sabato 31 dicembre 2011

Riti di passaggio nell'epoca del nichilismo compiuto

Dodici giorni per rifondare il mondo
Il rito del nuovo inizio esiste da sempre. Ma ormai celebra l'energia della tecnica
di Emanuele Severino Corriere della Sera Corriere della Sera 31.12.11 da http://www.segnalazioni.blogspot.com/

Da centinaia e migliaia di anni prima della nascita di Cristo, vi sono dodici giorni, in ogni ciclo delle stagioni, che i popoli arcaici considerano sacri. I giorni dedicati alla rifondazione del mondo. Nelle società cristiane sono quelli che vanno dal Natale all'Epifania. Nel loro mezzo, il Capodanno, festeggiato dovunque. Soprattutto in quei dodici giorni, già quei popoli agiscono per ricostituire l'integrità e la vita del mondo, consumate e perdute durante il tempo che veniva chiamato l'«anno». Ripetono la creazione originaria compiuta dagli Dèi o dal Dio supremo.

Oggi i popoli credono sempre meno nel divino; ma la loro cultura dominante ne ripropone, sia pure in modo profondamente diverso, i tratti essenziali. Tale cultura è la tecnica scientificamente orientata e controllata dalla produzione capitalistica della ricchezza. La produzione di beni e di merci richiede «energia». Il consumo di «energia» ne richiede il rinnovo, la reintegrazione. Richiede la ricostituzione del suo «fondo». La «rifondazione» del ciclo energetico ripropone la ripetizione umana della creazione divina. Il Capodanno può essere anche la festa del ciclo energetico.

Noi capiamo subito che l'«energia» si consuma e dev'esser rinnovata. Ma perché quegli antichi sentono il bisogno di rifondare periodicamente il mondo? Se non si risponde, anche l'analogia tra tecnica e rifondazione mitica del mondo rimane sospesa nel vuoto.

Eppure quel bisogno è molto meno stravagante di quanto possa sembrare. Per rispondere alla domanda che ci siamo posti incomincia a venire in aiuto il concetto di «volontà» (un aiuto di cui non si approfitta adeguatamente non solo da parte delle scienze dell'uomo). Poi indicherò come le implicazioni di questo concetto siano in grado di spiegare il bisogno di cui stiamo parlando — che non è per noi irrilevante, ma è anche il nostro, e il più importante di tutti: il bisogno di vivere.

Volere è voler fare diventar altro il mondo (le cose e sé stessi). Se non si vuole e si resta immobili, si muore. La volontà è la vita. Ma quando la volontà apre gli occhi non ottiene subito ciò che vuole. Si trova di fronte a qualcosa che non si lascia smuovere e trasformare: l'Inflessibile. Per il singolo è l'ambiente familiare e sociale; per i popoli arcaici è ciò che noi chiamiamo «natura», ma che a essi si presenta, appunto, come la barriera di fronte alla quale l'uomo si sente impotente e muore; e in cui la sua volontà deve tuttavia aprirsi un varco per riuscire a ottenere il voluto e dunque per vivere. Un varco nella barriera dell'Inflessibile, che si presenta alla volontà come la dimensione della Potenza suprema, demonica, divina.

Nell'atto stesso in cui l'Inflessibile acquista per l'uomo il volto del divino, in quello stesso atto l'uomo, per vivere, deve quindi flettere l'Inflessibile, forzarne e penetrarne la barriera, spezzarlo, squartarlo. Deve ucciderlo. Volendo essere «come Dio» Adamo vuole uccidere Dio. Mangiando il frutto che lo rende «come Dio» Adamo mangia Dio. Accade così che, avvertendo il proprio essere deicida, l'uomo si senta colpevole, in debito. Il bisogno di vivere diventa bisogno di espiazione.

