venerdì 17 settembre 2010

Una lettera a Reppubblica

Cara Repubblica,
Quello che sta succedendo all'Università di Bologna, dove i ricercatori stanno per essere sostituiti dai contrattisti, è già accaduto all'Università di Urbino, dove in alcune facoltà i presidi hanno già messo a bando gli insegnamenti. Saremo dunque surrogati dal primo che passa per la strada, con le prevedibili conseguenze per la qualità della didattica e dell'offerta formativa. Del resto, in un paese in declino come l'Italia - che compete non nei punti alti dello sviluppo ma nella produzione di mutande e tondini di ferro - la ricerca universitaria è un lusso insostenibile e per l'istruzione di massa basta e avanza la televisione.
La rinuncia agli incarichi da parte dei ricercatori è stata neutralizzata nei suoi effetti pratici da una circolare ministeriale che consente agli atenei di affidare a contratto più del 20% degli insegnamenti. Purtroppo, quella CRUI che ai tempi della Moratti minacciava dimissioni in massa questa volta si è presentata divisa (gli "autoeccellenti" a caccia di finanziamenti contro tutti gli altri) e ha ceduto al ricatto del governo: vi restituisco un po' dei soldi tagliati e voi in cambio fate passare il DDL senza troppe proteste. Il DDL, inoltre, divide già a monte il corpo accademico, perché massacra i ricercatori e i giovani mentre rafforza chi è già forte di suo: rettori, presidi e ordinari. Va poi sottolineato il fatto che si tratta di un provvedimento sostanzialmente condiviso da destra, sinistra e Confindustria.
Tutti si riempiono la bocca con la parola meritocrazia: noi ricercatori non vogliamo nessun "ope legis" ma da anni insegniamo gratuitamente e da anni chiediamo di essere valutati. Tutti però si guardano bene dal farlo, perché altrimenti si accorgerebbero che siamo molto più bravi di tanti ordinari e sarebbero costretti a promuoverci.
Paghiamo il prezzo di una lunga gestione dissennata delle Università. Ma un giorno i colleghi capiranno di non aver più nulla da perdere: nessuno può più ricattarli, perché nessuno può più garantire loro qualcosa [SGA].

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