venerdì 16 dicembre 2011
Nunzio Dell'Erba su "A morte il tiranno" di Erika Diemoz
Un libro che «violenta» la ricerca storica. Anarchia e violenza
di NUNZIO DELL’ERBA
Pubblicato su raccomandazione di Sergio Luzzatto, che – come dice l’autrice – «ha vegliato con occhio attento così l’evolversi di questo lavoro sulla violenza anarchica, come ogni altro passo compiuto nel campo della ricerca» (p. 364), il libro A morte il tiranno. Anarchia e violenza da Crispi a Mussolini (Einaudi, Torino 2011) di Erika Diemoz vuole essere una ricostruzione storica della violenza anarchica che si scatenò in Italia (e in Europa) tra la fine del XIX secolo e i primi lustri di quello successivo. Esso, prima di essere distribuito nelle librerie, è stato presentato con grande risalto da Paolo Mieli, il quale sul «Corriere della Sera» lo ha salutato come «un libro assai interessante», evitando di sviluppare il tema centrale relativo al complotto anarchico e preferendo porre l’accento più sugli artefici che sui mandanti (4 ottobre 2011, n. 235, pp. 44-45.).
La lettura del libro lascia invece esterrefatti per la mole imponente di errori storici (nomi storpiati, date sbagliate dei libri riportati in nota, pagine copiate), per la citazione di volumi estranei al tema trattato e per la dimenticanza di altri più importanti (per esempio G. Guilleminault e A. Mahé, G. Woodcock, J. Joll), in una ricostruzione non sempre attendibile della connessione tra anarchia e violenza quale si manifestò in Italia durante gli anni che vanno dal dominio politico di Francesco Crispi a quello di Benito Mussolini. Così per esempio Z. Ciuffoletti diventa «Ciuffolotti» (p. 263 nota 152); lo storico messinese S. Fedele è sdoppiato e i suoi libri sono citati ora con il nome e ora con il cognome, credendo l’autrice che si tratta di due persone diverse; (p. 304, nota 20; p. 309, nota 45; p. 315, nota 64): errore ripetuto nell’indice dei nomi (p. 304 e p. 372).
L’autrice non spiega come sia sorta la cosiddetta «propaganda del fatto» e sostiene con faciloneria che le ragioni del terrorismo devono essere collegate al fascino esercitato negli ambienti culturali del simbolismo e del decadentismo, nell’acuirsi del conflitto sociale e «nel crescente isolamento politico dell’anarchismo» (p. XIII): aspetti che non sono spiegati e lasciano il lettore incredulo di fronte a certe sue affermazioni. Nel primo capitolo l’autrice ricostruisce l’attentato che Francesco Crispi subì il 13 settembre 1889 da parte dell’anarchico Emilio Caporali (1868-1937), dilungandosi su fatti già noti e rilevando particolari irrilevanti come il nome del vetturino che guidava la carrozza o quello del prete che accorse per bloccare l’anarchico pugliese. Anzi incorre in errori piuttosto gravi: al momento dell’attentato il partito repubblicano non era ancora sorto (sarà costituito nel 1895); il «Corriere della Sera» non può essere considerato un giornale filo-crispino e la sua sede non era in «via Solferino», ma al numero «14 di via Pietro Verri, in una proprietà di Benigno Crespi».
Negata ogni forma di complotto e qualsiasi complicità nell’attentato a Crispi, l’autrice sposta la sua analisi al 1878 e commenta il gesto di Giovanni Passannante, che cercò di uccidere il re Umberto I, ma non offre elementi nuovi sulla dinamica dell’attentato; come distorta è la presentazione degli attentati compiuti dal lattoniere (e non «lattaio») Heinrich Max Hödel e dell’intellettuale Karl Eduard Nobiling contro Guglielmo I. In questo contesto, rievocato con scarsa perizia storica e raffigurato spesso con un linguaggio contorto e sibillino, l’autrice commette una sfilza di errori: per esempio attribuisce alla «testimonianza» di Ettore Zoccoli l’ipotesi dell’esistenza di una fantomatica trama sovranazionale, quando questi si limita a riportare il pensiero di Pëtr Kropotkin, che nelle sue memorie aveva attribuito ai governi europei l’ipotesi di «una cospirazione internazionale» guidata dalla «Federazione anarchica del Giura». La vicenda biografica di Emidio Recchioni (1864-1934), a cui l’autrice dedica pagine eccessive, è ricostruita sulle carte di polizia, riprese con scarso senso critico e consultate in modo frettoloso: nulla è detto sul suo contributo all’opuscolo I Morti, pubblicato il 2 novembre 1899 ad Ancona, ma invece si dilunga su particolari irrilevanti come la composizione familiare, le avventure sentimentali, i gusti alimentari e le attività commerciali svolte a Londra durante il suo soggiorno inglese; sottolinea che nel marzo 1915 Recchioni firma il Manifesto internazionale anarchico contro la guerra per avviare la propaganda antimilitarista, ma non chiarisce il suo atteggiamento propagandistico «contro le forze dell’Intesa»
