Il mito dentro
L'antica Atene plasmò l'identità europea Ma fu il nostro Sud a rivelarne i valori
di Francesca Bonazzoli Corriere della Sera 31.1.12 da Segnalazioni
Nell'Europa dell'euro in cui l'economia ha rinunciato a pensare la società e la società si pensa in termini di economia, si sta facendo sentire sempre più forte il bisogno di tornare a riflettere sui valori che ci tengono insieme. Per noi europei c'è un luogo fondante dove andarli a cercare: il mito, perché il simbolo, trasformato in narrazione e poi in filosofia e storia, non è raccontato una volta per tutte, ma genera una continua stratificazione di sensi e reinterpretazioni (a differenza della religione che offre un'unica verità) ed è, come ci ha mostrato Freud, per esempio attraverso la figura di Edipo, sempre contemporaneo. Il nostro futuro non può dunque che essere già lì, nel nostro cuore più antico.
Tutti i Paesi, in Europa, hanno partecipato nei secoli alla creazione del nostro mito comune, ma sono proprio i due Paesi oggi additati come i colpevoli della crisi dell'Europa finanziaria, quelli da cui ha avuto inizio la formazione della nostra identità: la Grecia e l'Italia. Da essi sono riverberate in tutto il mondo le domande fondamentali sulla vita, l'immortalità, la virtù, il potere, la civiltà, la bellezza, il destino, la pietas, la giustizia, il dovere morale, la tirannia, la democrazia, il diritto e così via.
Tutto è nato in Grecia, ma, come sintetizzò Orazio, quando Roma mise fine alla libertà delle polis greche: «Una volta conquistata, la Grecia conquistò i suoi selvaggi vincitori, e portò le arti fra i contadini del Lazio». Poi, attraverso l'impero di Roma, la Grecia capta, che già Alessandro aveva portato ai confini dell'India, conquistò anche l'intera Europa.
In questo processo di ellenizzazione che ha formato l'identità dell'Europa, l'Italia è stata la torcia che ha fatto divampare l'incendio in ben due occasioni fondamentali. Senza l'impero romano e senza il Rinascimento, infatti, il nostro cuore più antico oggi si sarebbe probabilmente perso. Basti pensare che fino al Settecento l'arte greca era ancora conosciuta solo grazie alle copie romane e soltanto nel corso dell'Ottocento e del Novecento cominciò la riscoperta degli originali ellenici.
Ma c'è ancora un'altra particolarità che rende speciale il legame dell'Italia con la Grecia: la Magna Grecia, la fondazione di città greche nell'Italia meridionale. È lì che ha avuto inizio l'infatuazione millenaria per la grecità da cui furono sedotti per primi gli etruschi che compravano i manufatti attraverso i greci insediatisi nel nostro Meridione. Dopo gli etruschi ne furono ammaliati i romani i quali importarono opere d'arte, artisti e produssero migliaia di copie di statue greche. Per ultimi, nel Settecento, caddero nelle reti della bellezza greca tedeschi, inglesi e francesi. I più temerari di questi si spinsero fino in Sicilia sulle tracce del mito. Un'esperienza che cambiò Goethe «fino al midollo»: «Sicilia e Nuova Grecia mi fanno sperare in una novella vita», scrisse. E fu un tedesco, Joachim Winckelmann, che pure non aveva mai visto un originale greco ma solo copie romane, a redigere una narrazione per la prima volta scientifica della storia dell'arte greca. Gli inglesi, dal canto loro, furono i maggiori acquirenti di antichità e dall'esperienza del Grand Tour riportarono in patria la nuova visione neoclassica dell'architettura che si ispirava a Palladio e dunque all'antico.
Purtroppo questa passione per Atene riaccesasi nel Settecento si espresse attraverso il saccheggio di opere d'arte come l'ancora controverso acquisto (autorizzato dai dominatori turchi) dei marmi del Partenone da parte di lord Elgin definito già da Byron «il predone di una terra sanguinante». Nel 1816, tuttavia, esposti al British Museum, i marmi (che, detto tra parentesi, non hanno più motivo di essere tenuti prigionieri a Londra) ebbero un enorme impatto sia popolare sia sugli studi archeologici e furono almeno, se può essere di consolazione, sottratti al vandalismo cui i turchi sottoponevano l'Acropoli. Un altro razziatore fu Napoleone che saccheggiò in particolare le collezioni italiane di arte antica, primo fra tutti il museo pontificio. Ma ancora una volta il destino della Grecia capta era stato quello di conquistare i suoi conquistatori.
Chi pensa che sia sentimentalismo riflettere su questi reciproci legami mentre nella City e a Wall Street guardano con sufficienza un piccolo grande popolo come quello greco devastato dalle politiche economiche, non valuta quanto stiamo distruggendo insieme ai greci l'intera Europa.
«Prima di agire, l'uomo antico avrebbe sempre fatto un passo indietro, alla maniera del torero che si prepara al colpo mortale. Egli avrebbe cercato nel passato un modello in cui immergersi come in una campana di palombaro per affrontare così, protetto e in pari tempo trasfigurato, il problema del presente. La mitologia del suo popolo non soltanto era per lui convincente, aveva cioè senso, ma era anche chiarificatrice, vale a dire dava senso», ha scritto Kàroly Kerényi, che allo studio della mitologia greca dedicò la vita.
È nel nostro mito che dobbiamo calcolare lo spread tra la nostra vita di consumatori e il soddisfacimento dei bisogni umani.
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© - FOGLIO QUOTIDIANO di Dimitri Deliolanes 30 gennaio 2012
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