mercoledì 7 aprile 2010

Università: si è rotto il fronte del Corriere

Il quotidiano di Confindustria continua ovviamente a incensare la controriforma Gelmini (come è noto, gli industriali in Italia sono assistiti e pigliano soldi dai governi in carica). L'intervento critico una persona autorevole e soprattutto di orientamento seriamente liberale come Dario Antiseri è riuscito invece nel miracolo di infrangere il fronte del Corriere, che pure si è ormai consegnato mani e piedi al governo per paura di essere acquistato dalla Mondadori. Intanto i maestri italiani impareranno l'inglese in sole 50 ore! [SGA].


UNIVERSITA', RICERCA E MERCATI
LETTERA di  ALBERTO BURGIO, CORRIERE DELLA SERA del 6/4/2010 a pag. 41

A ben guardare, la polemica sul progetto di riforma dell’Università aperta da Dario Antiseri sul «Corriere» ruota intorno a un classico interrogativo: chi giudicherà? Che anche nell’Università ci sia urgente bisogno di un serio sistema di valutazione contro sprechi e rendite di posizione, non ci piove. Non è affatto sicuro, invece, che la risposta migliore sia quella data dal disegno di legge Gelmini: affidare al mercato le strategie di sviluppo dell’Università e la valutazione della ricerca e della didattica.
Che nemmeno il grande crack finanziario abbia incrinato la fede nell’efficienza dei mercati la dice lunga sulla tenacia dei pregiudizi ideologici, eppure su un fatto dovremmo convenire tutti: il criterio della redditività non può misurare ciò che vale ma non produce utili: non può misurare la cultura, le conoscenze che non si lasciano tradurre in merci, benché (per dirla con la Costituzione) concorrano allo «sviluppo della persona umana». Il ministro Scelba, buonanima, amava definirle «culturame», ma forse si tratta dell’unico indice dello stato di salute di una civiltà.
In Italia i privati investono poco nella ricerca applicata e nulla nella ricerca di base. Forse per questo intendono mettere le mani – peraltro senza contropartite, come rileva Antiseri – sull’Università e la ricerca pubbliche. Alcune Facoltà si salveranno, salvo rischiare di trasformarsi in Centri studi al servizio delle imprese. Ma che fine faranno le discipline umanistiche – gli studi filologici e storici, la storia della letteratura, la filosofia o la glottologia – quando a decidere se attivare o sopprimere un insegnamento saranno (cosa che non accade nemmeno negli Stati Uniti) industriali e banchieri?
Il Governatore Draghi auspica che i membri esterni siano addirittura maggioranza nei nuovi Consigli di amministrazione degli Atenei. È una prospettiva vagamente colonialista: sarebbe d’accordo Draghi se si dicesse lo stesso, a parti rovesciate, per la Banca d’Italia? Comunque la cosa non stupisce: di Raffaele Mattioli se ne incontravano pochi già cinquant’anni or sono e ai giorni nostri è una razza estinta. Stupisce invece che a difendere le ragioni del pubblico sia rimasto solo qualche autentico spirito liberale. Anche questo, evidentemente, è un segno dei tempi: dice quale cultura politica sia oggi egemone, nel nostro Paese, in quella che in passato si chiamava socialdemocrazia.



MASSIMO EGIDI , FABIO PAMMOLLI, SOLE 24 ORE del 6/4/2010 a pag. 15

MAESTRI AL CORSO FLASH D'INGLESE
ALESSANDRA RICCIARDI, ITALIA OGGI del 6/4/2010 a pag. 29

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