venerdì 30 dicembre 2011

Ancora il libro di Kissinger sulla Cina

UN UNICUM NELLA STORIA «Convinta di avere un ruolo speciale, non ha mai cercato di esportare i suoi valori»"
COEVOLUZIONE CON GLI USA «Entrambi perseguono i loro imperativi nazionali, cooperando dove possibile»"
Kissinger, la Cina è vicina ma non troppo
Un libro dell’ex segretario di Stato americano: l’ascesa del gigante asiatico non mette a rischio l’ordine internazionale
di Vittorio Emanuele Parsi La Stampa 30.12.11 da Segnalazioni

L’etichetta adatta a definire le relazioni sino-americane è più «coevoluzione» che «partnership». «Coevoluzione» significa che entrambi i Paesi perseguono i loro imperativi nazionali, cooperando quando possibile e regolando le loro relazioni in maniera da ridurre al minimo i conflitti. Nessuna delle due parti sottoscrive tutti gli obiettivi dell’altra, né presuppone una totale identità di interessi, ma entrambe cercano di individuare e sviluppare interessi complementari». Sono sintetizzabili in queste poche righe le oltre cinquecento pagine del bel libro che Henry Kissinger dedica alla Cina e al futuro delle relazioni tra il gigante asiatico in ascesa e la superpotenza globale in affanno (Mondadori, pp. 514, 22).
Si potrebbe osservare che una simile visione dei rapporti sino-americani non è poi così diversa da quella che guidò il riavvicinamento tra Pechino e Washington tra il 1971 e il 1972, in piena Guerra Fredda, di cui proprio l’ex Segretario di Stato di Richard Nixon fu il principale artefice. Quella straordinaria intuizione che surclassò per conseguenze strategiche globali la sconfitta americana in Vietnam consentì che, cinque anni dopo, l’inizio dell’era Deng anticipasse di quasi un decennio le conseguenze della fine della Guerra Fredda in Asia orientale. Ciò che trasformò la potenza che più di ogni altra si era proposta di rivoluzionare l’ordine internazionale nella sua più strenua sostenitrice prese cioè avvio proprio da un’attenta valutazione dei propri rispettivi interessi nazionali e nella individuazione di un’opportunità strategica favorevole per due regimi che pur restavano divisi su un’infinità di temi e valutazioni.

Conoscere e capire, non necessariamente condividendo, gli obiettivi cinesi all’interno del nuovo sistema internazionale è il passo necessario per poter evitare che Cina e Stati Uniti si possano ritrovare in rotta di collisione. Apparentemente non potrebbero esistere due attori più differenti di Cina e Stati Uniti. Da un lato «uno Stato già fondato che richiede di essere restaurato e non ricreato di sana pianta», espressione di una civiltà «che sembra non avere alcun inizio», che «compare sulla scena della storia non come un tradizionale Stato-nazione, ma come un fenomeno naturale permanente». Dall’altro una comunità di coloni immigrati che si fa Stato per diventare una nazione creata dalle sue leggi. Da una parte un Paese che esiste senza soluzione di continuità da migliaia di anni e che ha scelto di disinteressarsi del mondo esterno per la più parte della sua esistenza. Dall’altra la potenza che nel corso dell’ultimo secolo ha contribuito più di ogni altra a plasmare il mondo in cui viviamo.
Due potenze simili nella loro eccezionalità, ma diverse nel modo di declinarlo. «Come gli Stati Uniti, la Cina era convinta di avere un ruolo speciale, ma, diversamente da loro, non ha mai seguito il principio universalistico di diffondere i propri valori in tutto il mondo». Occorre porsi nella prospettiva di questo unicum rappresentato dalla Cina, una prospettiva nutrita dalla sua continuità più che bimillenaria, per poter afferrare come l’ascesa cinese non ponga di necessità una sfida all’ordine internazionale e agli Stati Uniti paragonabile a quella generata dalla crescita della potenza tedesca all’inizio del secolo scorso, che costituì una minaccia oggettiva (quasi preterintenzionale) alla «pax britannica».
Anche in questo parallelismo, il libro di Kissinger testimonia ancora una volta dello spostamento dell’interesse strategico americano dall’Atlantico al Pacifico (e, in prospettiva, dal Medio all’Estremo Oriente), espresso con chiarezza in uno dei suoi passaggi conclusivi: «Uno dei grandi successi della generazione che fondò il nuovo ordine internazionale alla fine della Seconda guerra mondiale fu di delineare il concetto di “comunità atlantica”. Non potrebbe, un concetto analogo, sostituirsi alle potenziali tensioni tra Stati Uniti e Cina, o almeno mitigarle? Esso si accorderebbe perfettamente con una realtà concreta: gli Stati Uniti sono una potenza asiatica, e molte potenze asiatiche auspicano che così sia; inoltre risponderebbe all’aspirazione della Cina a un ruolo internazionale».

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