Inflammare necesse est
Métron àriston” insegna Pitagora: in ogni cosa la misura è aristocratica, in quanto avvicina all’archetipo divino. Ogni eccesso è corruzione dell’anima, allontana dalla conoscenza che è visione di forme perfette. Quando l’uomo primevo della civiltà mediterranea non ebbe più la facoltà del contatto immediato con il sacro, prese a figurarsi la Natura degli Dei sotto sembianze antropomorfe: con la potenza della parola, con il ritmo del carme, evocò le forze abissali del Cosmo per racchiuderle in un cerchio magico; le trasfuse nel legno scolpito (accumulatore solare), nel marmo (accumulatore di luce), nel bronzo (accumulatore di fuoco), affinché l’armonia del Gran Tutto trovasse luoghi prescelti ove manifestarsi. Nacque così il Bello: un coro di linee luminescenti e serene composte in euritmia, equilibrio delle parti, calma nobiltà statuaria. Poiché “la virtù, la salute, ogni bene e Dio sono altrettante armonie; perciò ogni cosa consiste di armonie” (Diogene Laertio). Gli Elleni hanno costruito su questa base una Scienza del Bello, un culto ideale fondato sull’equivalenza della bellezza e della virtù (kalokagathia) secondo il quale il dato estetico, l’opera d’arte così come la grazia nelle proporzioni umane, non è altro che il riflesso di un fatto psichico. Secondo Platone, come la mancanza di grazia, di numero e di armonia è il contrassegno di un cattivo spirito e d’un cattivo cuore, così le qualità opposte sono l’immagine e l’espressione d’un cuore ben nato. Il filosofo ateniese sapeva che nessuno poté (e può) accedere al primo sodalizio pitagorico senza aver prima superato un rigido esame fisiognomico, giacché le forme parlano anche nella loro muta espressione...
Nessun commento:
Posta un commento