lunedì 9 marzo 2020

Alcuni Vangeli apocrifi da Carocci: Ravasi

Il Vangelo di Tommaso a cura di Andrea Annese Carocci, Roma, pagg. 206, € 17
L’Apocrifo di Giovanni a cura di Francesco Berno Carocci, Roma, pagg. 178, € 16

Parole segrete di Gesù secondo Tommaso
Vangeli apocrifi. I manoscritti ritrovati in una giara nell’Alto Egitto nel 1945
Gianfranco Ravasi Domenicale 8 3 2020
«Queste sono le parole segrete che Gesù il vivente ha proferito e Giuda, detto anche Tommaso, ha scritto. E disse: Colui che troverà l’interpretazione di queste parole non gusterà la morte». È l’incipit, ricostruito sulla base dei testi greco e copto a noi pervenuti, di uno degli apocrifi protocristiani più affascinanti, il Vangelo secondo Tommaso, emerso a sorpresa nel dicembre 1945 da una parete rocciosa, nella quale si aprivano grotte destinate a uso funerario, nell’area di Nag Hammadi (Alto Egitto), sulla riva destra del Nilo. Artefici della scoperta furono alcuni contadini che si imbatterono, durante uno scavo, in una giara sigillata: aperta, non conteneva un tesoro (come s’aspettavano), ma un fascio di codici papiracei scritti in copto almeno 15 o 16 secoli prima. Da quel momento iniziò un’avventura che non possiamo qui narrare coi suoi molteplici ed enigmatici colpi di scena, ivi compreso il fatto sconcertante che la madre di uno degli scopritori non esitò a usare alcuni di questi fogli per attizzare il fuoco del camino di casa.
Il groviglio di interrogativi storici, letterari, filologici, teologici che si raggrumano attorno a uno di quei manoscritti, il più celebre, ossia il citato Vangelo di Tommaso, costituito da 114 detti (o lóghia) attribuiti a Gesù, è stato variamente dipanato da un’imponente bibliografia che ha ora un’ottima mappa sintetica nello studio di Andrea Annese, un ricercatore della Sapienza di Roma. Si pensi che attorno alla ventina di pagine del testo originario egli distende un ventaglio di quasi 200 pagine di analisi e di note al testo stesso. Tuttavia la lettura, pur con la fatica che comporta nei percorsi più ardui (come quello sulla composizione e le fonti o l’identificazione delle prospettive teologiche), conquista anche il profano che si può affacciare su un ambito particolare del panorama delle origini cristiane, tant’è vero che alcuni studiosi hanno persino parlato di un «quinto Vangelo», certamente non canonico ma non di rado segnato dall’eco della voce autentica di Gesù.
Non per nulla alcuni suoi detti, qui registrati, si ritrovano anche nei Vangeli canonici e sono forse riconducibili - sempre secondo alcuni esegeti - all’ipotetica fonte Q (dal tedesco Quelle, «fonte») pre-evangelica basata appunto su lóghia di Cristo. Difficile è delineare le coordinate genetiche di questo Vangelo apocrifo, nato forse in Siria tra la fine del I secolo e l’avvio del II e assegnato all’apostolo Tommaso detto Didimo, cioè «gemello», ben noto anche ai Vangeli canonici (chi non ricorda il celebre «dito» nel costato del Cristo risorto?). Interessante è la ricostruzione della filigrana teologica sottesa a questa antologia di detti. Essa è capace di rivelare un arcobaleno di temi che attingono alla tradizione ebraica, spesso in maniera critica, ma che ampliano l’orizzonte inerpicandosi su sentieri ascetici e mistici, respirando anche atmosfere ermetiche o neoplatoniche. Si offre, così, un complesso ritratto cristologico centrato su un soggetto capitale nella predicazione di Cristo, ossia il Regno di Dio Padre.
