martedì 25 ottobre 2011

Ancora il libro di Rapone su Gramsci. Una polemica

Il libro di Rapone, che pure fa i conti con la complessità delle forme ideologiche al di là degli schematismi, è qui piegato a confermare una tesi che si rifà ad una ben precisa interpretazione revisionistica della storia politica e culturale italiana. La replica di Gravagnuolo [SGA].

Gramsci? Mussoliniano Il leader dei comunisti era vicino al fascismo

Un saggio di Leonardo Rapone, membro del comitato dei garanti della Fondazione Gramsci, ammette le affinità fra il leader comunista e il fascismo
di Marcello Veneziani il Giornale lunedì 24 ottobre 2011, 08:00

Le interpretazioni pericolose. Un saggio di Rapone sugli anni giovanili gramsciani trasformato in rivelazione strumentale da «il Giornale»

Il Gramsci di destra? Mai esistito
Perché l’iniziale radicalismo del pensatore non ha nulla a che fare con Mussolini
di Bruno Gravagnuolo l’Unità 25.10.11

Il titolo è sconcio. Il sommario insinuante. La tesi, semplicemente bugiarda. Ecco il titolo, tanto per capirci: «Gramsci? Un mussoliniano. Parola di Fondazione Gramsci». Parole e musica sono de il Giornale berlusconiano, che premette al tutto una goliardica testatina («falce e moschetto»). E l’articolo è di Marcello Veneziani noto saggista di destra meno rozzo delle premesse slogan. Ma pieno di inesattezze e confusioni tali da «autorizzare» l’operazione in gioco: la parentela tra Gramsci e il fascismo. Il tutto travisando e strumentalizzando un serio lavoro di Leonardo Rapone, storico e membro del Comitato dei garanti della Fondazione Gramsci, il quale ammetterebbe secondo il sommario del quotidiano «le affinità tra il leader comunista e il fascismo». Di che si tratta? Del giovane Gramsci, a cui Rapone ha dedicato un volume per Carocci: Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo.



Qual è la tesi di Rapone? È l’idea di un Gramsci avversario di democrazia parlamentare e giolittismo. Nemico del riformismo socialista e ammiratore di un liberalismo forte autoritario (e conflittuale). E di un Gramsci avverso al pacifismo umanitario, e certo molto diverso dal pensatore carcerario che rovescia le illusioni giovanili in un pensiero ben altrimenti complesso. Ricerca utilissima quella di Rapone, che mette a fuoco alcuni passaggi chiave gramsciani, ma che diventa in Veneziani la caricatura di un Gramsci quasi in camicia nera e compagno di strada del Duce, almeno fino allo scoppio della Rivoluzione di Ottobre. Vediamo uno dei tratti chiave di questa caricatura: l’interventismo bellico di Gramsci nel 1915. Che non vi fu affatto! Laddove vi fu solo uno scritto del 31 ottobre 1914, sul Grido del Popolo nel quale il giovane Gramsci criticava (contro Tasca) attendismo e staticità socialista di allora, auspicando a suo modo una «neutralità attiva ed operante», come quella di cui parlava il Mussolini ancora socialista. Ma declinandola in modo opposto. Come? Come capacità di stare in mezzo agli eventi, per condizionarne il corso senza farsi scippare la scena da un avversario magari vittorioso in guerra, oppure sconfitto, ma pur sempre «dirigente» e al comando delle «cose pubbliche». Tanto è vero che lo stesso Gramsci, che sa di interpretare Mussolini in quel momento, precisa nell’articolo in questione: «...Se almeno io ho interpretato bene le sue (di Mussolini) un po’ disorganiche dichiarazioni e le ho sviluppate secondo quella stessa linea che egli avrebbe fatto».


Gramsci «occasionalista» dunque. Leninista della prima ora. O al più Gramsci anti-Imperi centrali, e non mero pacifista. Ma agli antipodi da Mussolini, anche allora. Talché, né «acerba esercitazione giovanile» o «incidente di percorso», come scrive Rapone. Né cripto interventismo o filomussolinismo, come pare suggerire a riguardo Paolo Mieli, che ha recensito in anteprima, con maggior serietà di Veneziani, il libro di Rapone e che si interroga su quell’articolo.


Altro artificio deformante della tesi di Veneziani sul «Gramsci mussoliniano»: il «filo» con D’Annunzio, Papini, Prezzolini, il futurismo, etc. Quanto al primo, nel 1919 Gramsci cerca politicamente di staccarlo dal fascismo. Ma non se ne nasconde fin da subito la natura piccolo borghese (di massa) e superomistica di provincia (in seguito approfondita nei Quaderni).


Ma più in generale Gramsci, in quegli anni, è attento a tutti i fermenti estetici e culturali di una società nazionale in rivolta contro l’Italia giolittiana: in nome della modernità industriale. Di qui l’interesse per le avanguardie, e per una intellettualità di massa inquieta e sradicata, che non sta dentro i limiti dell’Italia liberale di allora. Gramsci che discutendo con Trotzky difende il futurismo (e in seguito Pirandello) è ben in grado fin da subito di distinguere il segno politico che la cultura assume, nel fuoco degli eventi. Ed è per così dire, già «gramsciano», anche se è ancora estremista. Certo Gramsci legge Croce, Gentile, Sorel e ne rimane influenzato. Ma erano quelli i tramiti del marxismo, in anni di crisi e revisione del marxismo. Ed erano quelli i massimi intellettuali europei in Italia. Gli unici, all’inizio, attraverso i quali egli può «recuperare» un marxismo depurato dal fatalismo positivista, anche se ridotto a idealismo speculativo (Gentile) o a mero «canone di ricerca empirico» (Croce).
E Sorel? Gramsci ne apprezzava lo «spirito di scissione», il conflittualismo anti-utopistico, ma non lo declinerà mai in termini di realismo conservatore e cinico (alla Pareto) e nemmeno ne farà mai un idolo (anzi, nei Quaderni viene iscritto nell’anarco-sindacalismo). Certo, il Gramsci giovane è (a modo suo), massimalista, consiliarista. Ostile alla possibilità di una evoluzione democratica dei ceti subalterni, attraverso parlamento e diritti. E su questo si ritrova su un terreno comune con tutti gli antigiolittiani: Salvemini, Gobetti, Prezzolini, e tutto il massimalismo socialista a sinistra di Turati. E però da un lato i confini con la destra sono chiarissimi fin dall’inizio: quella di Gramsci è una democrazia radicale e di classe non rappresentativa. Dall’altro, come riconosce lo stesso Mieli, egli rivedrà quasi tutte le idee che avevano caratterizzato la sua formazione. Incluso quel certo volontarismo giacobino e non giacobino che avrebbe dovuto creare le condizioni di una democrazia integrale dei lavoratori. Sicché non solo Gramsci teorizzerà gradualismo, libertà e fase democratica. Ma arriverà nei Quaderni persino a rovesciare l’accusa di parlamentarismo a Giolitti nel suo contrario. Così: «È la lotta contro il parlamentarismo da parte di Giolitti e non l’essere egli parlamentarista che ha screditato il parlamentarismo». E poco prima: «Cercò di evitare che il governo diventasse di fatto e di diritto un’espressione dell’assemblea nazionale». Niente male per un vecchio antigiolittiano non democratico...

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