martedì 13 dicembre 2011
Il convegno su Zaslavsky rilancia la leggenda nera
Non si può riabilitare Stalin
di Antonio Carioti Corriere della Sera 12.12.11 da Segnalazioni
Nato nel 1937, il sociologo e storico russo Victor Zaslavsky, scomparso a Roma due anni fa, si era dedicato allo studio del sistema sovietico. E uno dei libri che più lo avevano colpito era Prigioniera di Stalin e Hitler della comunista tedesca Margarete Buber-Neumann (sua la prefazione all'edizione italiana, uscita dal Mulino nel 1994), in cui le analogie tra i regimi dei due tiranni emergevano con nitidezza.
Giusta quindi la scelta di ricordare Zaslavksy con il volume a più voci Società totalitarie e transizione alla democrazia (Il Mulino, pp. 537, € 37), curato da Tommaso Piffer e Vladislav Zubok, nel quale vari autori intervengono su temi riguardanti i sistemi a partito unico. La maggior parte dei saggi concerne la realtà sovietica e postsovietica, ma troviamo anche altro: per esempio un intervento di Emilio Gentile, polemico anche verso il mostro sacro Eric Hobsbawm, che riafferma il valore del concetto di totalitarismo e la sua piena applicabilità al fascismo italiano.
Di grande interesse sono i contributi su Stalin, che fanno piazza pulita dei tentativi di riabilitare il despota georgiano. I suoi apologeti dovrebbero spiegare come mai, nonostante il trionfo in guerra, venne sconfessato dagli ex seguaci a pochi anni dalla morte. Né lo si può presentare come un vero modernizzatore. Non è esatto, nota Oleg Chlevnjuk, che prese la Russia con l'aratro e la lasciò con la bomba atomica. Semmai «Stalin lasciò la Russia sia con la bomba atomica che con l'aratro», perché al progresso negli armamenti, come sottolineava Zaslavsky, corrispondeva una grave arretratezza in altri settori.
D'altronde l'impronta staliniana si sta rivelando duratura. Il regime di Vladimir Putin, sostiene Lev Gudkov nel suo saggio sulla transizione postsovetica, è «la prosecuzione di una delle possibili linee di sviluppo del vecchio sistema» e sta portando a «un crescente degrado sociale e culturale del Paese».
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