martedì 10 gennaio 2012

L'edizione integrale della Storia della follia e la traduzione dell'ultimo Corso al Collège de France

Michel Foucault: Storia della follia nell'età classica, nuova edizione a cura di M. Galzigna, Rizzoli, Milano 2011

Michel Foucault : Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri II. Corso al Collège de France (1984), Feltrinelli, Milano 2011

Da ibridamenti.com: A cinquant’anni di distanza dalla sua prima uscita (Folie et déraison. Histoire de la folie à l’âge classique, Plon, Paris 1961) viene finalmente pubblicata una nuova versione italiana integrale – curata e introdotta da Mario Galzigna – del grande libro sulla follia scritto da Michel Foucault (1926-1984). Questa nuova edizione italiana colma le lacune e le omissioni delle traduzioni italiane precedenti e include anche la prefazione del 1961, che Foucault aveva voluto eliminare già a partire dalla seconda edizione francese (Gallimard, 1972).
Si tratta di un evento editoriale della massima importanza, soprattutto nell’attuale congiuntura politica e filosofica, segnata da un crescente e rinnovato interesse per l’opera di Foucault: un interesse favorito anche dalla pubblicazione, ancora in corso, dei suoi Corsi al Collège de France (1970-1984). L’ultimo corso del 1984, Il coraggio della verità – in libreria nei prossimi giorni grazie all’edizione feltrinelliana curata da Mario Galzigna – mette in primo piano l’antagonismo del cinico: un’alterità indomabile, altrettanto radicale quanto lo è stata, in epoca moderna e contemporanea, l’alterità irriducibile del folle.

Da variazionifoucaultiane.blogspot.com: "La parrēsia è, in poche parole, il coraggio della verità di colui che parla e si assume il rischio di esprimere, malgrado tutto, l'intera verità che ha in mente; ma è anche il coraggio dell'interlocutore che accetta di accogliere come vera la verità oltraggiosa da lui sentita." Quello del 1984 è l'ultimo corso tenuto da Michel Foucault al Collège de France. Già malato, comincia le lezioni solo a febbraio per terminarle alla fine di marzo. Muore pochi mesi dopo, il 25 giugno. Queste circostanze gettano una luce particolare sul corso, che si è portati a leggere come una sorta di testamento spirituale.
Quello del 1984 è l'ultimo corso tenuto da Michel Foucault al Collège de France. Già malato, comincia le lezioni solo a febbraio per terminarle alla fine di marzo. Muore pochi mesi dopo, il 25 giugno. Queste circostanze gettano una luce particolare sul corso, che si è portati a leggere come una sorta di testamento spirituale, dove il tema della morte ricorre frequentemente. Il corso prosegue e radicalizza le analisi condotte l'anno precedente.
Anche qui, la domanda centrale ruota intorno alla funzione del "dire-il-vero" e al ruolo che la verità riveste nell'ambito della politica e dei rapporti di potere. Si tratta in sostanza di stabilire, nell'ambito della democrazia, un certo numero di condizioni etiche che sono irriducibili alle regole formali del consenso ma che fanno appello alla dimensione morale individuale: il coraggio di fronte al pericolo e la coerenza. Foucault ritorna alle radici della filosofia greca, rivalutandone l'idea di democrazia contrapposta a ogni forma di tirannia, antica e moderna. Nella morte di Socrate non emerge la paura di morire, ma l'angoscia di non poter portare a compimento la propria "missione essenziale", il compito che dà senso a una vita. Attraverso una rivalutazione del pensiero dei cinici – del cinismo antico e delle sue "posterità" moderne e contemporanee – viene sottolineata sia l'importanza di un radicale ritorno all'elementarità dell'esistenza sia lo "scandalo della vita vera": al tempo stesso provocazione pubblica e pratica filosofica, che comporta un accoglimento dell'essenzialità delle cose; si tratta di una vita scandalosa, inquietante, antagonista; una vita ai margini, ma anche una vita che costituisce la critica del mondo esistente e sostiene al tempo stesso l'appello a una vita "altra".
Follia e potere, così tutti lo citano senza conoscerloNostalgia di Foucault
Cinquant´anni fa usciva uno dei libri più importanti e più pubblicati del pensatore francese Eppure ancora oggi, nonostante gli studi, le sue lezioni non sono state capite fino in fondo. Il rapporto con lui spesso si è limitato ai convegni e agli omaggi evitando di affrontare i nodi del suo pensiero
di Pier Aldo Rovatti Repubblica Repubblica 7.1.12  da Segnalazioni.blogspot.com

