venerdì 30 dicembre 2011

Stato d'eccezione, controllo sociale e colpi di Stato tecnocratici

Massimiliano Guareschi, Federico Rahola: Chi decide? Critica della ragione eccezionalista, Ombre Corte

Guantanamo, il Patriot act, le extraordinary rendition, ma anche i centri di detenzione per migranti, l'abuso della decretazione d'urgenza, lo strapotere della protezione civile, per non parlare delle global wars o del conflitto israeliano-palestinese: se il presente si definisce intorno agli imperativi dell'emergenza e della sicurezza, l'eccezione sembra costituirne la chiave di lettura privilegiata. Ma davvero viviamo in uno stato di eccezione permanente e generalizzato? Parlare di eccezione chiama in causa un atto che sospende temporaneamente un dato ordinamento, identificando un soggetto sovrano che decide. Di tutto ciò è difficile trovare traccia nella crisi in cui precipita oggi ogni possibile distinzione fra interno/esterno, guerra/pace, militare/civile, pubblico/privato. Nasce da qui la necessità di una critica che, attraverso una lettura innovativa di Carl Schmitt e Walter Benjamin e l'analisi degli strappi allo stato di diritto che caratterizzano gli ultimi decenni, incrina l'apparente unanimità con cui ci si appella alla ragione eccezionalista per dar conto delle anomalie del presente. Chiedersi "chi decide?", infatti, significa intraprendere un esercizio di immaginazione geografica, un percorso tra le cartografie sovrapposte e le sovranità multiple che definiscono la governance globale, per scoprire una trama complessa di attori, norme e procedure che si rivela irriducibile a ogni racconto fondato sullo stato di eccezione.

MICHELE CILIBERTO, L'UNITA' del 28/12/2011 a pag. 1

SAGGI - «Chi decide?», un libro di Massimiliano Guareschi e Federico Rahola
La critica allo «Stato d'eccezione permanente» che porta allo svuotamento della sovranità nazionale e all'individuazione di un nemico ignoto e tuttavia temibile. Il terrorismo negli anni passati, il debito pubblico nei nostri giorni
APERTURA - Roberto Ciccarelli il manifesto 2011.12.29 - 11

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