sabato 15 gennaio 2011
Dalle Carrozzerie di Mirafiori un vero e proprio trattato sulla dignità umana
Rete dei Comunisti
Mirafiori. Un risultato per molti aspetti straordinario
di redazione
Per molti aspetti è straordinario il risultato del referendum tra i lavoratori di Fiat Mirafiori. Lo è ancora di più di quanto lo fosse stato quello alla Fiat di Pomigliano D’Arco, che pure aveva mandato un segnale fortissimo di resistenza e dignità operaia di fronte ai ricatti di Marchionne e del suo vastissimo arco bipartizan di complici: sindacati, ministri, partiti politici reazionari e riformisti.
E’ straordinario perché conferma che non è scritto da nessuna parte che i lavoratori debbano solo abbassare la testa, anzi. Due editoriali – uno sul giornale di De Benedetti, l’altro su quello della Confindustria – hanno affermato che la posta in gioco a Mirafiori era la partita del rapporto tra capitale e lavoro. La lotta di classe dall’alto, del capitale contro il lavoro, è feroce e sistematica da almeno tre decenni e molti pensavano di aver vinto la partita già negli anni Novanta. Ma la crisi globale apartasi nel nuovo secolo, ha dimostrato che in qualche modo e un po’ ovunque la partita tra capitale e lavoro si sta riaprendo a tutto campo e in tutto il mondo.
Il risultato del No nel referendum di Mirafiori è, in tal senso, assai superiore a moltissime aspettative, e lo è anche perché a Torino - e proprio a Mirafiori - i segnali inviati negli ultimi anni erano tutt’altro che confortanti sul piano del movimento operaio.
Non pesavano solo l’onda lunga della sconfitta operaia alla Fiat nell’ottobre ’80, della destrutturazione operata su tutti gli impianti Fiat della città-fabbrica per eccellenza o la vera e propria decimazione in termini di lavoratori occupati. Pesavano la solitudine vista ai funerali degli operai bruciati alla ThyssenKrupp o l’assenza degli operai di Mirafiori alla manifestazione nazionale a Torino dei lavoratori del gruppo Fiat nel maggio del 2009, iniziativa alla quale erano giunti migliaia di lavoratori da Termini Imprese, Pomigliano, Val di Sangro, ma in cui si notava l’assenza di “quelli di Mirafiori” convinti dall’azienda o da “corrotti delegati” che i problemi degli stabilimenti meridionali della Fiat non avrebbero riguardati quelli torinesi.
E’ passato poco tempo da quei brutti segnali e gli operai di Mirafiori hanno verificato che la lotta di classe dall’alto contro il basso questa volta ce l’aveva proprio con loro. Se al referendum avesse votato solo chi lavora ai reparti – e che verrà brutalizzato in termini di ritmi di lavoro e di diritti negati dall’azienda – avrebbe vinto il NO all’accordo capestro imposto da Marchionne e dai sindacati complici. La differenza l’hanno fatta gli impiegati, i colletti bianchi, lavoratori salariati anch’essi ma persuasi di essere dei soggetti alla quale l’azienda consente qualcosa in più di chi sta alla catena di montaggio. Eppure anche i colletti bianchi dovrebbero ben rammentare che dopo essere stati strumentalizzati per la “marcia dei 40.000” contro gli operai nel 1980, vennero buttati fuori dalla Fiat senza se, senza ma e senza alcuna riconoscenza negli anni successivi.
Tutti si chiedono cosa accadrà adesso a Mirafiori, a Pomigliano ma anche a Melfi, Cassino, Val di Sangro, in tutti gli stabilimenti dove la Fiat dichiara di voler portare complessivamente la produzione da 700mila a 1milione160mila veicoli per il 2014 e dove soprattutto vuole farlo senza nuovi investimenti tecnologici ma intervenendo pesantemente sui ritmi di lavoro degli operai. Già oggi i lavoratori con ridotte capacità lavorative – certificate dalla stessa azienda - sono il 45% a Melfi o il 28% a Mirafiori dove l’età media degli operai è assai più alta.
Marchionne, che pure ha dichiarato pubblicamente come il “fattore lavoro” incida minimamente sui costi industriali, e dichiara di puntare sulla produttività. Ma questa è una bugia. Vuole solo ridurre al minimo i fattori di resistenza del fattore lavoro azzerando i diritti e le libertà sindacali come avviene negli altri paesi dove è presente la filiera multinazionale della Chrysler-Fiat. In sostanza vuole eliminare l’aspetto politico più che quello economico del problema dichiarando così che la partita dei rapporti tra capitale e lavoro ha una sola soluzione: la sua.
Gli operai di Pomigliano prima e quelli di Mirafiori poi hanno detto chiaro e forte che così non è e non sarà. Per questo c’è bisogno di sostenere con forza e con ogni mezzo la resistenza dei lavoratori Fiat ma c’è soprattutto urgenza di ricomporre il fronte di resistenza politico sociale del lavoro contro il capitale, incluso nell'aspetto della sua rappresentanza politica. Sarà importante in tal senso lo sciopero dei metalmeccanici del 28 gennaio e diventa ancora più importante costruire un vero e forte sciopero generale e generalizzato nei prossimi mesi che cominci a rovesciare i termini del rapporto tra lavoro e capitale nel nostro paese. Ma se non vogliamo che lo sciopero generale diventa una sorta di totem intorno a cui invocare la danza della pioggia, è tempo che anche sul piano politico si dia una svolta sul piano della capacità complessiva della sinistra anticapitalista - e dei comunisti - di porsi al livello adeguato nel conflitto di classe che si sta delineando in modo estremamente nitido.
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