Il 1961, poco più di cinquant´anni fa, fu un´annata eccezionale. Esce Folie et déraison di Michel Foucault (ovvero la Storia della follia nell´età classica), il primo dei suoi grandi libri, il capolavoro. Ma escono anche altri libri epocali come I dannati della terra di Frantz Fanon e Asylums di Erving Goffman. Tutto sembra girare attorno alla condizione del malato mentale e alla critica delle istituzioni psichiatriche, e bisognerebbe ricordare anche che nello stesso 1961 Franco Basaglia inizia a Gorizia quella straordinaria avventura che porterà alla chiusura del manicomio di Trieste e alla "legge 180". Ma c´è molto di più, qualcosa come un cambiamento di passo nella consapevolezza culturale, proprio grazie a una riflessione radicale sugli internati e sugli esclusi.
La Storia della follia di Foucault venne subito tradotta in italiano, non scomparve mai dalle librerie, e adesso disponiamo anche (e finalmente) di un´edizione completa, senza tagli né omissioni (sempre per i tipi Bur Rizzoli, a cura di Mario Galzigna). Tuttavia, quest´opera così importante è rimasta marginale, spesso svalutata, perfino dimenticata: non è mai entrata davvero nel dibattito teorico, come se su di essa fosse subito calato una specie di interdetto, che poi si è perpetuato negli anni, al punto che c´è da chiedersi se ancora oggi - quando ormai Foucault è diventato per tutti un "classico" - non ne resti un´ombra consistente.
Gli storici hanno storto il naso. I filosofi hanno il più delle volte fatto spallucce, domandandosi quale fosse il succo teoretico di quelle 500 pur affascinanti pagine. Storia di un "silenzio" (il silenzio sulla follia)? Racconto di come dal "grande internamento" del xvii secolo nasce la moderna psichiatria? Elogio postromantico di alcuni grandi folli (da Hölderlin a Van Gogh ad Artaud), intesi come voci che gridano nel deserto? Non erano cose per palati filosofici né per quegli intellettuali impegnati che avevano da fare con il marxismo umanistico. Neppure nel ´68 la Storia della follia venne presa davvero sul serio. La leggevano soltanto alcuni operatori intelligenti immersi nelle loro pratiche specifiche, e non erano neanche tanti.
Foucault, con il quale Sartre polemizzava, rimase a lungo lo "strutturalista" Foucault, quel provocatore che aveva sentenziato, nelle ultime righe di Le parole e le cose (1966), la "morte dell´uomo". Lentamente, in seguito, cominciarono a circolare le sue parole chiave: archeologia, genealogia, pratiche discorsive. Intanto lui era entrato nel prestigioso Collège de France, e di lì a poco avrebbe fatto capire anche ai sordi che il suo programma teorico aveva di mira essenzialmente il "potere" e l´obiettivo di costruire una inedita "microfisica del potere". L´etichetta di strutturalista sbiadiva così, ridicolmente, dinnanzi a libri come Sorvegliare e punire e La volontà di sapere, per non parlare degli ultimi corsi dedicati alla biopolitica e al "governo di sé e degli altri" (fino all´ultimissimo del 1984 sul Coraggio della verità, appena tradotto).
Foucault è oggi noto e apprezzato in tutto il mondo, ha fornito strumenti di lavoro a una moltitudine di ricercatori. Eppure l´interdetto non sembra del tutto caduto. Ogni volta, all´inizio dei suoi corsi, Foucault ha ricordato, con incredibile chiarezza espositiva, le tappe del proprio itinerario, una linea di ricerca senza salti che va dalla follia alle prigioni, alla sessualità, attraverso un´indagine paziente dei dispositivi sociali, delle pratiche che le fanno funzionare piuttosto che sulle filosofie generali con cui pretendiamo di afferrarne dall´alto le ragioni.
Ecco dove, a mio parere, si è annidato il sospetto. Perché Foucault non ci dice cos´è la follia (cos´è il potere, cos´è la sessualità)? Che bisogno c´è di occuparsi del fatto che il folle sia stato trasformato in un malato mentale? Il malato mentale non è forse una realtà per noi acquisita? E perché mai - qui sta l´essenza del sospetto - la malattia mentale dovrebbe agire come un indicatore così importante da trasformarsi in una posta teorica e politica valida per l´intera società?
Mi dispiace affermarlo con tanta nettezza, ma porsi domande come queste, rivolgerle a Foucault, vuol dire rifiutarsi di entrare nel suo discorso e nel suo stile di pensiero. Significa non mettersi in sintonia neppure con una riga delle migliaia e migliaia che ha scritto, nonostante tutti ormai gli rendano omaggio, nonostante gli innumerevoli commenti e i prestigiosi convegni a lui consacrati. Se ragioniamo con attenzione sulla mancata ricezione della Storia della follia (come in parte ha tentato di fare l´ultimo fascicolo della rivista aut aut, dedicato specificamente a questo nodo), vediamo bene che non ha tutti i torti chi dice che non abbiamo ancora cominciato a "leggere" Foucault.

