domenica 4 dicembre 2011

La BCE deve agire - Vladimiro Giacché su Il Fatto Quotiriano di oggi

Vladimiro Giacché “il Fatto Quotidiano”, 4 dicembre 2011

Secondo la tesi prevalente nelle istituzioni europee per uscire dalla crisi del debito sovrano in Europa sono essenziali rigorose manovre di austerity. E’ vero?
No. “Il momento giusto per effettuare manovre di austerity sono i periodi di espansione, non quelli di recessione”. Queste parole di buon senso, scritte da John Maynard Keynes nel 1937, sono valide ancora oggi. Le manovre di austerity hanno adesso, come unico effetto certo, quello di deprimere la domanda e dunque di rallentare la crescita del prodotto interno lordo o addirittura di portarlo in negativo. E quindi quello di peggiorare il rapporto debito/pil. È la lezione della Grecia, che dopo misure draconiane ha visto crescere il rapporto debito/pil di oltre il 20% in un solo anno.
Il Fondo Europeo salva Stati può essere la soluzione?
No. Sono gli stessi ritardi nell’approntare questo Fondo che lo rendono ormai del tutto inservibile. Avrebbe potuto funzionare quando in crisi era soltanto la Grecia, ma ormai la sua dimensione (440 miliardi di euro) è insufficiente per coprire i vari fronti di crisi, e lo sarebbe anche una dotazione molto superiore. Oltretutto il Fondo, essendo finanziato dagli stessi Stati europei, finisce per rappresentare una gigantesca partita di giro.
Gli Eurobond possono essere la soluzione?
Gli Eurobond sono titoli di Stato emessi a livello europeo e garantiti congiuntamente dai diversi paesi che fanno parte della zona dell’euro. Quindi essi avrebbero un rating (ossia un merito di credito) superiore a quello degli Stati in difficoltà, e di conseguenza potrebbero rendere meno oneroso il servizio del debito (ossia il pagamento degli interessi) per gli Stati in crisi. Di fatto con questo strumento i paesi più forti metterebbero al servizio di quelli più deboli il proprio merito di credito. Ma è proprio questo che non piace al governo tedesco (l’opposizione socialdemocratica è invece favorevole). Allo stato attuale è comunque dubbio che questa misura, da sola, sarebbe in grado di risolvere i problemi.
Sarebbe utile un abbassamento dei tassi di interesse da parte della BCE?
La Bce di Trichet ha fatto un grave errore alzando i tassi di interesse a marzo e poi ancora a luglio 2011, perché ha inasprito la politica monetaria in una situazione già molto difficile (lo stesso errore era stato fatto nel 2008, alla vigilia del fallimento di Lehman Brothers). Draghi ha in parte rimediato all’errore abbassando i tassi d’interesse di un quarto di punto, e non è escluso che a breve possa riportarli al livello a cui erano sino a marzo, ossia all’1%. Ma il primo ribasso dei tassi d’interesse non ha modificato granché la situazione, e non c’è motivo di credere che in caso di ulteriore taglio le cose andrebbero in modo diverso.
Se la BCE diventasse prestatore di ultima istanza potrebbe bloccare l’impennata dei rendimenti dei titoli di Stato?
Sì. Se la BCE dichiarasse di voler comprare illimitatamente titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona, e operasse di conseguenza (se necessario stampando moneta per finanziare questi acquisti, ossia “monetizzando il debito”), la corsa apparentemente inarrestabile dei rendimenti dei titoli di Stato si fermerebbe in pochi giorni. Questo perché nessun grande investitore potrebbe sensatamente scommettere al ribasso in una situazione in cui la Banca Centrale Europea fosse disponibile a comprare illimitatamente titoli, cioè a fare da prestatore di ultima istanza.
Si tratterebbe di un'azione inconsueta per una Banca Centrale?
No. È quanto fanno da anni la Banca del Giappone, la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra. Non a caso, mentre la BCE ha in portafoglio appena il 3% dei titoli di Stato europei, la Fed ha in portafoglio il 13% dei titoli di Stato USA, e la Banca d’Inghilterra addirittura il 20% dei titoli di Stato britannici. Il risultato è che i rendimenti dei titoli di Stato USA sono bassissimi, e che i rendimenti dei titoli di Stato inglesi – nonostante la posizione finanziaria a dir poco precaria di questo paese – sono addirittura inferiori a quelli pagati dalla Germania per i suoi Bund.
Non ci sarebbe il rischio di scatenare l’inflazione?
No. In questi anni la Fed ha acquistato qualcosa oltre 1.600 miliardi di titoli di Stato USA senza alcuna conseguenza in termini di inflazione. Il vero rischio che corrono le economie del continente è quello della deflazione. E una moderata dose di inflazione sarebbe utile, perché consentirebbe di tagliare il valore reale del debito pubblico, alleggerendone il peso. Un’altra possibile conseguenza sarebbe una svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro e delle altre valute, ma l’euro è sopravvalutato rispetto al dollaro dal 2004, e una moderata svalutazione rilancerebbe le esportazioni europee.
Se le cose stanno in questi termini, perché sinora la Bce non ha voluto diventare il prestatore di ultima istanza dell’Eurozona?
Perché lo Statuto della BCE le attribuisce unicamente il compito di mantenere la stabilità dei prezzi (evitare l’inflazione). E anche perché la Germania e altri paesi temono che questa soluzione possa viziare i paesi indebitati, incentivandoli a non mettere ordine nei loro conti (mentre le manovre di austerity che si succedono vengono subito vanificate proprio dall’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato provocati dalla speculazione).
Il risultato è che una crisi di liquidità si sta trasformando in crisi di solvibilità (perché l’aumento degli interessi sul debito finisce per renderlo ingestibile), conducendo numerosi paesi verso il default e verso fallimenti bancari a catena, e l’euro sull’orlo del crollo. Con il rischio concreto di innescare un effetto domino mondiale stile anni Trenta.

