L'apertura del PD a Casini e Fini, con la conseguente derubricazione delle primarie, sembra aver spiazzato la cosiddetta sinistra radicale. In forme differenti - Vendola attraverso le primarie, la FdS attraverso un qualunque straccio di accordo al ribasso -, quest'area puntava infatti sull'alleanza organica con il PD per rientrare nei giochi parlamentari ma si trova adesso davanti al pericolo di rimanere ferma un altro giro. E di dover fare i conti con la propria incapacità culturale di agire politicamente fuori dalle istituzioni e di immaginare forme organizzative diverse.
Tuttavia, la reazione scomposta di quel che rimane della sinistra italiana appare del tutto fuori luogo. Forse per Vendola, che punta alla leadership del centrosinistra e a lanciare un'opa sul PD, le cose stanno un po' diversamente. Ma negli ultimi mesi la FdS ha sempre giustificato la propria svolta a destra e la conseguente ricerca di nuove alleanze politiche integrali con il PD (dopo la catastrofe del Governo Prodi e i finti congressi "autonomisti" del 2008), con la necessità assoluta di battere Berlusconi e il fascismo alle porte. Ma se questo è l'obiettivo fondamentale, non si capisce perché Bersani non dovrebbe cercare di ottenerlo nell'unico modo possibile, attraverso un'alleanza con le forze centriste che può garantire ragionevoli probabilità di vittoria.
Ovviamente, Berlusconi non è il fascismo e la sua sconfitta non è affatto il problema principale. Il dominio capitalistico va ben oltre il berlusconismo e l'apertura di credito al PD da parte di Confindustria lo dimostra. Questa vicenda, allora, finisce per confermare sia la gravità della rottura avvenuta tra la sinistra e la società, sia quella subalternità politica che porterà questa sinistra a scomparire. E' chiaro che anche un eventuale ritorno in Parlamento non cambierebbe assolutamente nulla [SGA].
Se il no di Casini apre al sì di Bersani
Sole 24 Ore, 19 dicembre 2010
Quando si saranno posati i coriandoli dell'euforia e le polveri della propaganda sarà chiaro che Berlusconi si trova a un bivio: tirare a campare con una maggioranza risicata oppure chiedere le elezioni anticipate, incalzato dalla Lega. Non a caso è il campo delle opposizioni quello che oggi registra il maggiore dinamismo perché lì si sta giocando la vera partita.
La prima novità è che Casini ha rifiutato la proposta di Berlusconi di entrare nel governo al posto di Fini. Eppure gli argomenti erano seducenti: disponibilità di nuovi posti nell'esecutivo, benevolenza delle gerarchie ecclesiastiche, ridurre ai minimi termini il partito di Fini e possibilità di edificare una nuova maggioranza a tre gambe. Il rigetto è arrivato nella forma peggiore: Casini ha varato con Fini e Rutelli il Polo della Nazione per coordinare un'opposizione di responsabilità a questo governo, ossia esattamente il contrario di quanto auspicato dal Cavaliere.
La seconda novità riguarda Bersani, il quale ha spiegato che per contrapporsi al duo Pdl-Lega non gli interessa la costruzione di un fronte emergenziale che vada da Vendola a Fini perché, in caso di elezioni anticipate, non basterà battere Berlusconi, ma sarà necessario presentarsi all'elettorato con una proposta di governo credibile e duratura. In secondo luogo, ha lasciato intuire di preferire il nascente Polo della Nazione come interlocutore del Pd, nella convinzione strategica che solo un'alleanza tra riformisti e moderati abbia le carte in regola per sconfiggere Berlusconi e poi governare, affrontando l'attuale crisi di sistema.
Da ciò la disponibilità del maggiore partito di opposizione a individuare un candidato premier che sia il garante di questa alleanza tra riformisti e moderati. Se si sceglierà una figura seria e competente, in grado di assicurare con la sua stessa storia personale la solidità del nuovo patto costituzionale, repubblicano e nazionale, sarà forse possibile chiudere la stagione della demagogia, del giustizialismo e del radicalismo, con le sue varianti populistiche e antipolitiche di destra (Lega e Pdl) e sinistra (Vendola e Di Pietro).Bersani è ora dunque atteso alla sfida riformista, rischiosa come tutte le sfide che richiedono coraggio: la sua storia personale (è stato il ministro delle liberalizzazioni e delle poche privatizzazioni riuscite nella storia italiana) dicono che ha un passato all'altezza, anche se la situazione è difficile perché sarà incalzato alla sua sinistra e dovrà dispiegare le vele democratiche in un mare mosso e aperto in cui l'approdo resta insicuro, pur essendo l'unico possibile. L'alternativa infatti è semplice: in caso di elezioni anticipate, se il terzo polo correrà da solo arriverà terzo riuscendo forse a bloccare il Senato; avremo un Berlusconi azzoppato, ma sempre in sella e un Pd in formato "progressista", alleato con Vendola e Di Pietro, che potrà continuare a organizzare avvincenti primarie all'ultimo sangue, belle manifestazioni di popolo e piacevoli Democratic party estivi. È comprensibile che questo sia il sogno di tanti, a destra come a sinistra, ma non è l'auspicio di Bersani che, per questa ragione, rilancia e non molla il centro del ring: ci sbaglieremo, ma oggi Fini e Casini sono entrambi all'opposizione e quindi più vicini di ieri non solo tra loro, ma anche al Pd. Fino alla prossima mossa.
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