La verità e l’esempio di Socrate
di Maurizio Ferraris Repubblica 7.1.12 da Segnalazioni.blogspot.com

Nel 1984 Michel Foucault tiene il suo ultimo corso al Collège de France, Il coraggio della verità, mentre è entrato nello stato terminale dell´Aids che lo porterà via dopo pochi mesi. La trascrizione delle lezioni fissate esce ora in traduzione italiana a cura di Mario Galzigna (per Feltrinelli). Foucault è stanco ma vuole portare a termine il compito che si era assegnato l´anno prima: svolgere una storia della parresia, il dire la verità a costo della vita, dalla sua nascita in Grecia ai suoi sviluppi nel Medio Evo (la predica e l´università) sino ai moderni, dove il parresiaste sembra trasformarsi nella figura del rivoluzionario.
Per chi aveva legato il suo nome alla dottrina del potere-sapere, all´idea che si deve guardare con sospetto il sapere, perché è veicolo di potere, questo progetto è il segno di un´inversione di rotta. Sin dalla prima lezione Foucault precisa che interpretare le sue ricerche come "tentativo di ridurre il sapere al potere non può essere che una pura e semplice caricatura". Eppure, proprio il drammatico intreccio tra potere e sapere era stato il nocciolo del pensiero foucaultiano, come viene ribadito in L´ordine del discorso. E come leggiamo nella sintesi della Microfisica del potere: "l´esercizio del potere crea perpetuamente sapere e viceversa il sapere porta con sé effetti di potere".
Nella teoria del potere-sapere c´era una reincarnazione della Genealogia della morale, e si stabiliva un paradosso che sta al cuore del pensiero di Foucault così come di Nietzsche: si critica la verità non per gusto della mistificazione ma per il motivo contrario, per un amor di verità che vuole smascherare tutto, compresa la verità. Un gioco pericoloso, perché vedere nella verità un effetto di potere significa delegittimare la tradizione, che culmina con l´Illuminismo, per cui il sapere e la verità sono veicoli di emancipazione, strumenti di contropotere e di virtù. Per Nietzsche, l´esito era stato il mito, l´idea che la verità deve cedere il posto all´illusione e al dispiegarsi della potenza. Per Foucault l´esito è antitetico. Infatti, non è un caso che, accanto a questa apologia della verità come critica e come contrasto del potere, Foucault, qui, si impegni anche in una apologia dell´Illuminismo, come accade proprio in una lezione al Collège de France dell´anno prima.
Un percorso che si completa nelle ultime lezioni di Foucault, dove l´eroe terminale è proprio Socrate morente, ossia l´antieroe di Nietzsche, che ci vedeva quello che, morendo, aveva imposto la falsa equazione tra sapere, virtù e felicità. Per Foucault, invece, Socrate è il parresiaste per eccellenza. Socrate vuol dire la verità, in pubblico e a costo della vita. Il punto culminante è la lezione dedicata alla morte di Socrate, che si conclude così: "Come professore di filosofia, bisogna aver tenuto, almeno una volta nella propria vita, un corso su Socrate e sulla sua morte. L´ho fatto. Salvate animam meam". Salvate l´anima mia. L´invocazione è ironica, come sempre in Foucault, ma il tema non lo è affatto. Perché Socrate, per Foucault, rappresenta ora la quintessenza del rischio di una verità che rende liberi e non schiavi.

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