologia, l’aletheiologia, l’escatologia ma non abbiamo un pelo di moscerino di idea di cosa stia succedendo qui. Favole della nonna, discorsi di vecchi filosofi, prediche di vecchi sacerdoti, qualche visione di seconda mano».
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