sabato 10 dicembre 2011

Crisi della cultura di massa, postmodernismo e necessità della menzogna. Un'anticipazione da "Marxismo Oggi"

Sarà in libreria la prossima settimana il numero unico 1-2/2011 di "Marxismo Oggi". Il fascicolo è quasi interamente occupato da una mia lunga riflessione sul postmodernismo - sulle sue premesse politiche e sociali e sulle sue conseguenze egemoniche sulla cultura e sul costume nazionale - della quale anticipo qui alcuni brani del capitolo iniziale. In caso di necessità, scrivere alla casa editrice La Città del Sole, Napoli: info@lacittadelsole.net [SGA].

di Stefano G. Azzarà, Università di Urbino

Crisi della cultura di massa, postmodernismo e necessità della menzogna

1) Involgarimento della cultura?

[…] La denuncia della questione morale in Italia si fa, da parte di numerosi intellettuali che non esitano a dichiararsi progressisti, sempre più accorata e si concentra in particolare sulla crisi di senso che essa proietta sulle parole-chiave del nostro lessico civile e politico ma anche sul linguaggio quotidiano, deformato da una semplificazione brutale e da un involgarimento senza precedenti . Non è difficile capire che questi fenomeni così macroscopici sono indice di un più generale stato di crisi e di frattura, prima ancora che del costume pubblico e privato, dei valori condivisi dalla comunità, della cultura nazionale e delle stesse condizioni di una convivenza civile dignitosa […] Rispetto al dibattito oggi in corso mi sembra però necessario introdurre alcuni distinguo. In maniera diretta o indiretta, infatti, gli interventi che più eco hanno avuto riconducono per lo più questa consunzione delle parole, dell’etica e delle relazioni sociali alla presenza deleteria e corruttrice di Berlusconi – e cioè di una nuova forma di potere personalistico e incolto, che nel suo conflitto d’interessi permanente si ritiene al di sopra di ogni legge e pretende di riplasmare anche i significati consolidati portandoli al proprio infimo livello -, o al massimo al “berlusconismo” – inteso genericamente nel suo versante culturale e comunicativo come estrema riedizione dei peggiori vizi italici, dal pressappochismo superficiale all’opportunismo egoista.

Al di là dei rischi di strumentalità impliciti in operazioni che non nascondono il loro intento politico immediato, legittimo ma parziale, questa analisi appare insufficiente. Bisogna infatti dire che Berlusconi e ancor più il berlusconismo e la videocrazia ad esso connessa sono anzitutto espressione di una trasformazione della società italiana in corso ormai da diversi decenni, oltre che attori influenti di questa trasformazione stessa. Ed è perciò dubbio il fatto che, rimosso il colpevole o il correo, il problema svanirebbe come per magia e lo stato della cultura o dell’etica pubblica nazionale tornerebbe ad un’improbabile aurea normalità. Quella parte del paese che respinge l’attuale configurazione neobonapartistica del potere - sebbene non riesca ad aggregarsi in un blocco sociale alternativo di pari compattezza ed efficacia politica - può dirsi poi così immune da quelle forme di “corruzione” linguistica, culturale e persino etica che imputa all’avversario? Esiste in Italia una vera divaricazione antropologica, come qualcuno pensa, o siamo piuttosto di fronte a un problema che riguarda tutti noi, visto che – come sanno gli studiosi del linguaggio – siamo parlati tanto quanto siamo in grado di parlare e, aggiungerei, siamo completamente immersi in un mondo culturale che ci costituisce con la sua egemonia e che non potremo mai padroneggiare nella sua interezza?
Bisogna dunque evitare eccessi di personalizzazione, che non colgono il significato profondo del fenomeno, così come i rinvii ad un improbabile immoralismo o particolarismo perenne delle classi dirigenti nazionali, che pure hanno delle colpe gravissime . Ma per non offrire il destro ai difensori di ciò che difendibile non è, bisogna evitare anche un altro e non meno errato approccio. Il rischio di questo genere di analisi è infatti, di solito, quello della generica denuncia moralistica e dello snobismo aristocratizzante che respinge la cultura di massa in quanto tale […].

La greve «egemonia sottoculturale» che si è affermata pian piano sotto i nostri occhi è però qualcosa di ancora assai diverso dalla cultura di massa, l’indice di una diversa qualità del suo funzionamento o, per meglio dire, di una sua vera e propria crisi […] E’ vero, allora, che siamo oggi nel vivo di una vera e propria battaglia culturale, come ci ricorda opportunamente Vladimiro Giacché. Una battaglia nella quale il senso delle parole viene sistematicamente deformato in molti modi e al di fuori di ogni correttezza etica nei confronti della «verità», sino a rovesciarlo in «menzogna», «il grande protagonista del discorso pubblico contemporaneo». E’ quanto mostra l’evoluzione di due termini centrali nel nostro lessico politico, quali quello di «democrazia» (svuotata di ogni contenuto economico-sociale egualitario e di ogni riferimento alla partecipazione attiva dei gruppi sociali e ridotta ad un formalistico rito elettorale) o di «riforme» (un termine che significa oggi l’esatto opposto di quanto significava in origine e cioè accentramento delle risorse ad esclusivo favore dei ceti dominanti) […] E però in questa battaglia non basta una pur necessaria operazione illuministica di rischiaramento delle coscienze e di diffusione massiccia delle informazioni, come vorrebbero semplicisticamente molti critici “liberal” del monopolio o dell’oligopolio della comunicazione, per ristabilire la «verità» e i fatti.

Non basta, perché alle spalle di questa massiccia ristrutturazione del nostro orizzonte di significati, al di sopra della sua diffusione su vasta scala, della sua penetrazione nel senso comune e della sua retroazione sui nostri comportamenti e sul nostro ethos, si muove una tendenza culturale di lunga durata e di portata mondiale che va ben al di là delle vicende politiche contingenti. Una tendenza che ingloba ormai non solo i Kombinat informativi di tutti gli orientamenti ma anche quelle voci che pretendono – e a volte si sforzano con sincerità soggettiva – di essere indipendenti ma che finiscono loro malgrado per condividere le parole e le idee dominanti. Quella tendenza profonda, cioè, che dagli anni della svolta “postmodernista” ha completamente modificato il nostro modo di praticare e percepire la storia ma anche il nostro modo di riflettere attorno ai concetti generali, con la conseguenza di alterare in profondità il rapporto dell'uomo “postmoderno” con la realtà stessa, condizionando anche chi questa realtà vorrebbe trasformare .
E’ avvenuta, in altre parole, una cesura nell’ambito della sfera ideologica. Uno scarto che ha completamente cambiato il terreno di gioco e che, per essere fronteggiato in maniera non subalterna, deve anzitutto essere compreso nella sua natura e nei suoi rapporti con i mutamenti sociali ed economici (il lungo ciclo restaurativo neoliberale ancora in corso) e con quelli politici (la sconfitta netta, nell’ultimo scorcio del XX secolo, del progetto di trasformazione della realtà di cui erano state protagoniste le classi subalterne novecentesche e, più in generale, gli esclusi dal riconoscimento e dallo spazio sacro della civiltà liberale)…

Continua su "Marxismo Oggi" 1-2/2011.

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