Ogni giorno, ogni ora, ogni istante facciamo esperienza di ciò che, per vivere, la volontà richiede. Se il mondo ci stesse davanti come un unico blocco che non si lascia spezzare, ci spegneremmo subito, la volontà, per ottenere, ha bisogno di spezzarlo, di agire sui frammenti, sulle parti del blocco. L'agire richiede l'isolamento delle parti dal blocco e tra di loro. Oggi si crede che anche la conoscenza sia «seria» solo se fa conoscere parti del mondo, non il «Tutto», vanamente inseguito dalla vecchia sapienza filosofica. La scienza chiama «specializzazione» la propria conoscenza delle parti. E la tecnica, da essa guidata, agisce sempre su parti. (Anche l'arte si chiude nel «frammento»). Adamo che vuol uccidere Dio ha già un'anima tecnica. La tecnica ha un'anima teologica. E il senso di colpa affiora anche nell'uomo della civiltà della tecnica, ben al di là della preoccupazione per la propria incapacità di realizzare uno «sviluppo sostenibile».

Per quanto ci dicono le scienze storiche si può dire che ogni forma della religiosità arcaica (e monoteistica) abbia al proprio centro il mito in cui lo smembramento del Dio è la condizione dell'esistenza del mondo. Dall'Oceania alla Mesopotamia, dall'India alle popolazioni germaniche e alle società greco-cristiane, i miti raccontano la creazione del mondo come effetto del sacrificio originario di un Dio, di una Dea, di un Eroe, di uno sposo o di una sposa del Dio: Hainuwele (Nuova Guinea), Tammuz, Dumuzi, Tiamat (Mesopotamia), Ymir (presso i Germani), Purusha e Prajapati (India), Osiride (Egitto), Dioniso (Grecia), Cristo.

La creazione del mondo è lo squartamento del Dio, che diventa cibo dell'uomo. L'uomo vive solo in quanto usa, consuma, gode le membra, le parti del Dio. Anche la morte di Cristo sulla croce rende possibile la rifondazione, la rinnovata creazione del mondo che era andato consumandosi e morendo in conseguenza del peccato. E nella Genesi si dice che Dio «si riposò nel settimo giorno da tutto il lavoro che aveva fatto» e da cui era stato dunque consumato e indebolito.

Ma il divino rimane pur sempre la fonte della vita. L'esaurirsi della fonte è la morte dell'uomo, così come lo era l'inflessibilità originaria del divino. E la morte è il pericolo estremo da cui ci si deve difendere. Diventa quindi necessario che si restituisca al divino quel che gli si è tolto e che tuttavia è stato consumato e non c'è più. È a questo punto che il genio religioso deve inventare il sacrificio compiuto dall'uomo (che assume anche la forma del sacrificio dell'uomo) come ripetizione del sacrificio divino e dunque come rifondazione del mondo. Acquisterà le forme più diverse, nei tempi e nei popoli, ma l'essenza della ripetizione del sacrificio divino e della fondazione divina del mondo è la consapevolezza della necessità che, per continuare a vivere, non venga spenta la fonte della vita.

Quando ci si convince che qualsiasi vittima offerta dall'uomo al Dio è radicalmente incapace di assolvere il compito gigantesco che le si assegna, allora diventa necessario credere che sia Dio stesso a farsi uomo e vittima con la quale Dio restituisce a se stesso quello che la violenza e il peccato dell'uomo gli ha tolto. E quando la filosofia, volendo «dire e fare cose vere», si porterà oltre il mito da cui è preceduta (e da cui sarà seguita), le sue prime parole (quelle di Anassimandro) diranno che il mondo, separandosi dal divino, dovrà necessariamente dissolversi in esso, scontando la pena dell'«ingiustizia» commessa con tale separazione — dove la separazione dal Dio è l'eco dello smembramento — sacrificio mitico del divino, e la pena da scontare è l'eco della ripetizione umana di tale sacrificio.

Quando, infine, nel nostro tempo, non si crederà più né negli Dèi del mito né in quelli della «verità», e la lotta contro la morte sarà affidata soprattutto alla Potenza suprema della tecnica, allora al consumo di questa Potenza, cioè al suo sacrificio, dovrà corrispondere una civiltà in cui le saggezze e sapienze del passato, per quanto grandi e nobili, dovranno sacrificare ogni loro aspirazione al dominio del mondo, e cioè non contrastare il potenziamento indefinito della Tecnica.

