giovedì 12 novembre 2020

Il linguaggio dell'Impero: il ritorno di Hong Kong alla Cina è una "ricolonizzazione", l'eventuale intervento occidentale sarebbe invece una "liberazione"

China’s ‘recolonisation’ of Hong Kong could soon be complete

For Beijing it makes sense to crush the things that former colonists think made the city successful




Dimissioni di massa A Hong Kong sparisce l’opposizione 
dal nostro inviato Filippo Santelli Corriere 12 11 2020

NANCHINO — Le autorità cinesi stringono il loro controllo su Hong Kong, silenziando l’opposizione in uno dei pochi luoghi in cui ancora poteva esprimersi, il Parlamento della città. Ieri l’Assemblea nazionale di Pechino ha annunciato di aver approvato una risoluzione che consente al governo di Hong Kong di destituire in via diretta e immediata, senza passare da un tribunale, i parlamentari protagonisti di atti contro la sicurezza nazionale. E l’esecutivo locale è subito passato all’azione, privando del seggio quattro esponenti dell’opposizione democratica, tre membri del Civic Party, Alvin Yeung, Dennis Kwok e Kwok Ka-ki, e il rappresentante di una associazione professionale, Kenneth Leung. Per tutta risposta tutti gli altri 19 esponenti del campo democratico si sono dimessi in massa, lasciando all’interno del Consiglio legislativo, il Parlamento, solo i membri della maggioranza pro Pechino. La già limitata democrazia di Hong Kong si riduce a simulacro.
Questo nuovo blitz sull’opposizione, che arriva mentre negli Stati Uniti è in corso la difficile transizione tra Trump e Biden, è l’ultimo prodotto della draconiana legge sulla sicurezza nazionale introdotta da Pechino in giugno. La norma punisce atti indipendentisti e di sedizione, ma ribadisce anche che i politici eletti a Hong Kong devono essere fedeli alla patria, definita nei termini del Partito comunista. Due dei parlamentari squalificati avevano chiesto al governo americano di sanzionare le autorità centrali e locali protagoniste della stretta, parole che per Pechino costituiscono un appello all’interferenza straniera. Gli altri due non avevano fatto dichiarazioni esplicite, ma sono stati giudicati legati a persone o gruppi con posizioni illegali. Queste “colpe” erano già costate ai quattro la squalifica dalle elezioni parlamentari che dovevano tenersi in settembre, poi rimandate per il virus. Ora, grazie alla nuova risoluzione, vengono usate per espellerli dal Parlamento, dove l’opposizione da qualche tempo stava ricorrendo alla carta estrema dell’ostruzionismo.
Non è ancora chiaro se i quattro presenteranno ricorso, ma è difficile lo vincano: la nuova legge sulla sicurezza è gerarchicamente superiore alle altre norme di Hong Kong e in caso di conflitto interpretativo l’ultima parola spetta a Pechino. Di fatto, l’attività dell’opposizione dentro il Consiglio diventa impossibile, visto che i termini vaghi della legge si prestano a interpretazioni estensive e nel caso di violazione i parlamentari possono essere cacciati per direttissima. «Tutto il potere sarà accentrato nelle mani del governatore, una marionetta del governo centrale. Oggi è la fine di “un Paese, due sistemi”», la formula dell’autonomia di Hong Kong, ha detto il presidente del Partito democratico Wu Chi-wai. Le autorità cinesi, come sempre, ribattono che è un modo per far funzionare l’autonomia.
L’incognita ora riguarda le reazioni internazionali e in particolare gli Stati Uniti, che hanno condannato a ripetizione la stretta sulla città e già sanzionato i funzionari protagonisti. La Cina non si è ancora congratulata con Joe Biden, silenzio che molti hanno interpretato come un tentativo di non offrire all’amministrazione uscente il pretesto per ulteriori affondi. Su Hong Kong però il regime non ha avuto esitazioni.
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