Dopo alcune divagazioni storiche, disposte secondo un piano cronachistico e incentrate su argomenti e vicende presentati senza alcun nesso logico, l’autrice non dice nulla sull’attentato di Augusto Masetti, ma la cosa più grave è la scarsissima attenzione - mezza paginetta - sul più grave attentato compiuto dagli anarchici la sera del 23 marzo 1921 al teatro Diana di Milano, che causò la morte di ventuno persone e un centinaio di feriti. Sulla strage del teatro Diana, l’autrice confonde il libro dello storico ferrarese Vincenzo Mantovani, che ne ha ricostuito la storia, con uno degli attentatori per quel richiamo generico «Si vedano inoltre le memorie» (ivi, p. 289) posto dopo la citazione del libro. Per il volume dello storico ferrarese cfr. V. Mantovani, Mazurka blu. La strage del Diana, Milano, Rusconi, 1979. Per quello dell’attentatore si veda G. Mariani, Memorie di un ex-terrorista, Torino, Arti Grafiche F.lli Garino, 1953
Archiviato in poche righe l’attentato del Diana, l’autrice retrocede la sua analisi, ripercorrendo la vicenda biografica di Luigi Galleani (1861-1931), ma copia alcuni brani da me scritti per il «Dizionario biografico degli Italiani» (vol. 51) sull’omonima voce (si veda per esempio la p. 657 della mia voce biografica e la p. 305 del libro). Un’altra pagina copiata riguarda l’attentato di Pietro Acciarito (1871-1943) contro il sovrano, tratta dal mio libro Giornali e gruppi anarchici in Italia (1892-1900) (Franco Angeli, Milano 1983) e ripresa con alcune leggere varianti; si veda la p. 101 del mio libro e la p. 167 del libro della Diemoz). Sulla figura di Errico Maltesta commette diversi errori, tra i quali il più eclatante riguarda il ferimento di Malatesta a West Hoboken, dove il 30 agosto (e non il 12 novembre) 1899 fu ferito a una gamba da un anarchico individualista e rimase salvo per l’intervento immediato del futuro regicida. Di fronte alla «settimana rossa» (7-14 giugno 1914) e alla contrapposizione tra «interventisti» e «neutralisti», come si pone nel variegato mondo del sovversivismo italiano, l’autrice offre un quadro sommario dell’atteggiamento degli anarchici verso il primo conflitto mondiale. Ma se poi si passa agli attentati compiuti durante il fascismo, l’autrice non aggiunge nulla di nuovo: sia quello compiuto da Gino Lucetti (1900-1943) sia quello mancato di Angelo Sbardellotto (1907-1932) contro Mussolini è ricostruito in forma cronachistica, ma sbaglia anche i nomi dei presunti complici di Lucetti come Stefano Vatteroni diventato «Stefano Zatteroni».
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3 commenti:
grande nunzio! te lo dice chi è stato trombato a causa di luzzatto. avevo un contratto con einaudi che, via romano, è stato ricusato senza che avessi presentato le bozze del libro. fuori io, dentro l'allieva di luzzatto (che sicuramente non mi ama, perché dice che non sono come lui...)
in realtà è allieva di barberis walter ( ha fatto poi il dottorato a genova) ... romano andrea è andato via da tempo da einaudi ( e non sono volate parole dolci con l'Einaudi e i suoi pezzi grossi - compreso barberis - ... non si amavano, ecco)
Le reti di relazione son cosa delicata e sottile - mentre nunzio - dal suo punto di vista giustamente - cita la fonte: una giovane studiosa che riverisce lo storico importante del dottorato di genova - ma sul maestro vincenzo sbaglia persona e non è questione di "pettegolezzo" ... riconosco anzi molto valore alle reti di relazione e in questo caso diamo un nome al "maestro" che ha trovato allieva sicuramente coscienziosa ( nel senso che "lavora" e produce) ma non certo - sembrerebbe - brava come la rete di relazione sembrerebbe dover assicurare e non è certo caso unico o raro. anzi
(dalla Francia) Buongiorno. Facendo oggi ricerca in una biblioteca del mio paese, dove giungono dei libri di questo tipo, ho fatto richiesta di quello là e appena avendolo ricevuto sul mio tavolo ero gia convinto, di cio che è ricordato qui sopra... Poi, e trattandosi di andare al di là di una "prima impressione" talvolta erronea, ho verificato le pagine 325-330 dedicate al caso che credo di conoscere cioè quello di Schirru e presto mi è apparso che la divagatrice non aveva fatto... neanche l'inizio (!), di una ricerca : non faceva che ingenuamente ricopiare cio che è stato scritto nel periodo recente da altri divagatori (Galzerano e Serventi Longhi) nel 2006 e 2007. Ed è cosi che si legge per esempio p. 326 che il 17 ott. 1930 Schirru scrisse una lettera "mentre si trovava in Provenza" : questo non è che un'asinità del mistificatore Galzerano (va da sé che il 17/10 Schirru era da molto tempo a Brussele). Poi si legge p. 327 : "non sappiamo se e come Recchioni abbia risposto alle richieste del compagno sardo proveniente dell'America". Tanto non parlarne... e forse non ne avrei neanche parlato io se non fosse scritto sulla quarta di copertina che l'autore "ha conseguito il dottorato in Storia contemporanea all'Università di Genova". Certo l'Università ne ha visto delle altre, in Italia come altrove, pero ne sono ancora stupito.
Cordialmente
L. Nemeth
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