Sin dagli inizi della storia dell'uomo il giorno del Capodanno, rifondando il mondo e aprendo un nuovo ciclo alla vita, si sbarazza dell'anno vecchio, della «vecchia terra», ricolmi delle colpe degli uomini; e li lascia cadere nell'oblio. (Accade anche nel grande Capodanno dell'Apocalisse di Giovanni, dove l'«anno» della vecchia terra viene diviso da quello della nuova).

Oggi il Capodanno «rievoca» soltanto le vicissitudini della volontà: non le rivive.

Ma a questo punto la questione decisiva rimane ancora tutta da esplorare. Riguarda appunto il senso autentico della volontà — alla quale invece ci si affida come alla cosa più sicura del mondo. Non si scorge che la storia della volontà si svolge interamente al di fuori di quel senso.

1 commento:

comunitamontetabor ha detto...

 
Ieri EmanueleSeverino ha pubblicato sul Corriere della sera un interessante articolo dove legge l'anno che muore e soprattuto i dodici giorni che vanno da Natale all'Epifania come il tempo in cui esaurita l'energia dell'anno, si sente forte, in quello nuovo,l'esigenza di un recupero. L'uomo, dice, ha sempre voluto cambiare il mondo che però gli resiste in modo inflessibile. La vita tuttavia è legata al cambiamento e alla non rassegnazione di fronte a ciò che si presenta immodificabile. E così fu per Adamo che si trovò di fronte all'immutabile Dio e alla necessità per vivere di andargli contro mangiandoselo ( Dio nel frutto proibito ). Severino dice ancora che per far ció l'uomo ha bisogno di far agire la sua volontà. Grazie ad essa il mondo può essere rinnovato ma agendola in questo modo l'uomo si sente in colpa e da qui il racconto della caduta originale o di cose simili  di cui in abbondanza abbiamo traccia nei miti. Per esigenze di spazio qui la ricostruzione dell'articolo è troppo sintetica per cui vi invito a leggerlo per intero. Ciò che mi sento di opporre alla ricostruzione severiniana è che l’uomo si sia trovato all’inizio di fronte ad un 'inflessibile,, come dire che Adamo non poteva non peccare: se voleva vivere doveva disobbedire a Dio. Al fondo di questa visione c'è la presentazione di un Dio cattivo che mette l'uomo in una situazione così tragica da cui non può uscire che tradendo la fiducia che Dio aveva riposto in Lui. Oggi è la festa di Maria, madre di Dio, e cioè di colei che usando la sua volontà si è comportata in modo radicalmente diverso. In Maria diventa evidente che quella di Adamo ed Eva fu una decisione davvero libera e non costretta da alcuna necessità. E se non ci fosse stata Maria forse avremmo potuto pensare come Severino e cioè che l'uomo non aveva altra scelta che quella di trasgredire. Maria invece con il suo 'Fiat' ci ha dimostrato che l'inflessibiltá dell'Altro è solo una invenzione dell'uomo colpevole che così ha trovato davanti ai suoi stessi occhi una bella giustificazione al suo operato. Maria con il suo 'sì ha davvero ed in modo definitivo contribuito al vero rinnovamento del mondo riconsegnandoci l'immagine di un Dio buono e giusto. Severino in questo articolo ha il merito di aver focalizzato l’attenzione sulla volontà come fonte di scelta per vivere solo che la vede in senso unico e cioè come un forzare il mondo che gli si fa incontro.Ora Maria al Dio che chiedeva d’essere da lei generato non ha forzato niente ma lo ha solo accolto permettendo al mondo stesso di non finire in modo tragico. In questo fine ed inizio d'anno dunque riconciliamoci con Dio e troviamo che   spesso   l'aver pensato a Lui in modo ostile non solo non ci ha aiutato ma  ha reso più  insopportabile la nostra vita.

Michele Sebregondio