venerdì 4 giugno 2010

Riemerge il testo di una lezione di Togliatti alla Normale di Pisa

Con un articolo di Lucio Villari, "Repubblica" dà oggi notizia del ritrovamento del testo di una lezione tenuta da Palmiro Togliatti alla Normale di Pisa nel 1946, un testo successivamente pubblicato da "Rinascita" nel 1967 ma poi dimenticato.
Il commento di Villari ha un intento politico preciso (e anche abbastanza evidente) del quale non va sottaciuto il sapore revisionistico: collocare Togliatti nell'alveo del riformismo, mettere dunque in discussione la natura del Partito Comunista Italiano nel dopoguerra e costruire una tradizione nobile e alta per l'identità culturale del Partito Democratico.
Questa operazione non è condivisibile per due ragioni. Anzitutto, già prima del 1946 Togliatti aveva sviluppato una concezione complessa del rapporto tra socialismo e democrazia. Una concezione che teneva conto della teoria gramsciana della rivoluzione come processo ma anche delle riflessioni leniniane sulla peculiarità di contesto che tale processo fronteggia nelle condizioni di una società sviluppata come quella dell'Europa occidentale. Il "riformismo" togliattiano è cioè, in sostanza, l'idea delle trasformazioni di struttura sostenute dall'azione egemonica di un partito che conquista progressivamente il consenso della società: nulla esso ha a che fare, ad esempio, con il riformismo della Seconda Internazionale contro la quale aveva combattuto Lenin, e che si esprimeva sul terreno della condivisione social-imperialistica del colonialismo europeo. Il riformismo di Togliatti, semmai, si colloca pienamente nell'ambito della riflessione marxista novecentesca e di una progressiva presa di consapevolezza della complessità e dei tempi lunghi del processo rivoluzionario, del suo necessario radicamento nel contesto nazionale e del concomitante sforzo di apprendimento che esso comporta.
In secondo luogo, la lettura di Villari va respinta perché, a maggior ragione, nulla questo riformismo togliattiano ha a che fare con ciò che oggi con tale parola si intende (e con l'uso che ne viene teorizzato e praticato, ad esempio, dal Partito Democratico). Per i socialisti della prima metà del Novecento, ma anche per la socialdemocrazia successiva alla Seconda guerra mondiale, la riforma è qualcosa che ha a che fare con una redistribuzione della ricchezza nazionale ispirata a principi di giustizia sociale: si può dissentire sulla sua efficacia strutturale o sulle modalità ma rimane una cosa nobile. La parola riformismo, tutto al contrario, è invece oggi il mero flatus vocis di un sistema concettuale alla rovescia, di una neolingua con la quale si tenta di dare legittimità politica a operazioni di smantellamento delle conquiste sociali del mondo del lavoro e di quel compromesso tra le classi che aveva caratterizzato il dopoguerra.
Fatte queste precisazioni, va però ringraziata "Repubblica" per aver segnalato questo testo. Gli argomenti che Togliatti tocca - quello dell'identità nazionale, della costruzione della sua identità e del ruolo di Giuseppe Mazzini e di altri esponenti del Risorgimento - sono infatti di particolare rilievo oggi, in un momento nel quale la stessa esistenza dello Stato è nel nostro paese messa in discussione da pericolose tendenze secessionistiche e disgregatrici il cui significato di classe è ben chiaro [SGA].

Ritrovata una conferenza tenuta nel 1946 dal leader del PCI alla Normale
di Lucio Villari, Repubblica, 4 giugno 2010

2 commenti:

Lorenzo Mortara ha detto...

Il riformismo Togliattiano, cioè il suo opportunismo, non si può affatto collocare pienamente "nell'ambito della riflessione marxista novecentesca". Togliatti sta al marxismo come il giorno alla notte. La riflessione togliattiana si colloca semplicemente sul piano della genuflessione a Stalin e a tutte le svolte dettate dalla politica del dittatore georgiano. Lo stalinismo è la natura del Partito Comunista Italiano dopo le tesi marxiste di Lione del 1926. E lo stalinismo è la contro-natura del marxismo. La riflessione togliattiana, meglio sarebbe dire il non-senso di Palmiro Ercoli, non tiene conto né di Gramsci né tantomeno di Lenin, semplicemente li usa come vernice per contrabbandare una merce avariata ai conoscitori approssimativi del loro pensiero e facili da abbindolare.
Il PD è il logico approdo del PCI, esattamente come il logico approdo della burocrazia sovietica è stato il ripristino del capitalismo. Il PCI che ne ha seguito tutte le svolte, non poteva che seguirne anche l'ultima e definitiva.
La differenza tra il riformismo togliattiano e quello della vecchia SPD sta appunto nell'origine diversa dei due fenomeni. La vecchia SPD matura il suo riformismo nella stalla parlamentare borghese e poggia le sue chiappe sul sistema capitalistico. E' l'ultimo baluardo dei padroni prima della disfatta. Il riformismo togliattiano è invece culo e camicia con la pianificazione sovietica su cui poggia la cricca di Stalin. Non si inciucia necessariamente coi padroni per difendere l'ordine capitalistico, ma per salvare la cricca del Cremlino dalle possibili rivoluzioni. Può sembrare una semplice sottigliezza ma è invece una differenza fondamentale. Infatti questa differenza è alla base della diffidenza estrema dei padroni nei confronti dei partiti stalinisti sempre tenuti il più possibile lontano dalle leve del comando borghese. Non così i partiti social-riformisti entrati e usciti come camerieri da tutti i governi borghesi. L'agganciamento storico al modo di produzione socialista differenzia il riformismo stalinista dal social-riformismo agganciato al modo di produzione capitalista. Il risultato è il medesimo, la conservazione dell'ordine borghese, ma premesse e traguardi sono diversi, come diversa è la puzza dell'opportunismo, quasi intollerabile quella dei riformisti, totalmente indecente e vergognosa quella degli stalinisti.

materialismostorico ha detto...

Non sono per niente d'accordo. La mia impostazione è hegelo-marxista e non condivido l'approccio trotzkista.