Fermiamoci qui e lasciamo al lettore di gustare le parole talora folgoranti di Gesù, come queste: «Colui che cerca non smetta di cercare finché non avrà trovato, e quando avrà trovato resterà sbigottito e quando sarà sbigottito, si meraviglierà e regnerà sul tutto» (n. 2). O questo altro detto: «Mi sono levato in mezzo al mondo e mi sono manifestato loro nella carne. Li ho trovati tutti ubriachi; non ho trovato alcuno tra loro che fosse assetato. E la mia anima ha provato dolore per i figli degli uomini perché sono ciechi nel loro cuore e non sono in grado di vedere; venuti nel mondo vuoti, cercano di uscirne ancora vuoti» (n. 28). Oppure il suggestivo n. 77: «Spaccate un pezzo di legno, e io sono là; sollevate la pietra, e mi troverete lì». O ancora lo sconcertante n. 56: «Colui che ha conosciuto il mondo ha trovato un cadavere, e di colui che ha trovato il cadavere, il mondo non è degno». Ma ancor più scandaloso per la nostra sensibilità è l’ultimo detto, il 114, basato su un’androginia maschilista. Si ha un dialogo tra Pietro, che vuole cacciare Maria (Maddalena) «perché le donne non sono degne della vita», e Gesù che replica: «Io la attirerò così che possa renderla maschio, affinché anche lei possa diventare uno spirito vivente, simile a voi maschi. Poiché ogni donna che si farà maschio entrerà nel regno dei cieli».
Idealmente rovistando ancora nei manoscritti della giara di Nag Hammadi, ecco emergere un altro testo copto, l’Apocrifo di Giovanni, reiterato in ben quattro di quei codici. È un altro ricercatore della Sapienza di Roma, Francesco Berno, a offrirne una nuova edizione: anche in questo caso, la ventina di pagine della traduzione dell’opera è accompagnata da un imponente corteo di capitoli introduttivi, piuttosto ardui anche nel dettato, di note e di bibliografie che occupano le altre 150 pagine del volume. Siamo, quindi, di fronte a uno scavo approfondito che cerca di ricostruire la genealogia testuale e tematica di un’opera che, secondo l’affermazione perentoria di due studiosi, K.L. King e G.G. Stroumsa, sarebbe «il primo tentativo di strutturare in forma di racconto narrativo il mistero della rivelazione cristiana», ma anche «l’ultima e imperfetta manifestazione mitologica del mondo classico».
Siamo nell’orizzonte dello gnosticismo che adotta una complessa macchina mitica e che si sviluppa lungo traiettorie ideologiche ramificate. Anche se il manoscritto attuale copto è da collocare tra il IV e il V secolo, la matrice greca risale ai primi secoli cristiani, rivelando l’alta qualità che aveva già raggiunto la speculazione di una fede ancorata alle sorgenti evangeliche ma ormai pronta ad affrontare a viso aperto le sfide di un dialogo interculturale. Il curatore di questa edizione si inoltra con molta accuratezza nella foresta storico-critica, letteraria e mistico-teologica, anzi, come egli la definisce, nella «galassia» dell’Apocrifo, un orizzonte spesso destinato ad accogliere deviazioni dottrinali e a comporsi in costellazioni mitico-mistiche e apocalittiche, poste sotto l’insegna della cosciente creazione libera.
Sotto la veste narrativa si dipana una rivelazione rivolta a Giovanni. La titolatura è, infatti, significativa: «L’insegnamento del Salvatore e la rivelazione dei misteri e delle cose nascoste nel silenzio e di quelle cose che egli insegnò a Giovanni, suo discepolo». Nel cuore di questa manifestazione cristologica si sviluppano, tra l’altro, temi teogonici, cosmogonici e antropogonici nei quali la Genesi biblica viene «riscritta» e fatta interloquire con ammiccamenti platonici (dal Timeo), nello spirito di un confronto interreligioso che ha però nella rivelazione di Cristo, intesa secondo categorie gnostiche, la chiave interpretativa di base e, naturalmente, il vertice. Una rivelazione elettiva ed esoterica che trascende la filosofia pagana, la Legge giudaica e persino la tradizione cristiana della Grande Chiesa ufficiale di allora.
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