EUROLANDIA
La missione impossibile del salvataggio dell'euro, la frana della de-europeizzazione, il cataclisma geopolitico che ne può derivare. Ma con l'austerità non si esce dalla crisi, si produce recessione e depressione. Intervista a Christian Marazzi sulla penitenza dopo l'abbuffata neoliberale e sull'antidoto del comuneIda Dominijanni intervista Christian Marazzi il manifesto 2011.12.03 - 10 CULTURA

Christian Marazzi ha analizzato estesamente la crisi economico-finanziaria che dal 2007 scuote il mondo globale in "La violenza del capitalismo finanziario", un saggio del 2009 pubblicato da Ombrecorte. La diagnosi sul carattere sistemico, globale e storico della crisi cominciata con i subprime americani e oggi nel pieno della sua esplosione europea si lega in questo testo all'analisi della finanziarizzazione del capitale come forma accumulazione simmetrica al processo di valorizzazione postfordista. Tre i principlai punti di insistenza: l'intreccio inestricabile, nel capitalismo contemporaneo, fra finanza ed economia reale; il coinvolgimento a vari livelli, nel processo di finanziarizzazione, di comportamenti e stili di vita comuni e di tutti i ceti sociali, dai rentiers ai salariati ai poveri; le radici politiche del processo stesso, da rintracciare nella risposta del capitale al ciclo vincente delle lotte operaie degli anni 60-70. Alla finanziarizzazione del capitale è dedicato anche "E il denaro va. Esodo e rivoluzione dei mercati finanziari" (Casagrande/Bollati Boringhieri 1998). Altri titoli di Marazzi sono "Il posto dei calzini. La svolta linguistica dell'economia e i suoi effetti nella politica"(Casagrande/ Bollati 1999, di recente tradotto negli Usa), "Capitale & linguaggio. Ciclo e crisi della new economy" (Rubettino 2001) e "Capitale &linguaggio. Dalla new economy all'economia di guerra" (DeriveApprodi 2002).

Nessun commento: